Alla faccia delle tesi, storicamente “andate di moda” specie in Italia, di estinzione della classe operaia, pubblichiamo oggi la prima parte di un’intervista a un operaio metalmeccanico impiegato in un sito industriale a Pomigliano D’Arco (Napoli), di cui pubblicheremo la seconda parte venerdì prossimo. Le risposte di questo lavoratore ci fanno ben capire come, nel concreto dell’attività in fabbrica, l’estorsione di plusvalore e pluslavoro all’operaio da parte del capitalista sia una dinamica familiare agli operai, anche a quelli che non hanno studi teorici marxisti alle spalle.

 

Com’è attualmente la vostra situazione in fabbrica, com’era in passato? Che “involuzione” c’è stata negli anni?

La situazione nel nostro campo di intervento, quello aeronautico, è sempre stata per noi operai motivo di vanto: avevamo a che fare con motori veri e propri. Piccoli pezzi di metallo che se assemblati correttamente facevano venire fuori un motore mastodontico. A quei tempi non avevamo nessun freno, né aziendale, né sindacale.
Lavoravamo anche 24 ore se ce ne fosse stato bisogno, ma a dir la verità è una cosa che faceva comodo a tutti. Qualche ora di straordinario ti gonfiava le tasche. Poi c’è stato il cambiamento. Siamo finiti dal revisionate motori, al confezionare palette e camere di combustione. Le palette erano già di nostra produzione, ma avevano un loro reparto distinto in un altro comune. Con l’uscita dell’ultimo motore, hanno spostato lo stabilimento qui da noi. La situazione è peggiorata, adesso lavoro su delle macchine. Ho quel lotto da completate, senza se e senza ma, e se non lo completi sono dolori. I tempi sono stati tirati all’inverosimile, tanto che, se non fosse per le nostre capacità, non avremmo pause altrimenti.
La pressione si fa sentire.
Tutto questo fa parte del loro sistema, più ti tengono incollato alla macchina, meno avrai modo di parlare e pensare. Per loro non conta chi sei, conta quanto fai ed in quanto tempo, ma questo chiaramente non nell’accezione positiva. Quello che conta per loro è il profitto.

Esatto, in pratica adesso ci troviamo a lavorare dei pezzi di ferro che costano poco e niente per loro, magari se le dovessi comprare io non tanto (ride alludendo al fatto che sono metalli economicamente inaccessibili a un qualsiasi proletario).
Noi ci ritroviamo a lavorare, rilavorare, saldare ecc. quei pezzi di ferro che finiranno su un motore di aereo e li rivendiamo ad un prezzo equivalente ad una delle migliori auto che puoi trovare in un concessionaria di lusso.
Se pensassi che io guadagno nemmeno un angolo di quel pezzo di ferro che metto sulla macchina, ti farebbe capire in che schifo versiamo. La cosa che fa ancora più rabbia è che chiaramente, non ne lavoriamo solo uno, ti lascio immaginare.
Conosco le realtà industriali, sono un operaio io stesso, e nonostante io faccia parte di questo sistema, mi sorprendo ogni volta di trovare una situazione pressoché simile alla mia, se non addirittura peggiore. Avete mai pensato di organizzare qualcosa?
Come vi relazionate con il sindacato? Quali sono le relazioni sindacato-azienda?

Credo che ognuno di noi abbia pensato di fare qualcosa, ma gli unici momenti in cui siamo tutti insieme, e nemmeno tutti quanti, sono la pausa mensa, e le assemblee sindacali.
Nel primo caso, il tempo ci basta a stento per mangiare velocemente e tornare in postazione, tra l’altro ci sono colleghi talmente dentro questo sistema da non venire a pranzo pur di produrre [vedi alienazione, ndr]. Nel caso delle assemblee invece, il margine di tempo è più alto, ma comunque riempito dagli sproloqui inutili di persone che non sanno nemmeno cosa sia il sindacalismo. Ciò nonostante questo si rivela l’unico reale momento di confronto tra noi operai. È una situazione che farebbe versare lacrime…

 

L‘intervista non si conclude qui: abbiamo raccolto una ricca e nutrita testimonianza che prova innanzitutto che la classe operaia è viva e vegeta, chi afferma il contrario evidentemente non ha il senso della realtà. E che la stessa non vuole restare a fare il gioco dei padroni.

L’avanguardia mai e poi mai deve sostituirsi alla classe operaia nella lotta per la propria emancipazione; dare invece ai lavoratori gli strumenti per acquistare una coscienza politica socialista, è una parte fondamentale del lavoro che essa deve fare.

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