Milioni di lavoratori hanno aderito allo sciopero generale indetto dai sindacati maggiori CGIL e UIL e da molti sindacati di base. Salari bassi, politiche antidemocratiche e militariste, una legge finanziaria antipopolare hanno generato un largo ripudio delle politiche del governo Meloni.


Venerdì 29 novembre lo sciopero generale nazionale convocato da due dei tre sindacati maggioritari italiani, CGIL e UIL, e da molti sindacati minori “di base”, ha avuto un largo successo, con milioni di lavoratori che hanno aderito e centinaia di migliaia che hanno partecipato alle oltre 40 manifestazioni territoriali.

Lo sciopero è stato convocato per l’assenza di dialogo del governo nei confronti dei sindacati sui temi della legge finanziaria (in via di approvazione a dicembre), per l’attacco ai contratti nazionali di categoria da parte delle organizzazioni padronali, a partire dal caso di rottura più aperta, quello dei metalmeccanici, dove i sindacati hanno rivendicato la diminuzione dell’orario di lavoro a parità di paga, con una rottura del tavolo di negoziazione da parte di Confindustria.

La manovra finanziaria del governo Meloni rappresenta il ritorno dell’austerità – con il pretesto del “pareggio di bilancio” statale – e dei tagli per la classe lavoratrice e per la popolazione povera a partire da sanità e istruzione, mentre pochi ricchissimi hanno accumulato ancora più denaro nel periodo successivo all’emergenza Covid.

A tutto questo si aggiunge il nuovo decreto sicurezza ddl ex 1660, ennesimo approfondimento della gravissima stretta repressiva governativa contro chi protesta e lotta, dopo i decreti di Minniti (governo Gentiloni, centrosinistra, 2017) e Salvini (governo Conte I “giallo-verde”, 2018). Questo provvedimento è un attacco alle pratiche storicamente adottate dal movimento dei lavoratori e delle lavoratrici – un esempio evidente è l’introduzione di una fattispecie penale per il blocco stradale – pertanto sta incontrando la dura contestazione delle organizzazioni di movimento e dei sindacati e il suo stralcio è parte delle rivendicazioni della mobilitazione del 29 novembre.

I dirigenti sindacali di CGIL e UIL hanno commentato in modo entusiasta la riuscita dello sciopero:

“Sciopero riuscito. Il mondo del lavoro ha abbracciato le ragioni della nostra mobilitazione. L’adesione allo sciopero è stata di oltre il 70%, e mezzo milione di persone sono scese in piazza, nelle oltre 43 manifestazioni pacifiche e democratiche. La legge di bilancio – aggiungono le due confederazioni sindacali – non risponde ai bisogni del Paese e dei cittadini e le piazze piene di oggi lo hanno dimostrato. Aumentare salari e pensioni, finanziare sanità, istruzione e servizi pubblici, investire nelle politiche industriali sono priorità per le lavoratrici e i lavoratori”.

Risultati positivi, sottolineano, in tutti i comparti economici, a partire dal metalmeccanico, ma anche nell’agroalimentare (100% all’Heineken di Taranto), nel chimico, nel tessile, nel commercio (90% all’Ikea di Genova) e nei servizi. Forse i numeri diffusi in giornata dai sindacati sono arrotondati per eccesso, dato che ci sono settori anche importanti dove sicuramente l’adesione è stata più bassa, come le poste (circa 4%) e la scuola (meno del 6%), e l’adesione nei trasporti è stata fortemente limitata dalla precettazione operata dalla commissione di garanzia sugli scioperi dietro pressione del Ministro dei Trasporti Matteo Salvini. La mossa del ministro non è nuova – già troppi altri scioperi dei trasporti sono stati bloccati da Salvini – in un quadro complessivo di attacco al diritto di sciopero. Perciò occorre denunciare e combattere la precettazione, pretendo l’abrogazione di questo strumento antioperaio previsto dalle leggi 146 del 1990 e 83 del 2000. Nonostante questi attacchi, i ferrovieri combattono da mesi e bloccano continuamente il paese contro condizioni di lavoro vergognose di cui il ministro Salvini non si sta minimamente occupando. I sindacati confederali avrebbero dovuto lottare con decisione contro la precettazione – vista l’importanza strategica dei trasporti in uno sciopero generale – invece di limitarsi a impugnare la misura al livello legale.

