Ieri, nell’ultima giornata dei quattro giorni di mobilitazione indetti dalle sigle sindacali Si Cobas e ADL Cobas per far irrompere i migliaia di facchini e drivers organizzati ai tavoli sindacali dei padroni per il rinnovo del Contratto Nazionale Logistica e Trasporto merci a dissotterrare l’ascia di guerra ci sono stati, ieri, anche i lavoratori del magazzino di Tuodì di Roma che, dopo un’estate di fuoco con scioperi e picchetti, dopo il licenziamento di oltre 90 lavoratori e mesi passati senza stipendio dimostrano nuovamente il proprio coraggio e la propria determinazione, sostenuti anche da chi in quei 90 licenziamenti è finito, suo malgrado, e da decine di lavoratori degli altri magazzini della città.

CHI SONO I PADRONI DI TUODì

Per rinfrescare la memoria: la ditta Tuodì è un esempio esemplare di ciò che il sistema della logistica può rappresentare per tanti, troppi, lavoratori. Una proprietà gestita da Antonio Faranda, imprenditore già noto per aver sottratto 5 milioni di euro in Sardegna quando era a capo di un’altra azienda e finito a processo per questo, le cooperative che gestiscono la forza lavoro (unicamente per Tuodì) sono dei fratelli Piccolo, noti per i collegamenti con le istituzioni politiche, a gestire le politiche del magazzino per il padrone, invece, troviamo David Zambrini, da poco presentatosi alla carica di consigliere municipale nelle liste di Casapound a Ostia, di cui si è parlato estensivamente nelle scorse settimane e che ha sollevato sinistre ombre sull’influenza di organizzazioni criminali nel tessuto sociale della capitale d’Italia nonostante le “purghe” seguite allo scoppio di Mafia Capitale. Con questi presupposti non stupisce la situazione che i lavoratori, largamente inascoltati, denuncino gravi irregolarità di ogni tipo: da anni di buste paga false in cui duecento ore venivano pagate, quando andava bene, appena mille euro -quando andava male molto meno-, da turni di lavoro massacranti (a gennaio del 2017 i lavoratori denunciavano una situazione di turni lavorato rivi anche di sedici ore senza alcuna pausa), da contratti palesemente irregolari –un esempio su tutti, un lavoratore a contratto di apprendistato oltre la durata massima complessiva dei sei anni e oltre i trenta anni di età-, per non parlare del feroce atteggiamento antisindacale della proprietà, ostile al Si Cobas tanto da non concedere il riconoscimento né il tavolo delle trattative quando la quota di lavoratori iscritti superava le quaranta unità su un magazzino di centottanta lavoratori circa. In questo quadro persino il semplice riconoscimento del CCNL firmato da CGIL CISL e UIL appare un miraggio.

IL RUOLO DELLE BUROCRAZIE FILT-CGIL DI ROMA

Come si incastra il ruolo della Filt-CGIL romana in questa vera e propria “Cambogia”? Per anni la sigla confederale, presente almeno apparentemente, in magazzino, ha assistito al massacro dei lavoratori, anche della loro dignità di esseri umani senza muovere un dito, firmando accordi mai rispettati (e che mai ha tentato di far rispettare, nemmeno con uno sciopero di un’ora, firmando, per esempio, un accordo per la cassa integrazione senza un minimo controllo sulle rotazioni degli addetti sul luogo di lavoro, cosa in teoria totalmente illegale, e che ha lasciato decine di famiglie senza uno stipendio per mesi). Quando la situazione è diventata insostenibile e quando è arrivato il momento dei licenziamenti ha semplicemente abbandonato il campo spostando i propri “delegati” in altri luoghi o suggerendo di fatto ai lavoratori di firmare dimissioni in bianco, rinunciando anche ad una battaglia legale per tutti i soprusi impugnabili davanti ad un giudice. È ovvio che il ruolo del sindacato confederale è sempre stato quello di spezzare la determinazione e il coraggio dei lavoratori, di questo la Filt-CGIL (di Roma, in questo caso particolare) renderà e già rende conto ai lavoratori che nei magazzini di tutta Italia guardano verso le sigle combattive con interesse e hanno perso da tempo ogni tipo di fiducia nei loro confronti all’interno posti di lavoro, almeno nel settore della logistica.

L’URLO DELLA CLASSE LAVORATRICE

Ma non solo sulla rappresentanza sindacale e sul rispetto del CCNL i lavoratori hanno portato avanti la vertenza per mesi –dimostrando un’unità e una determinazione che gli fa onore-. Per loro si è trattato di un percorso lungo e faticoso di riscatto personale e collettivo, un vero e proprio grido, non di disperazione, ma di rabbia. Un grido che si potrebbe parafrasare, senza eccesso né stucchevole retorica così: “non potete trattarci come bestie, siamo esseri umani e combatteremo da uomini, costi quel che costi”. Una lezione che se travalicasse il recinto della sola logistica indicherebbe la via a migliaia, centinaia di migliaia di proletari sfruttati, indicherebbe la via di una lotta determinata e coraggiosa contro il sistema di sfruttamento che priva i lavoratori, oltre che del frutto del proprio sudore, anche della propria dignità, indicherebbe la via della solidarietà di classe, smaschererebbe le collusioni dei padroni con i fascisti e la criminalità, distruggerebbe le stronzate razziste inventate per dividere gli oppressi, farebbe luce sul ruolo delle burocrazie sindacali confederali all’interno dei luoghi di lavoro.

#RomaDopo mesi e mesi di lotte, scioperi, picchetti, le cooperative hanno ceduto e hanno aperto un tavolo di trattative coi lavoratori.

Pubblicato da La Voce delle Lotte su Giovedì 7 dicembre 2017

 

Il picchetto di ieri ha colpito pesantemente la proprietà, dato che, per la prima volta in assoluto in sei mesi di mobilitazioni, i responsabili di ditta e cooperative sono dovuti scendere a compromessi: dopo aver tentato di cacciare i lavoratori con intimidazioni e minacce (senza riuscirci) hanno dovuto concedere un incontro per il giorno stesso con il rappresentante legale delle cooperative. In tale incontro (a cui hanno partecipato due delegati dei lavoratori) è stato firmato un accordo per cui ci si rivedrà il 14 dicembre nella sede del sindacato per ottenere chiarezza sulle ore lavorate, sugli arretrati dovuti e sulla regolarità degli stipendi mensili. La lotta è ancora lungi dall’essere vinta, ma un primo risultato importantissimo per i lavoratori si è già raggiunto: è la prima volta in dieci anni che un gruppo di lavoratori organizzati (e non semplicemente iscritti alla CGIL con i suoi faccendieri a fare da tramite con l’azienda) si siede ad un tavolo con i rappresentati dei padroni, spezzando quel muro di odiosa, irrispettosa e a volte insolente supponenza che ha sempre diviso i “piani alti” dalla manovalanza.

Non solo è un dovere per chiunque pretenda di lottare per la giustizia sociale stare accanto a questi lavoratori, di più, è un onore percorrere al loro fianco la strada per l’emancipazione di questo minuscolo spicchio di classe lavoratrice. Una goccia nel mare, si dirà. Ma una goccia che può fare scuola a milioni di altre “gocce”, dai lavoratori Amazon agli operai dell’Ilva, dai nuovi schiavi della grande distribuzione ai raccoglitori di pomodori sfruttati nei campi. La strada è aperta, sta a tutti i proletari seguirla.

Di Ciemme