La discussione sulla legge Zan contro l’omolesbotransbifobia in Italia porta a galla l’ambiguità del PD come partito più avanzato in termini di riconoscimento dei diritti lgbt e … come principale fautore dell’attacco ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, dunque colpendo gli stessi soggetti LGBT+ che fanno parte della classe lavoratrice.


Negli ultimi mesi, in Italia, il dibattito politico che da un anno a questa parte era egemonizzato dalla pandemia Covid-19 ha avuto una virata inaspettata: ciò che era fino ad ora rinchiuso tra le camere parlamentari, le stanze dei consigli regionali e le associazioni si è, ben prima del monologo di Fedex sul palco del Primo Maggio, spostato nel timone dei media nazionali.

Parliamo del DDL Zan che, approvato in prima battuta alla Camera dei Deputati il 20 novembre del 2020, nel bel mezzo della seconda ondata pandemica, rappresenta il tentativo di estensione della legge Mancino ai reati di discriminazione contro il genere, l’orientamento sessuale, l’identità di genere e la disabilità.

Un disegno di legge semplice nella composizione (8 pagine in tutto con lo spiegone iniziale su cosa sia il genere etc…), vero e proprio “must” legislativo nella maggioranza dei paesi occidentali, ma che vede l’intero panorama politico italiano in una guerra di trincea infinita, a suon di disinformazione e strumentalizzazione, di necessità contro la violenza omolensbotransbifobica e di perplessità rispetto a tutto il resto delle proposte di legge che si stanno conducendo in Italia negli ultimi 13 anni.

Ma, oltre la propaganda a colpi di disinformazione continua e menzogne a più non posso della destra reazionaria di Meloni e Salvini, il DDL Zan rappresenta senz’altro un avanzamento in termini di diritti formalmente riconosciuti alle identità lgbtqia+ e, congiuntamente alla legge sulle Unioni Civili, un “ovvio” avanzamento progressista della politica italiana rispetto alla comunità stessa.

Ma ora andiamo con ordine, partendo proprio dalla fase politica attuale, ossia dal contesto più generale in cui si inserisce questa legge che fa da garanzia se non estensione di un diritto umano inalienabile come quello al non essere aggrediti in base alla propria identità, ossia alla libertà personale.

Da tempo il mondo dell’associazionismo riformista chiede, a partire da leggi regionali contro l’omolesbotransbifobia, che venga inserito nel codice civile e penale una norma che si faccia promotrice della difesa della minoranza lgbtqia+ in Italia, vista l’innumerevole mole di casi di violenza fisica e non contro chi vive liberamente la propria identità.
Eppure, già nei consigli regionali le cose non apparivano facili, tra ostruzioni di vari esponenti politici -appartenenti, in alcuni casi, persino al PD- e veri e propri rifiuti nei consigli regionali di destra (come ad esempio accade in Veneto, nonostante i numerosi pride che hanno marciato fino al 2020 rivendicandone l’emanazione).

Con l’approdo in parlamento, poi, del DDL Zan, nonostante una solida maggioranza parlamentare, ugualmente la politica borghese ha dato il meglio di se, con discussioni infinite e modifiche al piccolo e risicato testo, tutt’oggi in attesa per divenire legge nazionale dopo l’eventuale approvazione del Senato.

Ma ciò che più sorprende di tutta la vicenda legata a questo ddl è il voler quasi ricalcare, nei dibattiti televisivi così come altrove, la proprietà intellettuale del testo da parte del PD, ossia da parte del principale partito dello scenario politico italiano che dal 2008 ha fatto partire sistematicamente tutta una serie di riforme del lavoro che, a conti fatti -ma in realtà già da prima delle varie approvazioni- si sono dimostrate come l’attacco più esteso ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici dalla prima repubblica ad oggi.

Una piccola scintilla progressista non elimina il buio della reazione antioperaia nel dimenticatoio!

Il PD, infatti, da tempo continua a marciare nei pride di tutta Italia, al fianco degli attivisti e dei militanti del movimento lgbtqia+, come “principale alleato” delle associazioni e come principale promotore nazionale delle riforme “necessarie al superamento” della discriminazione.

Eppure, dietro la “benevolenza” del Partito Democratico, promotore sia della legge sulle Unioni Civili che del DDL Zan, forse qualcosa si nasconde.
Questa “fase progressista” della legiferazione italiana è infatti ben isolata rispetto al panorama generale della politica borghese: se da un lato la concessione dei diritti alle identità lgbtqia+ rappresenta un avanzamento in sé -e non starò qui a riaprire il
dibattito sulle unioni civili e sul concetto di famiglia- dall’altro questi avanzamenti si calano nel programma generale di attacco a tappeto da parte della politica padronale e filoconfindustriale ai diritti di tutta la popolazione povera e lavoratrice.