Un altro fattore di limitazione dello sciopero è stato l’atteggiamento di sostegno più o meno parziale al governo da parte della CISL e di altri sindacati minori “autonomi”, che hanno adottato una linea di conflitto zero o quasi nei confronti del governo Meloni. Del resto il sindacato cattolico negli ultimi 15 anni ha approfondito sempre più la propria linea moderata e collaborazionista, operando come zavorra nel fronte sindacale Cgil-Uil-Cisl, a suo tempo per sabotare l’opposizione al Jobs Act del governo Renzi nel 2014-2015 e all’austerità del governo Monti nel 2011-2012 (vedasi l’assenza di scioperi contro la riforma Fornero delle pensioni). Pertanto la rottura dell’unità sindacale tra Cgil-Uil da un parte e Cisl dall’altra va salutata con favore, in quanto necessaria precondizione per il rilancio conflittuale del sindacalismo di massa.

Per una grande campagna di lotta sociale, per un’opposizione indipendente dal centrosinistra

Questo importante sciopero generale può essere un primo grande passo per aprire una stagione di lotta sociale contro il governo di destra, contro le politiche di riarmo e di intervento imperialista all’estero, a partire dall’escalation di NATO e Russia in Ucraina e dal supporto alla campagna genocida di Israele in Palestina. Il malessere e la tensione verso la mobilitazione e verso lo sciopero di settori separati, come i metalmeccanici, i trasporti, gli universitari pro-Palestina, la gioventù ecologista e femminista, ha bisogno di forme democratiche e radicali di organizzazione dal basso, di elaborazione di piani di lotta e rivendicazioni comuni, di una mobilitazione che vada oltre la routine dei sindacati, contro le burocrazie che mettono un freno allo sviluppo di una lotta di classe profonda e unitaria.

La prima occasione si è già data sabato 30 novembre, con la manifestazione nazionale convocata dalle organizzazioni arabo-palestinesi per lo stop al genocidio e la fine della politica coloniale del sionismo, per la liberazione nazionale palestinese e il pieno diritto al ritorno della diaspora.

Le lotte antirazziste, antimperialiste e antipatriarcali possono acquistare una forza sociale enorme se diventano parte della mobilitazione della classe lavoratrice e delle sue organizzazioni. Questo passa per l’unione della lotta allo sfruttamento economico capitalista a quella contro tutte le forme di oppressione, elaborando un programma di emancipazione comune dal sistema imperialista razzista e patriarcale, rivendicando un’organizzazione democratica e radicale dei sindacati, lottando per recuperarli dalla casta burocratica che li dirige.

Se la stessa burocrazia sindacale, nel suo settore più avanzato, arriva a rivendicare la diminuzione dell’orario di lavoro a parità di paga, il riformismo “realista” di molti settori della sinistra – che finiscono per adattarsi al Partito Democratico e al centrosinistra – non ha più alcuna prospettiva. Si apre strada, invece, il dibattito su come la classe lavoratrice può pensare e mettere in pratica un’alternativa di controllo dell’economia e della società di fronte alla tragedia del riarmo generale e dei conflitti militari e delle emergenze umanitarie in tutto il mondo, alla catastrofe ambientale che affligge il pianeta, alla crisi di profitto dei capitalisti che viene fatta pagare alla grande maggioranza degli sfruttati.

