Un antieroe americano

Questa è la storia di un millenial come molti altri, un americano di 18 anni che, non avendo mezzi finanziari per pagarsi gli studi universitari, si è arruolato nell’ esercito ed è entrato nella prestigiosa accademia militare di West Point. Ma Spencer Rapone, che oggi ha 26 anni ed è un veterano della guerra in Afghanistan, non è rimasto muto davanti al lavaggio del cervello a cui sono sottoposti gli allievi ufficiali americani…


Il caso di Spencer Rapone inizia nel settembre del 2017 quando, fresco di promozione all’accademia di West Point, esprime su Twitter la propria solidarietà al quaterback afroamericano Colin Kaepernick che era stato offeso per aver denunciato i crimini della polizia, mettendosi in ginocchio nello stadio durante l’esecuzione dell’inno nazionale.

Divenute immediatamente virali, le foto irriverenti che accompagnavano altri tweet del cadetto Rapone gli hanno procurato l’ira dei superiori e l’immediata simpatia di tutta la sinistra. Le foto erano state scattate nel maggio 2016 in occasione della cerimonia ufficiale per la consegna dei diplomi a West Point. Nella prima foto Rapone alza il pugno, mostrando l’interno del berretto della propria divisa dove aveva scritto la frase “vincerà il comunismo” (« communism will win »). Nella seconda, altrettanto esplicita, indossa una t-shirt di Che Guevara sotto la divisa ufficiale.

Per capire la portata di queste foto, bisogna sapere cos’è West Point, la prestigiosa scuola di ufficiali, paragonabile a Saint Cyr in Francia [o l’Accademia Militare di Modena per l’Italia, ndt] e presso la quale si è formata la maggior parte dei generali americani, dallo schiavista Robert E. Lee all’ex direttore della CIA e comandante dell’ISAF in Afghanistan, David Petraeus, passando per non meno famosi generali come Douglas MacArthur, George Patton e Dwight Eisenhower, presidente degli Stati Uniti dal 1953 al 1961.

 

Appena proclamato sottotenente, Rapone mostra la scritta “Il comunismo vincerà” nascosta nel suo berretto da sottufficiale.

 

Privo di borse di studio e senza genitori facoltosi alle spalle, appena diplomato, il diciottenne Spencer Rapone cerca di entrare a West Point, una delle pochissime, se non l’unica università a non richiedere tasse universitarie. Viene inizialmente respinto e per questo si arruola nell’ esercito. Alla prova della guerra in Afghanistan, le sue illusioni patriottiche cadono rapidamente. Denuncia quindi le atrocità della guerra e dell’imperialismo americano: “Dopo aver assistito alla distruzione insensata dell’Afghanistan durante il mio servizio nella provincia di Khost nell’estate del 2011, sapevo che le nostre guerre dovevano essere fermate. Sono stato assegnato alla mia pattuglia come assistente mitragliere. Ho partecipato a missioni in cui alcuni esseri umani sono stati uccisi, catturati, terrorizzati. E tuttavia, l’orrore inflitto dall’esercito americano nelle sue operazioni all’estero non si limita a questo. Alcune notti non facevamo altro che marciare su e giù per un villaggio. Mi divenne a poco a poco chiaro che la sola presenza di una forza occupante era una forma di violenza. Le mie azioni all’estero non né hanno aiutato né protetto nessuno. Mi sono sempre sentito più come uno stalker, circondato dalla forza armata migliore e tecnologicamente più avanzata di tutta la storia, in uno dei paesi più poveri del mondo. Ho visto molti dei miei commilitoni assolutamente impazienti di usare la violenza per la violenza. Non c’è onore in questa sete di sangue; al contrario[1].”

Tornato dall’ Afghanistan e «ancora idealista e sprovvisto di una visione coerente ed organica del mondo» come riconosce oggi, entra a West Point sperando di cambiare le cose dall’interno. Le sue speranze non durano a lungo e presto si rende conto della portata dell’imperialismo americano, con le sue “800 basi, il milione di morti, per lo più civili e innocenti, a partire dall’11 settembre 2001” e del complesso militare-industriale che assorbe mille miliardi di dollari di budget.

Rapone si è rapidamente politicizzato leggendo Marx e Stan Goff, un veterano che divenne un militante antimilitarista. Il ruolo di ufficiale che avrebbe dovuto ricoprire divenne per lui insostenibile, ma lasciare West Point alla fine del suo primo anno avrebbe significato tornare nell’ esercito o dover rimborsare $ 250.000 all’ accademia. Man mano che le sue convinzioni politiche si consolidano, Rapone le esprime sui social, con scarso effetto, almeno sino al tweet del settembre 2017.

La gerarchia militare, dopo aver tentato di zittirlo, rifiuta la sua richiesta di dimissioni condizionate e gli impone una finta alternativa: o presentare una lettera di dimissioni senza condizioni, o comparire davanti a una commissione d’inchiesta composta da ufficiali di alto rango. Rifiutandosi di partecipare a un processo farsa, opta per le dimissioni senza condizioni. La commissione dell’esercito ha emesso il suo giudizio finale lunedì 18 giugno, congedandolo con disonore.

Si definisce ora sarcasticamente “proletario punk” e sul suo stato Twitter scrive: “Rudi (Dutschke) non può fallire“. È tutt’altro che un uomo sconfitto, anche se rischia dover pagare una cifra astronomica in tasse universitarie. Ha scelto di congedarsi dall’esercito degli Stati Uniti in un modo molto punk e a luglio interverrà ad una conferenza socialista a Chicago.

Questa bella storia alla Forrest Gump rivela la politicizzazione di una frangia di giovani americani, che si era manifestata nel movimento “Occupy” e più di recente con il movimento “Black Lives Matter“, secondo una tendenza che sembra rafforzarsi sotto la presidenza Trump.

A 50 anni di distanza dal 1968, che non fu privo di effetti negli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam, scommettiamo che Spencer Rapone, antieroe, sarà fonte di ispirazione per migliaia di giovani americani che uccidono e rischiano la vita sotto la bandiera a stelle e strisce, e che fino ad ora non hanno mai osato fare il grande passo.

[1] Testimonianza di Spencer Rapone. 20 giugno 2018, truthdig.com

 

Pierre Reip

Traduzione da Révolution Permanente di Ylenia Gironella

 

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.