Dal 2008, infatti, si è inaugurata la fase di regresso delle normative sui diritti, a partire proprio dai diritti dei lavoratori, passando per il diritto di sciopero per poi arrivare a tutte le leggi che, di fatto, altro non hanno fatto se non incentivare ancora di più l’avanzata del precariato, della disparità di genere a livello occupazionale e salariale, dell’aumento della presa patriarcale e misogina sulla società, dell’aumento considerevole delle discriminazioni di genere, di etnia e di classe. Se qualsiasi sondaggio dà un vantaggio elettorale enorme alla coalizione di “centrodestra” (che infatti continua a vincere nelle elezioni locali), è anche colpa, e non poco, delle politiche ben poco progressiste, per nulla incompatibili con gli altri partiti “di governo”, che il PD ha condotto.

La politica italiana appare, quindi, come una chimera che concede e toglie, che dà diritti laddove vi era uno stato di diritto medievale, e che toglie diritti laddove questi rappresentavano vittorie storiche della classe lavoratrice; che fa finta di non vedere laddove vi sia una necessità storica di leggi a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori tutti. Il caso della totale assenza di presa di posizione e azione, rispetto al tema – fortunatamente diventato di dominio pubblico, presente ovunque – del lavoro stagionale (e non solo) sottopagato, è una conferma clamorosa del partito preso dal PD – a favore dello sfruttamento!

Una contraddizione continua e per nulla intersezionale

Che nelle intenzioni del PD esista la prospettiva egemone rispetto alla comunità lgbtquia+ è ormai chiaro, ma la comunità stessa è cosciente di questo tentativo?

Da tempo, infatti, il dibattito sull’intersezionalità ha portato all’ampliamento della discussione sui diritti, legando alle rivendicazioni di identità di genere e di orientamento quelle di superamento delle discriminazioni razziali e delle tematiche sul mondo del lavoro.

Ed è proprio in base a questa intersezione che come comunità, come lavoratrici e lavoratori, occorre elaborare una ben più profonda discussione rispetto ai contentini che il panorama politico borghese elabora e cala nelle nostre vite: partendo proprio dal rivendicare la necessità, attraverso la lotta continua, gli scioperi e le assemblee, di riorganizzazione del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori su basi anticapitaliste ed intersezionali, ossia che tengano conto della necessità di riconquista dei diritti dei lavoratori tolti a tutt* e del superamento delle discriminazioni e della stessa società patriarcale che tutt’oggi è strumentalmente ravvivata dal capitalismo.

Abbiamo già visto come il capitalismo adoperi il pinkwashing come strumento ormai accreditato per ripulire la cornice della propria società -si veda, ad esempio, ciò che sta avvenendo in Palestina e tutto il rainbow capitalism di Israele-, ossia di una società fondata sulla discriminazione di classe, di identità di genere ed orientamento, di etnia.

Una legge necessaria in una società discriminatoria come questa

Eppure noi di questa legge ne abbiamo la necessità: tutt*, in un modo o nell’altro, siamo stat* vittime del giogo discriminante e violento che questa società instilla, goccia dopo goccia, in ogni individuo.

Una società basata sul disequilibrio, su chi ha troppo e chi niente, su chi discrimina e chi è discriminato, non può non vedere nel punitivismo la soluzione ai propri mali.
E se questo discorso è validissimo per tutta l’analisi sulle carceri italiane -luoghi di “espiazione dei peccati” più che di rieducazione alla collettività-, tanto più è valido nel contesto di formazione sistematica di individui che discriminano: l’omolesbotransbifobia è un frutto della società marcia che ci circonda, fondata sullo sfruttamento lavorativo, sulla violenza patriarcale, sull’odio razziale e sulla discriminazione contro la disabilità, e questa stessa società non riuscirà mai a porre rimedio, tramite una legge, alla propria stessa esistenza!

Tanto più, così come dopo l’approvazione delle riforme reazionarie sul lavoro, avremo la possibilità di constatare con i nostri occhi come, in virtù dell’esistenza della legge, chi continuerà a subire discriminazioni passerà in secondo piano: tanto esisterà la legge! Cosa possiamo mai pretendere?

Per noi tutt* avere una nuova legge a tutela, un diritto in più rispetto a ieri, non può significare accettazione: conosciamo fin troppo bene le manovre che il capitalismo attua, l’emanazione dei diritti e le riforme contro questi, i limiti strutturali ed invalicabili di questa società che si fonda sulla discriminazione e sulla disuguaglianza.

Per questo non solo rivendichiamo la legge ma andiamo oltre, superando il formalismo delle leggi, il punitivismo insito in queste: noi rivendichiamo un movimento che abbia una prospettiva reale e non formale, nelle piazze e nei luoghi di studio e di lavoro, che possa riconoscere nel proprio nemico non l’altro individuo ma tutta la società che lo circonda, che lo forma, che lo carica di odio irrazionale e di visioni reazionarie.

Rivendichiamo una legge che non ci veda come semplici persone discriminate, come oggetti senza la benché minima voce in capitolo!
Noi rivendichiamo il nostro ruolo di soggetto attivo e protagonista, di parlare della nostra discriminazione, intersezionale, salariale, frutto del patriarcato e della violenza machista, di unire le nostre lotte a quelle che ci circondano, di non essere considerati carne da macello né strumentalizzati da qualche strategia di qualche partito borghese.

Noi rivendichiamo il pane ma anche le rose!

 

Michele Sisto

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.