Da quasi un mese a Roma, in un magazzino situato in una delle periferie più malandate della metropoli, un gruppo di coraggiosi lavoratori, organizzatisi nel Si Cobas, hanno iniziato una battaglia contro l’ingiustizia e la sopraffazione, contro lo sfruttamento selvaggio a cui da anni sono sottoposti, come tanti altri uomini e donne, in particolare (ma non solo) nella logistica.
Gli attori della vicenda sono i lavoratori e l’azienda Tuodì, quest’ultima acquisita dal “gruppo Tuo” nell’aprile 2013, proprietario del gruppo un imprenditore romano: Antonino Faranda.

Ma chi è Faranda? Un personaggio salito agli onori della cronaca un paio d’anni fa, come indagato in una truffa a danno dei lavoratori dell’azienda sarda Vip Catering. Secondo gli inquirenti, infatti, lo stesso si sarebbe appropriato di oltre 5 milioni di denaro pubblico destinati, in teoria, ai lavoratori.
La polveriera esplode nel magazzino romano, dove sono concentrati quasi duecento lavoratori asiatici, italiani, est europei e africani, proprio da questi ultimi si alza il grido di rivolta: buste paga evidentemente truccate, malattie e ferie non pagate, scatti di livello mai avvenuti, orari sfiancanti (finché gli affari andavano bene, ovviamente), straordinari per notturni e festivi non pervenuti e, dulcis in fundo, lo stesso CCNL disatteso in ogni sua parte. Si aggiungono a tutto ciò le voci sempre più insistenti e preoccupanti di una cessione imminente dell’azienda o di una dismissione in blocco (che colpirebbe sia commessi dei supermercati che facchini dei magazzini, mettendo migliaia di lavoratori e lavoratrici a rischio), e visti i precedenti del buon Faranda tutto ciò non lascia ben sperare.
La lotta inizia con due scioperi con picchetto: il primo giovedì 15 giugno, il secondo, in concomitanza con lo sciopero nazionale di logistica e trasporti, venerdì 16 giugno che causano forti mal di testa a capi e capetti di azienda e cooperativa, evidentemente convinti che i continui soprusi e i maneggi più o meno legali potessero passare sotto silenzio fino alla dismissione o alla vendita di magazzini e supermercati. I lavoratori, invece, danno prova di coraggio, determinazione e dignità. Resistono prima alle minacce dei padroni, poi a quelle delle forze dell’ordine, in questo come in tutti gli altri casi, una vera e propria milizia privata al servizio dei capitalisti. Piovono sospensioni da parte dell’azienda, che prova a rompere la compattezza dei lavoratori stessi, dopo gli scioperi viene così il momento della lotta a oltranza, si presidiano i cancelli, tutti i giorni, anche con oltre 40 gradi e non lo fanno solo quei lavoratori lasciati fuori dalle sospensioni, ma tutti i partecipanti agli scioperi, perché, come detto e ripetuto in più assemblee, nessuno deve essere lasciato indietro, chi tocca uno tocca tutti.
Intanto i padroni non sono stati con le mani in mano, preso atto della determinazione della controparte hanno deciso di utilizzare il metodo più subdolo e infame per raggirarli: assemblea con la CGIL (sindacato solo a parole in particolar modo nella logistica) in cui viene tirato fuori un accordo firmato dai capireparto (“delegati” dei lavoratori, all’insaputa dei lavoratori della stessa sigla confederale!) firmato due mesi prima degli scioperi, in cui vengono riconosciute tutte le richieste avanzate (scatti di livello, CCNL, straordinari, buste paga ecc…). Tuttavia il tentativo di raggiro è fin troppo palese e nessuno ci casca, anzi, il Si Cobas prende nuove simpatie nonostante la costante paura della repressione e delle ritorsioni, nuovi lavoratori si fermano ai presidi, alcuni vengono sospesi e aprono gli occhi sul fatto che nemmeno l’obbedienza cieca basta per non avere problemi.

La battaglia rimane difficile ma è sempre più necessaria man mano che il tempo passa. Con la lotta, anche fra mille difficoltà, si può strappare il massimo ai padroni, senza la lotta si perde e ci si ritira a testa china di fronte alle prepotenze.

E quindi che lotta sia, fino alla fine, fino alla vittoria.

 

CM