Lottare per una grande campagna di “convergenza” delle lotte, come rivendicano gli operai del Collettivo di fabbrica ex-GKN di Firenze, non può essere separato dalla costruzione di un’opposizione sociale e politica indipendente dai partiti di governo, dal centrosinistra, dalla grande burocrazia sindacale, specialmente in un paese dove la crisi e la decomposizione della sinistra anticapitalista e della classe lavoratrice è tanto profonda.

Per questo rivendichiamo l’urgente attualità della costruzione di una sinistra rivoluzionaria, socialista, militante, centrata nella classe lavoratrice e nella lotta di classe, come riferimento anche per la gioventù in lotta, per le donne, per tutti i soggetti oppressi.

Abbiamo bisogno di una forte opposizione sociale contro le politiche del governo, di Confindustria, di Leonardo, impegnate nel riarmo italiano ed europeo, e nel sostegno concreto alle campagne militari genocide di Israele. I nostri stipendi sono tenuti fermi da più di trent’anni, mentre i capitalisti preparano nuove guerre e massacri pagati coi nostri soldi e con le nostre vite: è arrivato il momento di tornare all’attacco. Perciò siamo scesi in piazza per uno sciopero generale per salari più alti e zero soldi alle armi, contro l’economia di guerra e contro la repressione delle opposizioni sociali e delle fasce più combattive della classe lavoratrice. È fondamentale unire i lavoratori e lavoratrici con gli studenti mobilitatisi contro il genocidio in Palestina: perché il sistema che schiaccia i nostri salari, distrugge l’università e la sanità pubbliche, ci fa lavorare orari improponibili e licenzia è lo stesso che con l’imperialismo produce oppressione dei popoli, genocidio e guerra. Lo stesso sistema che però i lavoratori e le lavoratrici possono far saltare ribaltando i rapporti di forza con lo sciopero come arma politica.

In migliaia abbiamo dato voce a una protesta compatta contro lo sfruttamento e l’imperialismo, ma ancora non basta. Nell’ottica di un rilancio di massa del sindacalismo conflittuale, occorre riprendersi i sindacati per strapparli alle burocrazie andando ad insidiare l’egemonia dei settori conciliatori nei sindacati confederali (Cgil in particolare). Occorre rompere lo sparpagliamento del sindacalismo di base, spingendo per il fronte unico – al di là di ogni sigla – in alleanza con le avanguardie combattive dentro e fuori i sindacati confederali per tornare ad essere capaci di ribaltare seriamente i rapporti di forza nella lotta di classe. Le piazze separate durante lo sciopero sono state fortemente controproducenti – e non sempre hanno portato a grandi numeri dal lato dei sindacati di base – pertanto non possiamo che criticare fortemente questa attitudine, che non fa altro che lasciare campo libero all’inadeguatezza opportunista di Landini, De Palma e Bombardieri. L’esperienza del Collettivo di Fabbrica dell’ex-Gkn ci ha mostrato chiaramente l’importanza di ricostruire rapporti di forza a nostro favore, costruendo capillarmente in ogni luogo di lavoro collettivi dei lavoratori e delle lavoratrici e coordinamenti intersindacali, nell’ottica di costruire l’unità sindacale nelle lotte e quindi il potere della classe lavoratrice. Occorre accrescere il più possibile l’influenza dei lavoratori e delle lavoratrici sulle decisioni delle aziende, costruendo e approfondendo forme di controllo democratico dal basso che forzino le decisioni nei posti di lavoro.

Occorre continuare a rivendicare la riduzione dell’orario di lavoro, forti aumenti, opporsi ai tagli all’università e all’istruzione che finanziano l’economia di guerra, lottare contro il genocidio sionista. Bisogna fare in modo che lo sciopero del 29 novembre non rimanga una data isolata, per costruire un piano di lotta su tutti questi punti, lavoratori e studenti uniti. Facciamo in modo che questo sciopero sia il primo grande passo di una campagna di lotta!


Redazione de lavocedellelotte.it

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
Sito informativo della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR).