Pubblichiamo la traduzione in italiano di un articolo di Hillel Ticktin, fondatore e direttore della rivista di studi marxiani “Critique”, sulla quale è stato pubblicato lo scritto con il titolo «Decline as a Concept – and its Consequences». Qui la prima parte dell’articolo.


Quest’articolo presenta la sintesi di una teoria del declino del capitalismo. Si sostiene che il declino si verifica quando diventa maggiormente difficile per il capitalismo gestire le proprie contraddizioni e quindi le sue crisi. Le soluzioni che adotta diventano sempre più controproducenti e trasformano il sistema stesso. Il declino è il declino della legge del valore; ciò si riflette nella sostituzione del valore da forme organizzate come il ‘monopolio’, enti regolati e nazionalizzati, burocratizzazione in aumento e dominio sul capitale da parte del capitale finanziario, che è per sua natura parassitario. Un risultato di ciò è la crescita del divario tra ciò che si potrebbe produrre per i bisogni umani e ciò che è prodotto; un altro risultato è la disintegrazione del sistema e di parte della società stessa in alcune parti del mondo.

 

L’ascesa della burocrazia e dell’Organisation Man1

Ritengo che la burocrazia si radichi ogni qual volta gli amministratori del plusprodotto soppiantano coloro che lo controllavano precedentemente. Infatti, ciò si verificherà in momenti precisi lungo la storia. Durante i periodi di transizione da un modo di produzione a un altro, la forma di controllo sul plusprodotto cambia. Sotto tali circostanze, l’amministrazione del plusprodotto perde la sua vecchia forma senza acquistarne una nuova. Di qui, l’amministrazione diventa relativamente indipendente. Attualmente, stiamo assistendo al declino del capitalismo e quindi del valore. Come risultato, il plusprodotto non è più semplicemente controllato attraverso il valore. Misure amministrative devono essere prese per assicurare che il plusvalore sia estratto correttamente. Tassazione, valute centralizzate e nazionalizzate, industrie nazionalizzate, forme punitive di controllo sul lavoro e sulla forza-lavoro sono tutte forme di amministrazione necessarie per assicurare l’estrazione del plusprodotto. In azienda, mano a mano, contabili, analisti informatici, dipartimenti di relazioni industriali, e così via: tutto diviene parte di una gestione essenziale per mantenere il controllo sopra i profitti. Le aziende possono variare i loro obiettivi minimi dall’estrazione di profitto a obiettivi circoscritti, come il volume delle vendite, con lo scopo di ottenere un risultato generale che faccia felici gli azionisti. Il ruolo del capitalista è, di conseguenza, in declino. In Unione Sovietica, gli amministratori divennero il gruppo dominante perché non c’erano altri gruppi in grado di prendere il potere. L’amministrazione, quindi, divenne, eccezionalmente, indipendente dai controllori del plusprodotto, cioè i capitalisti o i lavoratori. Non fu l’unica volta, nel corso della storia, in cui si verificò un tale fatto.
Il modo di produzione asiatico è un caso differente, dove un intero modo di produzione ebbe una forma di controllo sul plusprodotto indeterminata. Fintantoché il produttore diretto possedeva la sua terra, poteva controllare il suo plusprodotto. Ma il proprietario della terra, il despota orientale, poteva tassare il possessore della terra per ottenere il plusprodotto in tutto o in parte. In cambio, il despota doveva pagare i sacerdoti e i funzionari dei lavori pubblici essenziali alla produzione. Siccome l’apparato burocratico estraeva il plusprodotto tramite la tassazione e lo spendeva, in parte, nei lavori pubblici, esso aveva un certo grado di indipendenza dalle classi. Il despota orientale esercitava un controllo debole dal momento che poteva solo ottenere il suo surplus attraverso una forma politica.
L’esito di questo discorso sulla burocrazia è complesso. Da una parte, ne consegue che, durante il periodo di transizione al socialismo, caratteristiche burocratiche siano inevitabili. Dall’altra, l’alternativa alla burocrazia nella forma di controllo sulla burocrazia è altrettanto chiara: la burocrazia può essere evitata solo attraverso forme di democrazia diretta riguardanti tutti gli aspetti della società.
Il problema è questo: un periodo di transizione è di necessità un periodo di movimento incompleto dalla vecchia forma alla nuova. Di qui, la piena democrazia diretta, che è una caratteristica del socialismo, risulta impossibile. Allo stesso tempo, la rimozione del valore lascerà le decisioni sul plusprodotto a forme coscienti di regolazione. Se queste forme non sono democratiche, allora inevitabilmente devono essere burocratiche. L’intera natura della transizione è quella di una rimozione graduale del valore in favore della pianificazione.
Fin qui si è ragionato sulla questione dal punto di vista del capitale. Dalla prospettiva del lavoratore, l’integrazione crescente porta necessariamente a un crescente potere, fino alla presa stessa del potere. Di conseguenza, sotto il capitalismo il capitale deve agire, e lo fa tramite misure reazionarie. Riduce le dimensioni degli impianti, anche se le economie di produzione su larga scala richiedono impianti più grandi; mette le imprese una contro l’altra anche se la cooperazione aumenterebbe il volume della produzione; divide i lavoratori per impianto, azienda, città, nazione e differenze inventate. In tal modo, riduce lo sviluppo potenziale e la velocità delle forze produttive.
Ciò pone le basi per un quarto aspetto del declino.

