Le elezioni si avvicinano e la campagna elettorale sembra essere già cominciata, ma nessuno degli schieramenti politici in campo sembra avere la forza per costruire un governo.
Confindustria e banche hanno necessariamente bisogno di una stabilità prolungata ora che il capitalismo italiano inizia a vedere l’uscita da una lunga stagione di stagnazione e non sono disposte a sacrificare le riforme sull’altare di una democrazia ristretta e formale oramai sempre più palesata.

I sondaggi qualche settimana fa davano il Movimento 5 Stelle come la prima forza del Paese, ma dopo le gigginarie, costruite in modo truffaldino neanche troppo mascherato, il partito della Casaleggio Associati sembra aver perso punti percentuali e, contestualmente, sembra esser passato in vantaggio il Partito Democratico con il 26,2% dei consensi (dati Tecnè, 24 settembre 2017).

I cinquestelle si attestano al 25,7% dei consensi, avanti a Forza Italia che torna al 16%.
I sondaggi pre elettorali vanno presi con le pinze, perché influiscono su di essi diversi fattori, compreso lo sviluppo dei programmi dei partiti, la presentazione di candidati più o meno credibili agli occhi della grande borghesia.

Gli scenari del prossimo governo potrebbero dunque essere molteplici.  Se dovesse vincere il Movimento 5 Stelle si avrebbe un partito di maggioranza, ma senza la possibilità di formare un Governo. Il partito di Luigi Di Maio, diventato oramai leader indiscusso dell’organizzazione, non sembra essere intenzionato a formare una coalizione, pertanto nonostante i suoi sforzi di presentare il progetto reazionario dei 5 stelle come alternativa possibile agli occhi delle grandi imprese, potrebbe non ricevere il sostegno necessario da parte di quest’ultime. Di Maio si è dichiarato disponibile anche a rivedere il programma antieuropeista dei penta stellati, ma tutto ciò non basta a garantire un piano di riforme e di attacco ai lavoratori, conditio sine qua non per presentarsi come cortigiano al Forum Ambrosetti.

Il centrodestra sembra essere, ad oggi, l’unico schieramento capace di costruire una coalizione stabile con il ritorno in campo di Silvio Berlusconi. Il politico di Arcore vorrebbe imporre la propria candidatura, potendo far leva su una vasta e storica rete di televisioni e legami politici al Sud, dove invece gli altri candidati non riescono a sfondare. La Lega è in disaccordo e vorrebbe anteporgli Matteo Salvini, candidato col vento in poppa del razzismo che investe tutta l’Italia (secondo sondaggi nel Belpaese l’84% della popolazione è razzista).

Insieme, Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia arriverebbero al 36% riuscendo ad imporsi come coalizione di maggioranza e a formare un remake dei governi Berlusconi-Fini-Bossi.

Il Partito Democratico, stando ai sondaggi Tecnè, riuscirebbe a imporsi come primo partito, ma ad oggi le sue alleanze sono ancora tutte da scrivere, così come la scelta del candidato (Renzi è stato al centro di una stagione di massacro sociale, una carta già giocata recentemente e che non sarebbe facilmente digeribile agli occhi dell’opinione pubblica).
MDP, Articolo 1 e Campo Progressista, principali fisiologici possibili alleati del Partito Democratico insieme non raggiungerebbero il 5%. Sommato al 26% del PD comunque sarebbero lontani dal raggiungere i risultati della coalizione di centrodestra. Non lo raggiungerebbero neppure imbarcando Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista.

Sembra dunque improbabile che il Centrosinistra possa nuovamente vincere le elezioni, anche se siamo ancora  a settembre e molte cose potrebbero mutare nel corso dei prossimi mesi.

Pur essendo delineato ad oggi un quadro complessivamente fumoso degli scenari post elezioni, ciò che è certo è che la borghesia italiana pretende che la sua classe dirigente esprima un governo stabile. In alternativa potrebbe decidere di fare da sé con un governo tecnico, ma questa opzione potrebbe essere messa in campo solo se vincesse il Movimento 5 Stelle e se si andasse a votare con l’attuale legge elettorale.

In tal caso i gruppi capitalistici italiani hanno già dato mandato al Presidente della Repubblica Mattarella di individuare un candidato tra le fila della squadra degli attuali Ministri del Governo Gentiloni.
Si va da Giuliano Amato, già bocciato nel 2015 da Renzi perché sostenuto da Berlusconi e D’Alema, a Marco Minniti, che nella sua pluriennale esperienza di uomo al servizio dei padroni sin dai tempi della militanza stalinista nel PCI, ha dato prova di risolutezza per la borghesia riuscendo a mettere d’accordo Vaticano, New York Times, Fatto Quotidiano, Partito Democratico e Forza Italia.
Renzi dal canto suo vorrebbe lanciare un personaggio a lui vicino come la Boschi, ma gli scandali di Banca Etruria fanno di lei un candidato debole alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Un altro dei papabili potrebbe essere Carlo Calenda, sostenuto da Luca Cordero di Montezemolo e supportato anche da ambienti in quota Eni e Unicredit.

Ciò che è certo è che la classe operaia non avrà rappresentanza alle prossime elezioni elettorali.
In questo ultimo periodo si è prodotto un dibattito a sinistra sulla possibilità di costruire una rappresentanza dei lavoratori. In particolare una proposta di cartello lanciata da Sinistra Classe Rivoluzione e a cui hanno risposto il Partito Comunista dei Lavoratori e Sinistra Anticapitalista. Stando però agli ultimi sviluppi non pare queste organizzazioni possano raggiungere un accordo, perché divise sul programma, questione centrale per la presentazione di una lista.

Il tema della rappresentanza di una sinistra rivoluzionaria e dei lavoratori è complesso e importante, pertanto non ne scriverò in questo articolo. La Frazione Internazionalista Rivoluzionaria sta producendo un comunicato sul dibattito aperto, quindi rimando l’analisi sulla questione allo stesso.

Chiunque vincerà le prossime elezioni lo farà per conto dei capitalisti dell’imperialismo italiano.
Marx ebbe a dire che “il parlamento non è altro che il comitato d’affari di tutta la classe borghese”, una verità inoppugnabile e oggi palesata in tutte le sue varianti di forma di governo.
Il punto è che né un astensionismo di principio né l’ostinazione a presentarsi alle elezioni senza alcun legame col movimento operaio, sindrome di cretinismo elettorale di cui è affetta gran parte della c.d. sinistra rivoluzionaria, risolveranno il problema della costruzione di un’alternativa dei lavoratori.
Per cui lavorarci seriamente è oggi uno dei principali compiti per chi vuol provare a cambiare lo stato di cose presenti.

Douglas Mortimer

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.