A un anno dal femminicidio di Giulia, dall’offensiva genocida israeliana a Gaza e a pochi giorni dallo sciopero nazionale indetto da Cgil e Uil, donne, queer e alleati tornano in piazza a Roma e in tutto il Paese per la giornata internazionale contro la violenza di genere.
Pubblichiamo la dichiarazione della corrente femminista socialista Il pane e le Rose – Pan y Rosas Italia, che rivendica la ricostruzione di un movimento in cui organizzare la nostra rabbia attraverso la convergenza con sindacati e organizzazioni sociali per riuscire a capovolgere il sistema imperialista basato sull’alleanza tra capitale e l’etero cis patriarcato.
Il governo Meloni è un riferimento per l’ascesa globale delle destre
I discorsi antifemministi, maschilisti e le tendenze conservatrici sono tornati sulle prime pagine sulla scia dell’ascesa della destra a livello mondiale, di fatto potendo contare sulla sponda della politica liberale.
Il governo Meloni si inserisce perfettamente in questa retorica e utilizza i discorsi sessisti e queerfobici per portare avanti politiche di austerità sulle fasce sociali già impoverite dalla crisi. Infatti, proprio nell’ultima settimana abbiamo dovuto assistere alle riprovevoli dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Valditara che negava l’esistenza del patriarcato, considerandolo un problema meramente legale, in quanto già superato; ammette però che i casi di violenza sulle donne persistano costantemente, affibbiandoli però alla criminalità dovuta dalla migrazione irregolare.
L’alleanza dei discorsi sessisti a quelli xenofobi promossi dalla destra si riversa nei loro programmi e delle loro politiche governative. Li ha sempre usati per giustificare i tagli alla sanità, all’istruzione e ai diritti sociali in tempi di crisi, come quelli presentati dal governo all’UE come parte di un piano di austerità settennale, che include anche una significativa battuta d’arresto per i salari dei lavoratori.
Diretta conseguenza di queste stesse politiche è l’aumento della repressione. Il decreto anti rave, il DDL 1660, la riforma del codice della strada, l’indurimento delle condizioni di detenzione nei carceri e nei CPA, la repressione violenta nelle piazze e la criminalizzazione della gestazione per altri come reato universale ne sono solo alcuni esempi.
Il governo Meloni si sta ponendo al fronte degli attacchi alla comunità LGBTQ+: sa bene di non poter toccare direttamente i diritti conquistate con le lotte femministe, come l’aborto, però sta mettendo in atto manovre laterali che li svuotano alle fondamenta. L’attacco sulla gestazione per altri e diretto soprattutto verso le coppie omosessuali, non lasciandole nemmeno libere di esercitare il diritto alla proprietà privata caratteristica del capitalismo, quindi libere di costruire la tanto decantata famiglia nucleare che le destre si rivendicano. Noi invece, siamo convint3 che bisogna armarsi per lottare non solo per i diritti minimi concessi nel capitalismo ma anche per superarli e aprirci al desiderio libero dallo sfruttamento e dall’oppressione anche ideologica del cis etero patriarcato.
È evidente che lìelezione della prima donna presidente del consiglio in Italia non è stata affatto garanzia di politiche di cura sia verso le donne che verso i soggetti ai margini della società, come invece aveva auspicato la stampa borghese da cui si esprime il femminismo liberale.
In una delle sue conferenze, Meloni ha addirittura sfottuto le femministe italiane dicendo che mentre c’è chi pensa ai termini da usare per appellarsi al femminile “come la presidentessa vs. il presidente” lei aveva fatto sì che sotto il suo mandato ci fosse un record storico di disoccupazione femminile: un lapsus che dice tutto su quello che realmente sta succedendo, al contrario dei dati manipolati che il governo rivendica per dire che l’economia italiana va alla grande.
Sappiamo bene che, se e quando aumenta l’occupazione femminile, ciò avviene per le manovre di precarizzazione inflitte sull3 lavorator3, ed è proprio questa che contraddistingue il lavoro femminilizzato, causando così il famoso doppio carico della giornata lavorativa sulle donne. Non c’è nessuna libertà se quella che cresce è la libertà di essere sfruttate come e più degli uomini.
Un anno dal ritorno in piazza: per quale movimento?