Il valore e le forze produttive

Il capitale è valore che si auto-espande. Tale autoespansione guida lo sviluppo dell’industria tramite l’innovazione fino a che la macchina stessa diventa auto-espansiva. Per ottenere profitti maggiori, il capitalista rimpiazza i lavoratori con le macchine. Egli rimpiazza le fonti dell’energia con le fonti dell’energia che derivano direttamente dalla natura, come l’energia nucleare, l’energia solare ed eolica, piuttosto che indirettamente, come per il carbone e il petrolio. Meno lavoratori, ma più industria è lo slogan di chi accumula capitale. La forma stessa della macchina si evolve richiedendo sempre più estensioni per rimpiazzare i lavoratori vivi. Secondo la logica del processo, le macchine rimpiazzano le macchine. Si dovrebbe notare che il valore che si auto-espande porta logicamente alla macchina auto-espansiva, nel senso di una macchina che si sviluppi da sé. Il che non sarebbe casuale. Le forze della natura si stimolano da sole. Il valore tenta sempre più di diventare una forza della natura; non è però una forza della natura, bensì una relazione sociale. Logicamente, dunque, deve virare verso una forma trasformata della natura per rendersi auto-espansivo. Facendo ciò, comunque, si trasforma in una nuova forma di forza di natura e abolisce se stesso come valore.
I sintomi del declino devono mostrarsi sia nel valore sia nelle forze produttive. Alcuni sostengono che il declino deve mostrarsi in forma assoluta, dove siano visibili i sintomi di una civilizzazione avviata verso la decadenza, qualsiasi indicatore venga preso in considerazione. Lo standard di vita, la crescita, la moralità, l’istruzione e lo standard generale dell’apprendimento, da questo punto di vista, devono tutti essere in declino. Se ciò succedesse, parleremo di marcescenza della società stessa, aldilà del declino del modo di produzione.
Detto ciò, questa non è necessariamente la forma fenomenica del declino stesso. Il sole, quando invecchierà, si espanderà enormemente inglobando persino la Terra nella sua espansione, ma sarà [comunque] in declino perché l’espansione sarà stata causata dalla perdita del suo combustibile. L’impero romano si espanse ulteriormente per un periodo superiore ad ogni altro impero dell’età antica, ma ciò rappresentò un periodo di declino e caduta dell’antico modo di produzione. In altre parole, il declino non può essere giudicato solo da apparenze superficiali. In seguito alla fine di un sistema sociale, è facile vedere il suo periodo di declino ma, prima che tale periodo passi, può non essere così ovvio.
Per ribadire ciò che ho scritto altrove2, il declino non è lo stesso che la crisi, e certamente non è il concetto di crisi terminale. Una crisi porta il sistema capitalista al punto da non poter più funzionare, mentre durante il declino ci possono essere molte crisi, ognuna delle quali è risolta in modo diverso, anche se le crisi diventano sempre più difficili da risolvere senza alterare sostanzialmente il sistema stesso.
Il declino implica che il vecchio sistema sta raggiungendo la sua fine, anche se ciò potrebbe richiedere molti anni: è per questo che il declino deve mostrarsi nelle leggi fondamentali di movimento, ovvero operative, di quel sistema. Nel caso del capitalismo, la legge di movimento è il valore e così è al valore che dobbiamo guardare.

