La legge elettorale pasticciona ed antidemocratica “Rosatellum 2.0” che regolamenta le elezioni politiche italiane odierne – un misto di “proporzionale corretto” e maggioritario per collegi “all’inglese” – riesce a danneggiare persino i suoi stessi ideologi e promotori in Parlamento: è notizia recentissima il caso di Pierluigi Bersani, massimo rappresentante, con Massimo D’Alema, della lista Liberi e Uguali che ha come protavoce l’ex-magistrato e presidente uscente del Senato Piero Grasso. L’ex capo del PD, contrariamente a quanto richiesto dalla legge da lui stesso difesa e votata in Parlamento, ha inserito direttamente la propria schieda di voto senza che si svolgesse la nuova procedura “anti-frode” per la quale il personale del seggio elettorale procede a una verifica e allo strappo di un tagliando apposito sula scheda immediatamente prima che la scheda sia inserita nell’urna.

L’episodio consisterebbe di fatto di annullamento del voto per mancato rispetto della procedura di voto ma, appunto, in assenza di uguaglianza fra i cittadini e in presenza di libertà per i borghesi e i loro camerieri politici di fare come gli pare, non ci sorprenderemo se magicamente il voto di Bersani risulterà valido, potendo contare sul personale fedelissimo del seggio, subito pronto a minimizzare il clamoroso errore: “Il tagliando andava… “, accenna la segretaria di sezione: “Vabbè è lo stesso, mi scusi… mi perdoni”. A mo di riflesso pavloviano, lo spirito di sottomissione al capo-padrone ha subito prevalso, in barba a qualsiasi criterio democratico-egalitario.

Dovremmo stupirci di ciò? Ci sembra, questo, per quanto farsesco in sé, un episodio che restituisce correttamente l’immagine del disincanto prodotto nella popolazione da una democrazia, quella regolata e sottomessa al dominio economico e politico di una manciata di banchieri e industriali, che si mostra in forme sempre più alterate e marcescenti, sempre più schiacciate dalle esigenze immediate di maggiore profitto e migliori condizioni di investimento dell’elité finanziaria. Una democrazia a forma di capitale dove è sentire comune il fatto che liste e partiti che rappresentano percentuali più o meno piccole di popolazione (il 2%, per dire, è pur sempre un elettore su 50, cioè già 100 persone in un paese di 5.000 elettori) sono del tutto squalificate, immediatamente ridotte a “coltivazione di orticelli” (e però orticelli coltivati senza prebende statali, al contrario di quelli dei grandi partiti borghesi, viste le leggi vigenti!), assolutamente indegne d’essere rappresentate negli organi legislativi dello Stato. E’ senso comune, insomma, che lo Stato debba essere efficiente, snello, molto rapido, alleggerito da qualsiasi complessità e dialettica democratica derivante dal fatto che nel popolo (il nostro amato popolo, uno e unito! dove però ci sono sempre diverse classi sociali in contrapposizione fra loro) sono presenti molteplici interessi, molteplici posizioni politiche, molteplici programmi, continui conflitti e contraddizioni.

Proprio a partire da questa situazione reale nella quale ci troviamo, appare a dir poco fuori tempo e poco serio rafforzare la democrazia progressiva italiana (come la definì Palmiro Togliatti, ponendola come intermedia fra la normale democrazia borghese e il socialismo) a colpi di applicazione della Costituzione, quando questa Costituzione (cioè un pezzo di carta, letteralmente) ben poco ha fatto e può fare contro lo sviluppo concreto dell’economia, delle dinamiche sociali a tutto tondo, dunque della politica in generale, della politica istituzionale stessa.

Al contrario, proprio l’incapacità del capitalismo di superare stabilmente e durevolmente la sua propria crisi economica (cioè la crisi della propria capacità di produrre profitto per i capitalisti – e null’altro), così come le continue crisi politiche da essa continuamente stimolate, sono l’argomento più forte contro il feticismo verso la farsa della democrazia della Repubblica Italiana, così come delle altre grandi democrazie di oggi. Per questo ci diamo come ideale e modello un’altra democrazia, un altro sistema politico, che è quello della democrazia proletaria, del governo politico dei lavoratori su sé stessi e sulla società in quanto effettivi produttori del sistema economico complessivo che alimenta la società stessa. Una democrazia, quindi, inconciliabile con la proprietà privata, concentratissima in poche mani, di tutte le grandi leve dell’economia, e con la forma politica che si associa a questa grande proprietà privata, questa democrazia borghese di cui oggi celebriamo l’evento delle elezioni nazionali, dove ciclicamente un comitato di servitori dei capitalisti si sostituisce a quello precedente, senza alcuna alterazione di fondo del sistema. In questo senso, “se votare facesse qualche differenza, non ce lo lascerebbero fare”, diceva lo scrittore Mark Twain: il teatro del Parlamento e delle sue elezioni, con le sue manovre e baruffe piuttosto secondarie rispetto al potere concreto di immense aziende multinazionali e colossali trust finanziari, è un terreno tutto della classe a noi avversa e dove possiamo al massimo provare giocare con tutti gli handicap del caso, sapendo che la nostra vittoria in quanto sfruttati e senza-tempo può avvenire sul terreno che, quello sì!, la borghesia ci tiene a “non lasciarcelo fare”: quello della rivoluzione sociale per togliere il potere economico e politico alla ristrettissima cerchia parassitaria dei capitalisti che governano le nostre vite e continuano a imporci disoccupazione di massa, povertà, imbruttimento culturale e morale, razzismo, distruzione dell’ambiente, guerre. Il tutto sempre “con democrazia”, ci mancherebbe! A questi Liberi e Uguali della società basata sullo sfruttamento e sul profitto, rispondiamo:

Chi di democrazia colpisce, di democrazia perisce!

 

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.