Negli ultimi anni, poche sono le vertenze sindacali che conquistano una visibilità mediatica ampia come quella degli operai della Castelfrigo, azienda del settore carni del modenese. Questo accade mentre il dibattito politico torna a riprendere il lavoro come tematica centrale, ed è così che la vertenza alla Castelfrigo viene ripresa da quotidiani e telegiornali nazionali, di destra e di sinistra.

La vertenza è di lunga data, ma esplode quando a ottobre 2017 due false coop che gestivano l’appalto della logistica hanno annunciato il licenziamento di 75 lavoratori, poi diventati 127. È allora che è cominciato uno sciopero a oltranza diretto dalla CGIL. Lo sciopero è proseguito per oltre due mesi, tra cortei e presidi, toccando l’apice (anche di visibilità) quando è partito uno sciopero della fame per tre operai e un sindacalista, destinato a durare 12 giorni.

Lo sciopero della fame viene interrotto una volta annunciato l’accordo tra Castelfrigo e CISL per l’assunzione di 52 operai che nei due mesi precedenti “non avevano dato problemi“, in contemporanea con la notifica dei licenziamenti. I 52 operai verranno assunti a gennaio da un’agenzia di lavoro interinale, per soli 6 mesi e senza neppure la promessa di un prolungamento.

Con la complicità attiva della CISL, la Castelfrigo spazza via ogni misera conquista in meriti di salario e tutele che ancora restava agli operai delle coop. In secondo luogo, i padroni si liberano dei lavoratori problematici, cioè quelli che tramite la lotta hanno contribuito a rendere ancora più noto il sistema di false cooperative e di sfruttamento che vivono ogni giorno, causando anche un “danno d’immagine” all’azienda.

Di fatto però la CGIL non critica la CISL perché ha negoziato l’assunzione di 52 crumiri (pratica comunissima alla CGIL stessa), ma per il semplice fatto che si tratti di una manovra per estrometterla dai negoziati e dal potere che aveva in ragione del numero di iscritti. Non va dimenticato quanto la CGIL stessa, indignata dopo la mossa della CISL, si sia dimostrata altrettanto brava nell’attaccare picchetti, come alla SDA di Roma, o far entrare crumiri dopo il licenziamento di iscritti a un altro sindacato, come alla Artoni di Cesena.

I fatti smentiscono la politica dell’unità sindacale fra i confederali, ricercata dalla CGIL a ogni costo, costo che però viene pagato esclusivamente dai lavoratori. Lungi dall’essere uniti (e quindi, si suppone, più forti nella lotta), i lavoratori vengono divisi in due parti. Una parte di essi viene pugnalata alla schiena, l’altra è messa a lavorare nelle stesse condizioni inaccettabili contro cui si lottava, senza alcuna certezza sul futuro.

I lavoratori non hanno interesse nell’accettare la politica della concertazione e della moderazione, e non devono farlo. Non devono accettarla, né dimenticarsi di chi la pratica.

Gabriele Bertoncelli

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.