Decadenza e disintegrazione come forme di declino

È nell’evoluzione del valore in capitale finanziario che vediamo la forma fondamentale del decadimento del valore; ciò ci fornisce un’altra essenziale caratteristica del declino del capitalismo: il capitale finanziario è concentrato sul breve termine, è parassitario rispetto al capitale produttivo, ed è una forma liquida ma complessivamente controllabile di capitale. È capitale astratto, frutto di un’astrazione da una forma di valore d’uso. Come tale, può organizzare il capitale come classe e trasformarsi con la velocità della luce da un punto ad un altro, trasformandosi senza difficoltà da denaro a capitale a capitale fittizio, arrivando a controllare settori industriali e così via. Ciò lo rende in grado di chiudere impianti in un luogo e aprirli in un altro, disponendo così di impianti e lavoratori nella migliore posizione per aumentare i profitti. Tutto ciò gli permette di legarsi intimamente con il trasferimento di fondi illegale e/o illegittimo da paesi con controlli sugli scambi. La stima di 500 miliardi di dollari illegalmente esportati ogni anno da economie sottosviluppate e in transizione è un esempio8. Il ruolo in ascesa del denaro criminale è possibile soltanto con il dominio del capitale finanziario.
Il fatto che l’attività criminale sia oggi uno dei maggiori finanziatori del settore bancario significa che essa è matura. Si stima che oggi molte centinaia di miliardi di dollari si muovano per il traffico di droga sul mercato mondiale, di cui molti costituiscono profitto. Il fatto, che l’attività criminale sia considerata cruciale nell’ex-Unione Sovietica, deriva dalla natura del moderno capitalismo che infieriva su un sistema intimamente corrotto. In altre parole, le forme stesse del valore d’uso sono degenerate al punto che lo stato capitalista le ha dichiarate illegali. Nondimeno, questo business ha raggiunto proporzioni enormi. La legalizzazione delle droghe rimuoverebbe l’illegalità e i profitti legati all’illegalità, ma i criminali troverebbero altre forme illegali da sfruttare.
Il punto è che la produzione si è convertita in forme più dannose del valore d’uso, e a un mercato che non è un mercato – ma un mercato nero, o criminale. Un mercato del genere può impiegare lavoro forzato, consumo indotto e ovviamente monopoli imposti. Chiaramente questo mercato non funziona sulla base del valore: proprio per questo può accumulare enormi profitti. Questo capitale criminale genera una competizione decisiva per il capitale legale, che opera sulla base del valore, anche se in una forma più attenuata che nel capitalismo maturo. Tale capitale criminale è ora universale con la Jakuza [organizzazione simile alla mafia, ndt] in Giappone, con la natura criminale dell’azienda privata nell’ex Unione Sovietica, con la mafia italiana integrata nel business e nello Stato italiano, e con la mafia americana ormai legittimata.
Ho trattato la natura del capitale finanziario in un numero precedente di Critique4 e non entrerò qui ulteriormente nei dettagli. Comunque, c’è un punto cruciale su cui soffermarsi. Il capitale finanziario non è solo un aspetto del capitale moderno: è la sua forma dominante; di conseguenza, la potenza capitalista finanziaria prevalente, gli USA, è necessariamente la forza dominante nell’ambito del capitalismo stesso. In ogni caso, siccome il capitale finanziario può esistere soltanto sottraendo capitale dai settori produttivi, che producono sia servizi sia beni, la sua esistenza è in contraddizione permanente, in conflitto con l’industria e coi servizi produttivi. Ciò porta a una divisione sia all’interno della classe capitalista sia all’interno dei paesi, sia tra paesi.
Abbiamo assistito all’evoluzione del capitale finanziario dalla proprietà capitalistica individuale a una dove i proprietari nominali e legali della maggioranza delle quote sul mercato borsistico sono compagnie assicurative e fondi pensione, che formalmente agiscono negli interessi dei lavoratori che si affidano a tali fondi per le loro pensioni. In cambio, i reali controllori di quei fondi sono manager che devono produrre performances in linea con criteri fissi, e che non hanno altro interesse che l’aumento di profitti in denaro. Mentre tutti i capitalisti sono governati dai profitti, il capitale industriale può solo aumentare i profitti tramite la produzione di valori d’uso, mentre il capitale finanziario può aumentare i propri profitti attraverso la distruzione dei valori d’uso, sia direttamente sia indirettamente.
