Pubblichiamo un estratto dal secondo capitolo, “L’ideologia in generale e in particolare l’ideologia tedesca”, dell’opera L’ideologia tedesca, testo scritto a quattro mani da Marx ed Engels e che ben presto finì “alla critica dei roditori”, come i rivoluzionari tedeschi affermarono, in quanto non fu pubblicato se non nel 1932. Quest’opera fu stampata e resa nota soltanto nel corso del ‘900. Marx ed Engels affermarono tale testo fosse servito a loro stessi per “fare i conti” con la sinistra hegeliana, considerata rivoluzionaria in quell’epoca. Un testo che istituisce il metodo del materialismo storico e dialettico. 
In questo stralcio Marx ed Engels ribaltano le concezioni della sinistra hegeliana per i quali il mondo materiale fosse riproduzione del mondo immateriale. Per farlo partono dagli uomini e dalle loro condizioni materiali di vita per spiegare poi la coscienza e l’ideologia, lo Stato, i rapporti politici.
Una pietra miliare di tutto il socialismo scientifico.


presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell’immaginazione. Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione4. Questi presupposti sono dunque constatabili per, via puramente empirica. Il primo presupposto di tutta la storia umana è naturalmente l’esistenza di individui umani viventi. Il primo dato di fatto da constatare è dunque l’organizzazione fisica di questi individui e il rapporto, che ne consegue, verso il resto della natura. Qui naturalmente non possiamo addentrarci nell’esame né della costituzione fisica dell’uomo stesso, né delle condizioni naturali trovate dagli uomini, come le condizioni geologiche oro-idrografiche, climatiche, e così via. Ogni storiografia deve prendere le mosse da queste basi naturali e dalle modifiche da esse subite nel corso della storia per l’azione degli uomini. Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione5 per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale. Il modo in cui gli uomini producono i loro mezzi di sussistenza dipende prima di tutto dalla natura dei mezzi di sussistenza che essi trovano e che debbono riprodurre. Questo modo di produzione non si deve giudicare solo in quanto è la riproduzione dell’esistenza fisica degli individui; anzi, esso è già un modo determinato dell’attività di questi individui, un modo determinato di estrinsecare la loro vita, un modo di vita determinato. Come gli individui esternano la loro vita, così essi sono.

Ciò che essi sono coincide dunque immediatamente con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione. Questa produzione non appare che con l’aumento della popolazione. E presuppone a sua volta relazioni fra gli individui. La forma di queste relazioni a sua volta è condizionata dalla produzione.

rapporti fra nazioni diverse dipendono dalla misura in cui ciascuna di esse ha sviluppato le loro forze produttive, la divisione del lavoro e le relazioni interne. Questa affermazione è generalmente accettata. Ma non soltanto il rapporto di una nazione con le altre, bensì anche l’intera organizzazione interna di questa stessa nazione dipende dal grado di sviluppo della sua produzione e delle sue relazioni interne ed esterne. Il grado di sviluppo delle forze produttive di una nazione è indicato nella maniera più chiara dal grado di sviluppo a cui è giunta la divisione del lavoro. Ogni nuova forza produttiva, che non sia un’estensione puramente quantitativa delle forze produttive già note (per esempio di dissodamento di terreni), porta come conseguenza un nuovo sviluppo nella divisione del lavoro.

La divisione del lavoro all’interno di una nazione porta con sé innanzi tutto la separazione del lavoro industriale e commerciale dal lavoro agricolo e con ciò la separazione fra città campagna e il contrasto dei loro interessi. Il suo ulteriore sviluppo porta alla separazione del lavoro commerciale da quello industriale. In pari tempo, attraverso la divisione del lavoro all’interno di questi diversi rami, si sviluppano a loro volta suddivisioni diverse fra individui che cooperano a lavori determinati. La posizione reciproca di queste singole suddivisioni è condizionata dai metodi impiegati nel lavoro agricolo, industriale e commerciale (patriarcalismo, schiavitù, ordini, classi). Quando le relazioni sono più sviluppate, le stesse condizioni si manifestano nei rapporti fra diverse nazioni. diversi stadi di sviluppo della divisione del lavoro sono altrettante forme diverse della proprietà; vale a dire, ciascun nuovo stadio della divisione del lavoro determina anche i rapporti fra gli individui in relazione al materiale, allo strumento e al prodotto del lavoro.

