di CM

-Se c’hai i soldi te poi curà, sennò devi morì pe’ loro-

(Se hai i soldi ti puoi curare, altrimenti, per loro, devi morire)

Questo è quello che, declinato in dialetto, si può sentir dire davanti le ASL nei quartieri popolari di Roma, alcune delle quali servono (o meglio, dovrebbero servire) centinaia di migliaia di utenti. Non ci concentreremo tanto sui particolari tecnici dei tagli attuati da tutti i governi negli ultimi cinque anni, comunque quantificati in decine di miliardi di euro nel caso ve lo steste chiedendo, a cui magari dedicheremo più tempo in successivi articoli, quanto sulle ricadute su alcuni servizi specifici, quindi sulla salute e sulla qualità della vita dei proletari e su come in questi quartieri, davanti a queste ASL, il dolore e la rabbia siano pane quotidiano. Su come questo dolore e questa rabbia siano figli della concezione che se sei malato e non hai i soldi per curarti la cosa vada tenuta segreta, come una specie di vergogna, figlia a sua volta, questa concezione, dall’idea che non serva più lottare.

Uno dei servizi di cui parlavamo prima è senza dubbio il CAD, centro di assistenza domiciliare, un servizio solo teoricamente attivo che dovrebbe essere a disposizione di tutti gli utenti ASL sbloccabile attraverso il medico di base. La particolare natura di questo servizio lo rende anche un punto di partenza da cui iniziare a ragionare per comprendere quanto la vita di chi non può permettersi migliaia di euro, non per curarsi, ma anche solo per passare dignitosamente gli ultimi anni (o mesi, o settimane) della propria vita, conti evidentemente poco nel capitalismo. Il CAD dovrebbe dare accesso a tutta una serie di servizi (medicazioni, flebo e cateteri, alla proteica per pannoloni, sedie a rotelle, deambulatori e apparecchi acustici ecc.) per i pazienti bloccati su un letto che quindi necessiterebbero di assistenza a domicilio. Già, tutto in teoria, perché la realtà è che sono i parenti dei pazienti che devono letteralmente farsi in quattro per ottenerli (ma anche solo per ottenere informazioni al riguardo) e spesso non li ottengono dovendosi sobbarcare un lavoro per cui non sono preparati, che distrugge fisicamente e psicologicamente chi vorrebbe solo vedere un proprio caro bloccato in casa curato e seguito in totale sicurezza. Ci si scontra invece con una realtà violentemente grottesca, in cui pazienti che avrebbero bisogno di visite e controlli costanti sono abbandonati a se stessi. E se non si ha una famiglia premurosa? E se non si hanno dei risparmi per potersi comprare tutti questi servizi privatamente? La risposta è semplice anche se nessun ministro, direttore o responsabile la dice chiara e tonda: se non ce l’hai tutta sta roba puoi morire. È evidente a chiunque non sia intossicato dalla favoletta dei “diritti” che la morte di chi non sta in cima alla piramide capitalista è un rischio calcolato, esattamente come lo è per chi lavora in nero nei cantieri o dentro le fabbriche.

In tutta la sua semplice barbarie: la vita dei proletari non è un problema prioritario per questo sistema.

Ovviamente non certo al solo CAD si fermano i problemi della sanità pubblica, oltre a tutto ciò ci sono le condizioni di lavoro di infermieri e operatori sanitari, la scarsa formazione che ricevono (o, sono obbligato ancora ad usare il condizionale, dovrebbero ricevere), il sotto organico che costringe tutti a tempi d’attesa, che spesso sono di mesi anche solo per le visite di valutazione delle condizioni dei pazienti allettati e chi più ne ha più ne metta.

Cosa si può fare?

Rispondere a questa domanda è solo apparentemente difficile. In realtà in questo sistema sociale basato su sfruttamento e violenza la risposta è sempre e solo una: la lotta di chi subisce contro chi amministra, in poche parole, verso chi si prende la responsabilità di spostare soldi dalla sanità pubblica concedendone a quella privata, in un meccanismo che visto da vicino, anche solo superficialmente, rende chiara la natura ferocemente classista dello Stato borghese. Per fare un esempio, a Roma, un gruppo molto ristretto di compagni ha cominciato a lavorare su questa tematica e sono entrati a stretto contatto con la realtà delle ASL volantinando, indicendo assemblee pubbliche e prendendo contatti con utenti e lavoratori e raggiungendo un primo obiettivo con l’istituzione di un tavolo permanente con la dirigenza di una di queste ASL (Roma2), per fare pressione e tentare di riequilibrare i rapporti di forza che oggi, in ogni campo, sono a pieno vantaggio della borghesia contro il proletariato. Attraverso un percorso faticoso, lavoratori e utenti devono vedersi come soggetti allo stesso sistema che rende le vite di tutti più difficili. I problemi di salute non sono una questione personale, essere malati e non riuscire a sostenere economicamente le cure non è una vergogna da vivere in solitudine, la salute, come ogni altro aspetto della propria vita, in una società, è una questione che riguarda tutti e tutte, si può e si deve uscire dall’isolamento ed è tutt’altro che impossibile, poiché nei fatti tutte le sovrastrutture che dividono la classe lavoratrice, il razzismo, l’ostilità tra lavoratori e fra lavoratori e utenti, si sgretolano appena ci si riconosce come appartenenti alla stessa classe, allo stesso strato sociale. E riconoscendoci e organizzandoci potremmo scoprire la nostra forza, una forza che in tanti hanno tentato di distruggere, la forza del proletariato, l’unica che può, a partire dai bisogni primari, rovesciare l’ingiustizia, rovesciare un sistema sociale basato sullo sfruttamento e sul massacro della maggioranza della popolazione a favore dei profitti di pochi.