Le forme di genocidio che si sono succedute lungo questo secolo [riferito al XX secolo, ndt], dai massacri ad opera delle potenze imperialiste allo sterminio industriale degli ebrei europei, non hanno luogo nello sviluppo maturo del valore. L’industria richiede lavoratori esperti, non il loro sterminio. Le forme moderne di sottomissione della classe operaia, inclusa la discriminazione razziale, le divisioni etniche, l’antisemitismo, gli antagonismi nazionali e le differenze in espansione tra lavoro mentale e manuale sorreggono il capitalismo, ma sono storicamente retrograde e intralciano la produttività. Quando il capitalismo era al suo apice, le sue stesse attività producevano supporto ideologico e fisico al sistema capitalista stesso. Il feticismo della merce era generato dai meccanismi del capitale stesso e assicurava che i lavoratori fossero atomizzati, che concepissero il capitale come opera divina, giusto ed eterno. Ad ogni modo, fu lo sviluppo del capitale finanziario nella sua forma imperialistica che permise l’emergenza del fascismo, anche se in linea di massima non era gradito alla borghesia.
È solo dal momento che i lavoratori non sono più così atomizzati, o feticizzati dalle forze del capitale, queste alternative devono essere trovate. Quando il capitalismo stesso rischia l’estinzione, tali alternative sono state messe in atto in forme raccapriccianti, ma anche quando il capitalismo si è ripreso, le sue apologie rimangono regressive. Le moderne ideologie o pseudo-ideologie capitaliste sono degenerate nel senso che usano giustificazioni reazionarie e mitiche come l’esistenza di un male assoluto geneticamente determinato. La moderna pratica capitalista, in base a ciò, può essere degenerata. Le fabbriche possono essere chiuse per via dei salari alti o della militanza dei lavoratori: le grandi fabbriche possono essere smembrate in unità più piccole per controllare i lavoratori, perdendo così i vantaggi della produzione su larga scala. I monopoli e le aziende nazionalizzate, che si avvantaggiano delle economie di centralizzazione e di scala, sono smembrate per sottomettere la propria forza-lavoro a un controllo migliore. L’enfasi contemporanea sulle piccole attività all’interno di un quadro competitivo è in sé un’utopia reazionaria, non potendo tale forma di business competere in un quadro nazionale o internazionale. In buona sostanza, l’enfasi sulla piccola azienda può sopravvivere solamente con i sussidi governativi o corporativi. Lo spreco di risorse che si consuma così è considerevole.
La cosa più importante è l’enorme spreco causato dalla disoccupazione su larga scala in tutto il mondo. Il capitalismo moderno ha provato a ricreare l’esercito [industriale] di riserva, ma ha scoperto che può fare ciò solo attraverso l’introduzione di livelli di disoccupazione finora sconosciuti. In paesi sottosviluppati e semisviluppati i livelli reali di disoccupazione posso oltrepassare la metà della popolazione, al contrario di quanto risulta dalle statistiche del FMI e di quelle governative. In Sudafrica il governo post-apartheid ha cercato ansiosamente di abbassare le cifre, in condizioni dove i livelli di disoccupazione sono invece saliti dalla sua salita al potere. I dati di un 46-60% [di disoccupazione] sono stati forniti prima del 1994 e si dovrebbe concludere che le cifre reali siano molto più alte di quelle ufficiali che girano attorno al 40%. Certamente, tutto dipende dalla definizione di disoccupazione, ma quando il traffico di droga, le imprese illegali di vario tipo, le attività di scambio superfluo di merci [“taking in of each others’ washing”, cioè farsi i bucati a vicenda] sono inclusi implicitamente nelle statistiche occupazionali nel cosiddetto settore informale, è chiaro che l’economia è degenerata.