La prima forma di proprietà è la proprietà tribale. Essa corrisponde a quel grado non ancora sviluppato della produzione in cui un popolo vive di caccia e di pesca, dell’allevamento del bestiame o al massimo dell’agricoltura. In quest’ultimo caso è presupposta una grande massa dì terreni incolti. In questa fase la divisione del lavoro è ancora pochissimo sviluppata e non è che un prolungamento della divisione naturale del lavoro nella famiglia. L’organizzazione sociale quindi si limita ad essere un’estensione della famiglia: capi patriarcali della tribù, al disotto di essi i membri della tribù, e infine gli schiavi. La schiavitù, latente nella famiglia, comincia a svilupparsi a poco a poco con l’aumento della popolazione e dei bisogni, e con l’allargarsi delle relazioni esterne, così della guerra come del baratto.

La seconda forma è la proprietà della comunità antica e dello Stato, che ha origine dall’unione di più tribù in una cittàmediante patto o conquista, e in cui continua ad esistere la schiavitù. Accanto alla proprietà della comunità già si sviluppa la proprietà privata mobiliare e in seguito anche la immobiliare, che però è una forma anormale, subordinata alla proprietà della comunità. membri dello Stato possiedono soltanto nella loro comunità il potere sui loro schiavi che lavorano, e già per questo sono legati alla forma della proprietà della comunità. È la proprietà privata posseduta in comune dai membri attivi dello Stato, i quali di fronte agli schiavi sono costretti a restare in questa forma naturale di associazione. Di conseguenza l’intera organizzazione sociale fondata su questa base, e con essa il potere del popolo, decadono nella misura in cui si sviluppa la proprietà privata immobiliare. La divisione del lavoro è già più sviluppata. Troviamo già l’antagonismo fra città e campagna, più tardi l’antagonismo fra Stati che rappresentano l’interesse della città e Stati che rappresentano quello della campagna, e all’interno delle stesse città l’antagonismo tra industria e commercio marittimo. Il rapporto di classe fra cittadini e schiavi è completamente sviluppato. Tutta questa concezione della storia sembra contraddetta dal fatto della conquista. Finora erano considerate forze motrici della storia la violenza, la guerra, il saccheggio, la rapina ecc. Possiamo qui limitarci ai punti principali e prendere quindi soltanto l’esempio che più balza agli occhi, la distruzione di un’antica civiltà ad opera di un popolo barbaro e il formarsi di una nuova organizzazione della società che ad essa si ricollega. (Roma e barbari, feudalesimo e Gallia, Impero Romano d’oriente e turchi). Nel popolo barbaro conquistatore la guerra stessa costituisce ancora, come già abbiamo accennato, una forma normale di relazioni, che viene sfruttata con tanto maggiore impegno quanto più l’aumento della popolazione, perdurando il rozzo modo di produzione tradizionale che per essa è l’unico possibile, crea il bisogno di nuovi mezzi di produzione. In Italia invece, a causa della concentrazione della proprietà fondiaria (provocata, oltre che dagli acquisti e dai debiti, anche dalle eredità, perché data la grande dissolutezza e i rari matrimoni le antiche stirpi a poco a poco si estinguevano e i loro beni finivano nelle mani di pochi) e della sua trasformazione in pascolo (la quale fu provocata, oltre che dalle cause economiche ordinarie, valide ancor oggi, dall’importazione di cereali ricavati da saccheggi o da tributi e dalla conseguente mancanza di consumatori per il grano italico), la popolazione libera era quasi scomparsa, gli stessi schiavi a loro volta scomparivano e dovevano essere continuamente sostituiti da schiavi nuovi. La schiavitù restava la base dell’intera produzione. plebei, che stavano fra i liberi e gli schiavi, non riuscirono mai ad elevarsi al di sopra della condizione di sottoproletariato. Roma non fu mai niente di più che una città ed era legata alle province da un rapporto quasi esclusivamente politico che naturalmente poteva anche essere spezzato da avvenimenti politici. Con lo sviluppo della proprietà privata appaiono qui per la prima volta quelle stesse condizioni che ritroveremo, soltanto in misura più estesa, nella proprietà privata moderna. Da una parte la concentrazione della proprietà privata, che a Roma cominciò molto presto (come prova la legge agraria licinia6) e procedette rapidamente a cominciare dalle guerre civili e soprattutto sotto gli imperatori; d’altra parte, e in relazione a ciò, la trasformazione dei piccoli contadini plebei in un proletariato che però, per la sua posizione intermedia fra cittadini possidenti e schiavi, non arrivò a uno sviluppo autonomo.

