L’università italiana ha sempre conosciuto la piaga del numero chiuso, che ha limitato il numero degli iscritti complessivi ai corsi. Se prendiamo in considerazione anche l’elevata tassazione, una delle più alte d’Europa e l’estremo sottofinanziamento, ne esce un quadro davvero disarmante.

In Italia il numero dei laureati è uno dei più bassi d’Europa, fermo al 18% tra i 25 e 64 anni. Recentemente una sentenza del TAR del Lazio ha stabilito che il numero chiuso, introdotto alla statale di Milano sulle facoltà umanistiche, fosse illecito, in quanto eventuali carenze strutturali non possono giustificare l’introduzione di un accesso ristretto agli studenti. La sentenza si può definire storica, soprattutto se applicata ad un sistema, che considera il numero chiuso come la panacea di tutti i mali.

Importante è inoltre considerare come questa sentenza, pronunciata da un tribunale con competenze ultra regionali, costituisca un colpo per il numero chiuso in generale. Gli Atenei dovranno infatti rispettare la direttiva ministeriale, e non potranno più ricorrere all’accesso programmato dei corsi per rientrare nei limiti del rapporto docenti studenti. Questo significa che, dal ricorso alla statale di Milano, è possibile che si sviluppi un effetto domino, che potrebbe portare alla definitiva abolizione del numero chiuso in Italia. L’accesso programmato è infatti stato introdotto proprio per far fronte alle carenze strutturali e alla enorme scarsezza di fondi dell’università italiana.

Per queste ragioni è impossibile pensare, anche soltanto da un punto di vista capitalistico, ad una rimozione del numero chiuso senza mettere in conto anche un piano di finanziamento per l’università pubblica. Sarebbe illusorio pensare che la sentenza del TAR obblighi l’università italiana ad abolire il numero chiuso, perché esso nasce appunto da ragioni strutturali e di tagli degli ultimi 20 anni.
Proprio per denunciare il sottfinanziamento dell’università pubblica e in particolare il blocco degli scatti stipendiali dei docenti, un movimento di professori “Movimento per la dignità della docenza universitaria” ha proclamato per il mese di settembre uno sciopero degli esami di profitto. Lo sciopero consisteva nella non somministristrazione del primo appello della sessione d’esami di settembre.
Nonostante le modalità dubbie e il danno che questo sciopero avrebbe arrecato agli studenti, il garante ha comunque dato la sua approvazione. Le modalità di proclamazione dello sciopero sono state molto sbagliate. I docenti, invece che spingere per un fronte unico con gli studenti su tematiche più ampie hanno preferito agire autonomamente. Il risultato è stato uno sciopero che, più che danneggiare il sistema universitario, danneggiava gli stessi studenti. Una casta baronale assolutamente incapace a farsi carico di svolte progressive.

La lotta contro le ingiustizie deve essere una battaglia unitaria, scaturita dall’unione degli oppressi contro il sistema che li opprime, non può essere la battaglia di pochi a vantaggio di loro stessi. Battaglia corporativa che invece di far andare avanti la ruota della Storia prova a farla tornare indietro.

Adelchi

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.