La produzione di massa d’armi di distruzione ha raggiunto livelli superiori all’ammontare della spesa in traffico di droga. Mentre è diventata essenziale al capitalismo moderno, nulla potrebbe essere più palesemente inutile o comunque dannoso per l’umanità. Il valore di scambio ha trionfato sul bisogno umano. A un certo livello, la produzione di armi serve come valore d’uso finché esse sono accettate come merci che la società richiede per sicurezza contro nemici reali o immaginati. A un altro livello, è chiaro che tali prodotti sono piuttosto inutili per tale scopo, e infatti in una società più razionale non sarebbero nemmeno fabbricati. Mandel, per esempio, considera la fabbricazione d’armi come un esempio tipico di produzione parassitaria nel tardo capitalismo5. L’uso continuato e intensificato di armi sempre più sofisticate per scopi bellici in sé è la prova del declino della civiltà, e i suoi effetti possono essere considerati soltanto come evidenza della rovina. Abbiamo assistito alle guerre imperialiste di conquista dagli anni Settanta del XIX secolo in poi, seguite da guerre mondiali altamente distruttive e poi da numerose guerre minori. La guerra d’Iraq potrebbe essere descritta come la caricatura di una guerra, se non fosse comunque cosa grave.
Queste forme di decadenza: la disoccupazione e la sua forma estrema di disoccupazione di massa nel terzo mondo, dove la maggioranza della popolazione è disoccupata; il fallimento nell’uso dei mezzi di produzione al loro pieno potenziale, la degradazione della forza-lavoro e del capitale tramite l’attività criminale e le droghe; la differenza sempre più grande tra ciò che la forza-lavoro può produrre e ciò che produce, cioè l’effetto in crescita dell’alienazione della produzione; la distruzione dei mezzi di produzione e del genere umano stesso; tutte queste, sono manifestazioni della decadenza.
La decadenza, quindi, è un sintomo del declino ma non è il declino stesso. Essa riflette il modo in cui le leggi del sistema funzionano sempre meno per soddisfare i bisogni della specie. Ciò accade perché il sistema stesso produce confusione e quindi risultati conflittuali, o perché il valore si è separato dal valore d’uso con il risultato che il denaro diventa un fine in sé, separato. Infatti, fino a un certo grado, il sistema declinante si allontana sempre più dalla soddisfazione dei bisogni umani; questo perché le necessità della classe dominante si oppongono sempre più a tali bisogni. A quelle parti della società, che non possono essere più alimentate da chi guida il sistema, manca ciò che le mantiene: iniziano così a decadere.
In altre parole, c’è un vuoto in espansione tra ciò che potrebbe essere prodotto in beni e servizi da fornire per soddisfare bisogni umani, e ciò che è effettivamente prodotto. È in questo aspetto del declino che possiamo vedere la prova più evidente che il modo di produzione ha fatto il suo tempo. Questo è un soggetto che richiede parecchi trattati; io mi riferirò solamente a tre dei molti aspetti di ciò che costituisce l’inefficienza e lo spreco. Primo: l’enorme spreco generato da un sistema che non usa al meglio il talento degli uomini, sia perché sono disoccupati, sia perché svolgono compiti che stanno ben al di sotto delle loro capacità, con tutte le inefficienze del caso. Secondo: c’è una natura, profondamente dilapidatrice e disumana, della produzione moderna di valori d’uso e della pubblicità connessa. Ciò si applica universalmente, dalle spese gonfiate degli strumenti del warfare al cibo-spazzatura. Terzo, c’è una spesa statale considerevole, il che vuol dire mezzi di controllo sulla popolazione in termini di forze di polizia statali, controllo burocratico, apparato giudiziario e forze armate.
La forma più estrema di questo vuoto si produce quando il sistema stesso si disintegra senza che sia rimpiazzato. A quel punto, due cose sono possibili. Il sistema può disintegrarsi a tal punto che il tessuto della società stessa è strappato e le persone sono costrette a raschiare, individualmente, in ciò che rimane per sopravvivere. Tale risultato si è dato nel Terzo Mondo e nell’Unione Sovietica stalinista quando si è disintegrata. Infatti si può sostenere che gli alti tassi di disoccupazione e le guerre endemiche in parte del terzo mondo siano esempi in tal senso. Dal momento in cui la disintegrazione del sistema è un processo in corso, la seconda opzione sta nella perdita di controllo del sistema, da parte delle classi dominanti, senza che la classe lavoratrice prenda il potere. In quel caso, si apre una serie di possibilità. Dato il potere della classe dominante, essa potrebbe preferire di fare leva sulla forza della barbarie come nel caso del fascismo, anche se non lo apprezza e anzi lo detesta. Un ampio spettro può esistere tra questo caso e quello di forme distorte di appello alle classi inferiori come nel caso del fondamentalismo religioso e del nazionalismo.