La terza forma è la proprietà feudale o degli ordini. Mentre l’antichità muoveva dalla città e dalla sua piccola cerchia, il Medioevo muoveva dalla campagnaLa popolazione allora esistente, scarsa e dispersa su una vasta superficie, debolmente incrementata dai conquistatori, determinò questo spostamento del punto di partenza. Al contrario della Grecia e di Roma, lo sviluppo feudale comincia quindi su un terreno molto più esteso, preparato dalle conquiste romane e dalla diffusione dell’agricoltura che originariamente ne dipende. Gli ultimi secoli del cadente Impero Romano e la stessa conquista dei barbari distrussero una grande quantità di forze produttive; l’agricoltura era caduta in abbandono, l’industria rovinata per mancanza di sbocco, il commercio intorpidito o violentemente troncato, la popolazione della campagna e delle città era diminuita. Queste condizioni preesistenti e il modo come fu organizzata la conquista, da quelle condizionato, provocarono, sotto l’influenza della costituzione militare germanica, lo sviluppo della proprietà feudale. Come la proprietà tribale e la proprietà della comunità anch’essa poggia su una comunità alla quale sono contrapposti come classe direttamente produttrice non gli schiavi, come per la proprietà antica, bensì i piccoli contadini asserviti. Insieme col completo sviluppo del feudalesimo compare anche l’antagonismo con le città. L’organizzazione gerarchica del possesso fondiario e le relative compagnie armate davano alla nobiltà il potere sui servi della gleba. Questa organizzazione feudale era un’associazione opposta alle classi produttrici, precisamente come la proprietà della comunità antica; solo che la forma dell’associazione e il rapporto con i produttori diretti erano diversi, perché esistevano condizioni di produzione diverse.

A questa organizzazione feudale del possesso fondiario corrispondeva nelle città la proprietà corporativa, l’organizzazione feudale dell’artigianato. Qui la proprietà consisteva principalmente nel lavoro di ciascun singolo. La necessità di associarsi contro la rapace nobiltà associata, il bisogno di mercati coperti comuni in un tempo in cui l’industriale era insieme mercante, la crescente concorrenza dei servi della gleba fuggitivi che affluivano nelle città fiorenti, l’organizzazione feudale dell’intero paese, portarono alle corporazioni; i piccoli capitali risparmiati a poco a poco da singoli artigiani e il loro numero stabile in seno a una popolazione crescente fecero sviluppare il rapporto di garzone e di apprendista, che dette origine a una gerarchia simile a quella esistente nelle campagne.

Nell’età feudale dunque la proprietà principale consisteva da una parte nella proprietà fondiaria col lavoro servile che vi era legato, dall’altra nel lavoro personale con un piccolo capitale che si assoggettava il lavoro dei garzoni. L’organizzazione dell’una e dell’altro era condizionata dalle ristrette condizioni della produzione: la limitata e rozza coltura della terra e l’industria di tipo artigianale. Durante il fiorire del feudalesimo la divisione del lavoro era assai limitata. Ogni paese portava in sé l’antagonismo di città e campagna; l’organizzazione in ordini era fortemente marcata, ma al di fuori della separazione fra principi, nobiltà, clero e contadini nelle campagne, e fra maestri, garzoni, apprendisti e ben presto anche plebei a giornata nelle città, non esisteva alcuna divisione di rilievo. Nell’agricoltura vi si opponeva la coltivazione parcellare, accanto alla quale sorgeva l’industria domestica degli stessi contadini, nell’industria il lavoro non era affatto diviso all’interno dei singoli mestieri, pochissimo diviso fra un mestiere e l’altro. La divisione fra industria e commercio preesisteva nelle città più antiche, mentre nelle nuove si sviluppava lentamente, quando fra esse si stabilivano rapporti. L’unificazione di più vasti paesi in regni feudali era un bisogno tanto per la nobiltà terriera quanto per le città. L’organizzazione della classe dominante, la nobiltà, ebbe quindi dappertutto al suo vertice un monarca.

Il fatto è dunque il seguente: individui determinati che svolgono un’attività produttiva secondo un modo determinato entrano in questi determinati rapporti sociali e politici. In ogni singolo caso l’osservazione empirica deve mostrare empiricamente e senza alcuna mistificazione e speculazione il legame fra l’organizzazione sociale e politica e la produzione. L’organizzazione sociale e lo Stato risultano costantemente dal processo della vita di individui determinati; ma di questi individui, non quali possono apparire nella rappresentazione propria o altrui, bensì quali sono realmente, cioè come operano e producono materialmente, e dunque agiscono fra limiti, presupposti e condizioni materiali determinate e indipendenti dalla loro volontà.