Un anno fa, mezzo milione di persone sono scese in piazza a Roma in un’esplosione di rabbia contro il patriarcato e le relazioni sociali sessiste. Ci mobilitavamo per Giulia Cecchettin, contro qualsiasi pronostico anche nelle stesse compagne di Non Una Di Meno, che organizzavano la manifestazione, quella giornata ha catalizzato del dissenso su diversi fronti: i femminicidi, i transicidi, l’inizio del massacro di donne e bambine a Gaza, le politiche da fame del governo Meloni hanno portato a riconsiderare le piazza come un mezzo di lotta valido in un epoca storicamente disillusa.
Con l’inizio del genocidio in Palestina abbiamo assistito all’autorganizzazione dal basso dell3 student3 nei luoghi della formazione con assemblee periodiche di discussione, con occupazioni dell’università e azioni partecipate delle accampate. Questo metodo di costruzione della lotta ha fatto si che le nuove generazioni si riavvicinassero allo spirito e ai metodi che hanno contraddistinto il movimento del ’68, non arrivando a riconquistarlo però fino in fondo. Mancava un soggetto politico capace di far convergere profondamente la lotta studentesca con quella dell3 lavorator3. L’esempio che ci hanno dato l3 student3 fiorentin3 in alleanza con i lavoratori dell’ex GKN doveva fare da leva sulle organizzazioni sindacali, i gruppi e partiti di sinistra per costruire uno spazio di accoglienza di tutte le rivendicazioni capaci di intersecare i bisogni dell3 lavorator3 con quelle dell3 student3 a partire proprio dalla Palestina, come la riconversione delle fabbriche belliche, un opposizione congiunta al governo Meloni a partire dalla condannazione del genocidio a Gaza e rifiuto di qualsiasi tipo di sostegno ad esso. Perché non c’è prospettiva per l3 student3 di vincere senza la classe lavoratrice e non c’è liberazione dallo sfruttamento senza una lotta contro l’imperialismo.
Così come quest’alleanza è mancata anche sul terreno transfemminista. Infatti, oltre la giornata del 25 novembre dello scorso anno, questa convergenza tra lotta femminista e questione palestinese si è troppo poco sviluppata come pratica nei momenti assembleari che sul piano politico.
Perché la questione del supporto politico ad Hamas (e in generale all’islamismo politico) pone una contraddizione per le femministe nostrane. Per questo, noi sin dal 7 ottobre abbiamo sempre sottolineato che il nostro sostegno va alla lotta di liberazione nazionale palestinese, ma condanniamo la prospettiva fondamentalista di Hamas. Quindi, il piano di lotta comune tra il femminismo e movimento per la Palestina sussiste solo se si pone una criticità verso questo tipo di prospettiva di resistenza, che non offre una reale possibilità di liberazione per il popolo palestinese e se si comprende quanto l’occidente interiorizza il proprio imperialismo attraverso discorsi islamofobi che soddisfano il bisogno delle classi dominanti di dividere su questioni razziali e di genere quelle subalterne.
Far convergere le questioni di genere con quella di liberazione per la Palestina e quella per la fine dello sfruttamento capitalista è di fondamentale importanza: la violenza che ha ucciso Giulia e altre 106 donne, la violenza che ha causato 766 morti sul lavoro solo quest’anno e la violenza imperialista che permette da più di tredici mesi allo Stato di Israele di perpetrare un genocidio è la stessa ed è sistemica.
È la violenza di un sistema capitalista e patriarcale che nei momenti di crisi non solo non lascia libertà al desiderio, all’arte, alla bellezza ma nemmeno il diritto alla vita. Le nostre morte saranno il peso che solo un movimento veramente intersezionale, convergente, di lotta, che non si ferma a voler riformare il sistema ma che lo mini alle sue fondamenta. Solo organizzandoci possiamo costruire un movimento rivoluzionario che ci liberi da tutte le oppressioni e che ci restituisca la bellezza di una vita degna di essere vissuta, liber3 dal gioco del patriarcato che non ci permette di amare chi vogliamo, scopare con chi desideriamo e procreare al di là del nostro del nostro genere.
Perché noi vogliamo il pane ma anche le rose.
Il pane e le Rose – Pan y Rosas Italia
"Il pane e le rose" nasce nel 2019 e riunisce militanti della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) e indipendenti che aderiscono alla corrente femminista socialista internazionale "Pan y Rosas", presente in molti paesi in Europa e nelle Americhe