Coscienza

Il declino di un modo di produzione deve riflettersi nella coscienza delle classi che costituiscono le sue relazioni di produzione. Nel passato, ciò si rifletteva in vari livelli di scontento e nella formazione di movimenti più o meno utopisti tra gli strati inferiori. Nel caso del capitalismo, si può mostrare nei tentativi di abbattere il sistema stesso. Conseguentemente possiamo affermare che l’elemento ultimo che indica il declino del capitalismo risiede in questo fatto: il capitalismo stesso è stato effettivamente abbattuto, anche se solo in una parte del mondo. La Rivoluzione russa dell’ottobre 1917 può essere stata dissolta dallo stalinismo, ma il fatto che il capitalismo stesso sia stato rimpiazzato in una parte del mondo ha prodotto un cambiamento irreversibile nel capitalismo. Fino a quel punto, la classe capitalista si vedeva come eterna e senza sfidanti. Dopodiché ha dovuto sia alterare il capitalismo per soddisfare richieste socialdemocratiche, sia dotarsi di nuovi mezzi di repressione. Le concessioni si combaciavano con l’evoluzione del capitalismo verso una centralizzazione più spinta e il controllo governativo, e così l’alterazione del valore e la limitazione del mercato. Le forme di repressione includevano l’accettazione di regimi antidemocratici e spesso terrificanti, dalla Germania nazista al Cile di Pinochet. Mentre il capitalismo fu mantenuto con l’uso della forza, l’effetto economico fu controproduttivo nel breve e nel lungo periodo, anche se i profitti spesso si alzarono. Paradossalmente, oggi il capitalismo si sta imponendo sulla democrazia. Mentre molti osservatori vedono questo come un’ipocrisia e come un’altra forma di controllo, si deve notare che le forme democratiche stesse sono in larga misura una concessione ottenuta dal potere del movimento operaio, così come dall’effetto della Rivoluzione russa stessa.