La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo direttamente intrecciata alla attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale. Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale, quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc. di un popolo7. Sono gli uomini i produttori delle loro rappresentazioni, idee, ecc., ma gli uomini reali, operanti, cosi come sono condizionati da un determinato sviluppo delle loro forze produttive e dalle relazioni che vi corrispondono fino alle loro formazioni più estese. La coscienza non può mai essere qualche cosa di diverso dall’essere cosciente, e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita8. Se nell’intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico.

Esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discende dal cielo sulla terra, qui si sale dalla terra al cielo. Cioè non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa, si immagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell’uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali. Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell’autonomia. Esse non hanno storia9, non hanno sviluppo, ma sono gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. Nel primo modo di giudicare si parte dalla coscienza come individuo vivente, nel secondo modo, che corrisponde alla vita reale, si parte dagli stessi individui reali viventi e si considera la coscienza soltanto come la loro coscienza.

Questo modo di giudicare non è privo di presupposti. Esso muove dai presupposti reali e non se ne scosta per un solo istante. I suoi presupposti sono gli uomini, non in qualche modo isolati e fissati fantasticamente, ma nel loro processo di sviluppo, reale ed empiricamente constatabile, sotto condizioni determinate. Non appena viene rappresentato questo processo di vita attivo, la storia cessa di essere una raccolta di fatti morti, come negli empiristi che sono anch’essi astratti, o un’azione immaginaria di soggetti immaginari, come negli idealisti.

Là dove cessa la speculazione, nella vita reale, comincia dunque la scienza reale e positiva, la rappresentazione dell’attività pratica, del processo pratico di sviluppo degli uomini. Cadono le frasi sulla coscienza e al loro posto deve subentrare il sapere reale. Con la rappresentazione della realtà la filosofia autonoma perde i suoi mezzi d’esistenza10. Al suo posto può tutt’al più subentrare una sintesi dei risultati più generali che è possibile astrarre dall’esame dello sviluppo storico degli uomini. Di per sé, separate dalla storia reale, queste astrazioni non hanno assolutamente valore. Esse possono servire soltanto a facilitare l’ordinamento del materiale storico, a indicare la successione dei suoi singoli strati. Ma non danno affatto, come la filosofia, una ricetta o uno schema sui quali si possano ritagliare e sistemare le epoche storiche. La difficoltà comincia, al contrario, quando ci si dà allo studio e all’ordinamento del materiale, sia di un’epoca passata che del presente, a esporlo realmente. Il superamento di queste difficoltà è condizionato da presupposti che non possono affatto essere enunciati in questa sede, ma che risultano soltanto dallo studio del processo reale della vita e dell’azione degli individui di ciascuna epoca. Qui prenderemo alcune di queste astrazioni di cui ci serviamo nei confronti dell’ideologia e le illustreremo con esempi storici.

Note

1 Sussumere: ricondurre un concetto ad in una categoria più generale.

2 In quanto trasformano tutto in dogmi e in rapporti religiosi Bauer e Stirner sono spesso chiamati qui ironicamente san Bruno e san Max.

3 Altra precisa allusione a Feuerbach, B. Bauer e Stirner.

4 Gli individui non sono astratti o dati in sé, ma surdeterminati dalle condizioni storiche, sociali, economiche, politiche, etc. sia già esistenti sia prodotte dalla loro stessa azione.

5 Riferimento a‘Essenza del cristianesimo di Feuerbach

6 Legge del 367 A.C proposta dal tribuno Gaio Licinio Stolone che stabiliva un limite alla proprietà fondiaria.

7 Cfr F. Engels Lettera a J. Bloch 1890

8 Cfr. K. Marx, “ Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza” Introduzione a Per la critica dell’economia politica

9 Cioè non hanno uno sviluppo autonomo.

10 La filosofia, come pura ricerca speculativa non ha più ragione di esistere. “Si lascia correre la verità assoluta, che per questa via e da ogni singolo isolatamente non può essere raggiunta, e si dà la caccia invece alle verità relative accessibili per la via delle scienze positive e della sintesi dei loro risultati a mezzo del pensiero dialettico. Con Hegel ha fine, in generale, la filosofia; da una parte perché egli, nel suo sistema, ne riassume l’evoluzione nella maniera più grandiosa, dall’altra perché egli, sia pur inconsapevolmente, ci mostra la via che da questo labirinto di sistemi ci porta alla vera conoscenza positiva del mondo”.

11 Allusione a un’espressione di Bauer.

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