– di Sismic

Affrontiamo, in questo articolo, un argomento assai importante, forse senza un adeguato trattamento, ma con la speranza di dare qualche fioca luce nei meandri dell’alienazione umana.
Troppo spesso si sente affermare che “la classe operaia non esiste più”, ma oltre la ridicolezza della affermazione in sé, si tende a giustificare il tutto con un bell’ “un giorno gli automi produrranno al posto dei lavoratori”.

Senza entrare nell’analisi critica dell’economica politica, senza scomodare Marx, scomporre questo castello montato in aria risulta abbastanza semplice…
Innanzitutto, uno dei presupposti per la vita in questa società è il lavoro, ma non astratto, quello concretizzato nella produzione delle merci.
Dai vestiti, al detersivo, passando per il cibo ed i prodotti tecnologici, finanche per l’energia stessa ed i mezzi di locomozione, tutto è prodotto.
Ma se si afferma l’inesistenza della classe operaia, come si può giustificare lo smartphone che si tiene in tasca, o il pantalone appena comprato al centro commerciale? Come possono esistere questi “oggetti”?
Beh, sembra fin troppo logico e scontato, persino senza chiedere aiuto alle statistiche ed ai censimenti mondiali, che qualcuno deve materialmente produrre queste merci!

Ora, presa per certa la realtà esistenziale della classe operaia, si blatera circa una possibile società tecnologizzata, in cui le macchine andranno sempre più col sostituire gli operai. Peccato che questa società ideale, in cui degli automi produrranno le merci al posto dell’uomo, non è né potrà mai essere la società in cui viviamo: quella capitalistica.
Esiste un principio fondativo della società, riassunto nel concetto di proprietà.
La proprietà è però riferita non solo ai semplici beni o merci acquistate sul mercato, ma soprattutto essa è insita nella proprietà dei mezzi di produzione, le fabbriche, le catene di montaggio, gli utensili, le materie prime, e, in ultima istanza, delle merci prodotte dopo la lavorazione manuale.

Ora, ragionando per assurdo, mettiamo in conto che il capitalismo possa giungere in una fase avanzata tecnologicamente, in cui non vi sono più operai sui luoghi di produzione delle merci ma, al loro posto, ci sono solo automi/robot.

La domanda sorge spontanea: Chi può comprare, dunque, le merci prodotte dagli automi?

Un passaggio logico ed abbastanza intuitivo, legato al poter comprare le merci che vengono prodotte, è ciò che scardina tutta la “teoria degli automi”: Gli operai vendono il proprio tempo libero sul mercato in base ad un prezzo, il salario, che gli permette di vivere, comprando quelle stesse merci che producono.
Se non vi fossero più operai ma solo automi, le merci prodotte non potrebbero essere vendute, e quindi verrebbe meno il profitto di chi ne detiene la proprietà.
E voglio evitare di parlare del valore intrinseco alle merci, provando ad equiparare -per assurdo- le merci prodotte dalla classe operaia e quelle “prodotte” dalle macchine.

L’ovvia conclusione di questa teoria pone la società ad un bivio esistenziale: Sfruttare il lavoro salariato per ricavarne profitto o eliminare la proprietà privata dei mezzi di produzione?
Beh, la prima via è quella razionale a livello economico per questa società.
La seconda la si ottiene attraverso un movimento razionalmente violento di rottura dello status quo produttivo.

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.