Confusione e irrazionalismo

Il livello di conflitto categorico e la complessità di classe nel capitalismo declinante rende difficile l’analisi. La confusione regna. Dove operano tre serie di leggi, quelle del capitalismo maturo, quelle del capitalismo declinante e quelle della transizione al capitalismo, è difficile comprendere quali forza siano all’opera. Nel capitalismo maturo classico il feticismo della merce regnava, ma in una maniera in cui gruppi potevano superarla e individui potevano vedere oltre essa: la natura di classe della società e la forma dell’estrazione del plusprodotto. Nel capitalismo declinante, le leggi e il futuro della società rimangono opache se manca una profonda analisi teorica. Ci si può rendere conto dello sfruttamento e dell’oppressione, ma il modo esatto del loro operare è complesso, di conseguenza la lotta per eradicarli può sembrare troppo difficile per essere tentata. Mentre la classe lavoratrice ha bisogno della propria teoria più che mai, anche la situazione per la classe capitalista è disperata. L’opacità della loro situazione li guida verso soluzioni pragmatiche e in alcuni casi, dove non trovano soluzioni, si orientano verso risultati irrazionali.

Sommario e conclusioni

Ho sostenuto che il declino del capitalismo si manifesta in una serie di forme. Primo, che le accomuna tutte, è il fatto che il capitale ha trovato sempre più difficile trovare forme di mediazione per gestire le proprie contraddizioni. Secondo, ciò si è mostrato nell’uso di forme sociali inumane e controproduttive – la forma parassitaria del capitale finanziario, l’imperialismo e le guerre senza fine. Terzo, l’aumento della socializzazione della produzione, che sta alla base della difficoltà nel trovare forme di mediazione, ha iniziato a trasformare la natura del valore stesso. Mentre ci avviamo verso il nuovo modo di produzione, il valore è assistito sempre più o, in alcuni casi, scalzato da forme organizzate. Ciò ha portato all’ascesa di una burocrazia pubblica e privata. Quarto, c’è un conflitto necessario tra la vecchia forma-valore e il mercato, e la forma emergente, se ancora si può chiamare “capitalista”, della cosiddetta pianificazione. Nessuna delle due può soddisfare i requisiti dell’economia o i requisiti della classe capitalista, ma questa si muove da una all’altra nel nome dell’efficienza e della riforma, ma in realtà come mezzi di controllo sulla classe lavoratrice. Quinto, c’è un vuoto sempre più ampio tra ciò che potrebbe essere prodotto negli interessi del genere umano e ciò che è effettivamente prodotto, o in termini tecnici tra il plusprodotto esistente e il plusprodotto potenziale. Infine, il sistema stesso genera la sua stessa coscienza alternativa nella classe lavoratrice, la quale ha assestato un colpo al sistema nel 1917 che l’ha profondamente alterato.

 

Note

1. Espressione coniata dall’urbanista e giornalista William Whyte e che dà il titolo alla sua opera più famosa [ndt].
2. The Nature of an Epoch of Declining Capitalism, , Critique, 26 (1994), pp. 69-93. 3. R. Baker; Capitalism’s Achilles Heel, New Jersey: Wiley, 2005, p. 237.                                                                                                                             3. R. Baker; Capitalism’s Achilles Heel (New Jersey: Wiley, 2005), p. 237.
4. Finance Capital and the Transitional Epoch, Critique, 16 (1984), pp. 23-42; Towards a Theory of Finance Capital, Critique, 17 (1986), pp. 1-17.
5. E. Mandel, Late Capitalism (London: NLB, 1975), p. 309.

 

Hillel Ticktin

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.