Giorgia Meloni continua a dichiararsi favorevole al diritto all’aborto. Le azioni concrete della destra al governo, in particolare l’apertura dei consultori agli antiabortisti, ci dicono l’opposto. Abbiamo bisogno di un femminismo che lotti contro le offensive reazionarie, le privatizzazioni/tagli della sanità, le politiche imperialiste dei partiti governisti.


Diritto a non abortire”, “piena applicazione della legge 194”, “superamento delle cause dell’aborto”. Con queste parole Giorgia Meloni, dal suo insediamento, ha espresso la sua posizione in merito alla legge 194/1978 che regolamenta l’interruzione di gravidanza, facendo intuire che con il suo governo qualcosa sarebbe cambiato. 

Difatti il 23 aprile la maggioranza di governo ha approvato in Senato tra le misure aggiuntive per l’applicazione del PNRR l’emendamento al DL 19/2024 che spalanca le porte agli antiabortisti nei consultori pubblici, legittimando le associazioni antiabortiste e provando a rafforzare la presenza all’interno dei consultori.

Un emendamento al decreto PNNR (approvato dal Governo a colpi di fiducia, al solito) prevede che le Regioni, nell’organizzare il lavoro dei consultori “possono avvalersi senza nuovi e maggiori oneri per lo Stato, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo Settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”.

La legge 194, che tutela l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, all’articolo 2 recita testualmente: ”I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.

Ma non basta: in una recente riunione presieduta dalla ministra per le pari opportunità e la famiglia Eugenia Roccella, in cui si affrontava la revisione dell’intesa tra Stato e regioni sui requisiti minimi per l’accreditamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio, è apparso evidente l’indirizzo di voler ampliare a qualsiasi soggetto la gestione di quei servizi, facendo cadere gli attuali requisiti difesi dalle associazioni femministe, che hanno creato i centri antiviolenza. A conferma di questo indirizzo è stato prorogato da 18 a 36 mesi il periodo concesso a tutti i soggetti interessati per certificare l’acquisizione dei requisiti minimi per la gestione. La preoccupazione è che si voglia cancellare il ruolo delle associazioni femministe che questi luoghi li hanno costruiti con anni di lotte.

I centri antiviolenza devono essere gestiti da operatrici esperte che hanno alle spalle una formazione femminista: non possono essere lasciati nelle mani di operatrici che vogliono convincere le donne a rimanere dentro famiglie violente o con delle idee di famiglia tradizionale.

Al governo italiano, dovremo far presente che i soggetti del Terzo Settore con ‘esperienza qualificata di sostegno alla maternità’ non esistono o, se esistono, di certo non prestano la loro opera senza ‘ulteriori oneri per lo Stato’, come prevede l’emendamento al decreto PNNR. Facciamo anche presente alla presidente Meloni che sostegno alla maternità vuol dire sostegno alle madri, cioè a quelle che scelgono di esserlo

Vogliamo il pieno accesso all’aborto e tutti i nostri diritti

Mettere in croce donne che consapevolmente hanno scelto di non diventare madri è soltanto un’ennesima violenza patriarcale; difendere le donne esclusivamente quando si tratta delle loro ‘libertà negative’ (il diritto a NON essere), invece, è riduttivo e insufficiente. 

Va messo in evidenza come in ben 22 ospedali e quattro consultori italiani la percentuale di obiettori arrivi al 100%. Le regioni in cui è più difficile abortire sono Molise, Puglia e Marche. E per le donne che vogliono optare per l’aborto farmacologico, disponibile in Italia dal 2009 (dal 1988 in Francia e dal 1990 in Gran Bretagna), le cose non sono più semplici. Dal 2020 la pillola Ru486 (mifepristone e misoprostolo) può essere somministrata senza necessità di ricovero ospedaliero, ma contro la decisione del Ministero della Salute si sono schierate le giunte regionali di destra: in Abruzzo, ad esempio, la giunta Marsilio (FdI) ha inviato una circolare affinché l’interruzione di gravidanza farmacologica «sia effettuata preferibilmente in ambito ospedaliero e non presso i consultori familiari».

Gli ultimi anni hanno dimostrato che il diritto all’aborto non è una conquista definitiva e che i regimi reazionari possono sempre annullarlo per motivi ideologici e socio-economici. Su questo, in realtà, anche i governi “progressisti” aprono la strada all’estrema destra, partecipando attivamente alle politiche di taglio dei servizi pubblici, a partire dalla sanità. Dunque, l’aborto risulta un diritto sulla carta, di fatto negato dalle manovre burocratiche e dal progetto, comune a tutti i partiti saliti al governo nell’ultimo decennio, di privatizzare la sanità.

Mentre i partiti politici dell’opposizione al governo, gridano allo scandalo, allo stesso tempo vogliono separare le richieste economiche dai diritti riproduttivi. La realtà è che sono profondamente intrecciati. Se e quando avere un figlio è una scelta che ogni persona dovrebbe poter fare. La maggior parte delle persone che desiderano abortire si preoccupa dell’impatto di un figlio sulla propria situazione economica, in un Paese in cui una nascita costa migliaia di euro e decine di migliaia di euro in più per crescerlo.

Il reddito è parte integrante della lotta per la giustizia riproduttiva, e sono le donne a basso reddito, le persone razzializzate e i giovani che saranno più colpiti da queste misure. In altre parole il problema della denatalità, tanto caro alla Meloni, va inquadrato come un sintomo della natura ipercompetitiva del mercato del lavoro che impedisce a sempre più persone di accedere ai mezzi materiali e alla stabilità necessaria per metter su famiglia. Il problema demografico va posto in diretta relazione con i problemi del mondo del lavoro, in particolare con la lotta al precariato giovanile.

Fuori la Chiesa dei nostri corpi

Già da tempo si lavora per imporre ulteriori restrizioni al diritto delle persone di vivere e autodeterminarsi, facendo saltare disegni di legge già approvati o varando norme punitive e discriminatorie. Nel frattempo si è lavorato sull’opinione pubblica, mostrificando l3 donn3 trans, ridicolizzando o silenziando l’attività dell3 femminist3, delegittimandole3 anche quando raggiungono risultati importanti con le loro forze.

Le donne pagano la contraccezione, vagano per abortire, hanno problemi con la diagnostica prenatale perché negli ospedali religiosi fanno il gioco delle tre carte per far scadere i tempi per l’aborto terapeutico. Le loro cure vengono messe in subordine alla presenza di feti che nemmeno possono sopravvivere. La fecondazione assistita è abbandonata dallo Stato, troppo occupato a finanziare le strutture sanitarie religiose che non la fanno perché Dio non vuole. Eseguire una sterilizzazione chirurgica in questo paese è un’impresa titanica, anche per persone per cui la procreazione sarebbe pericolosissima.

Il “senso comune” religioso in un ospedale pubblico laico italiano ha provocato la morte di Valentina Milluzzo e mette in pericolo le donne tutti i giorni. La Chiesa in questo paese sotto la forma di Sant’Egidio, Caritas, Opus dei, Vaticano, Comunione e Liberazione, i Focolari, più altre minori, condiziona il welfare e l’istruzione con la benedizione del PD.

Non possiamo non mettere a tema il fatto che le donne eterosessuali che non vogliono riprodursi si scontrano con ogni tipo di ingiunzione a farlo (vedi obiezione di coscienza, Family Day, mancanza di una cultura della contraccezione), mentre invece le soggettività LGBTQ che vogliono riprodursi, tramite una gestante o un fornitore di spermatozoi, sono costrette ad andare all’estero, perché qui è illegale.

È evidente che in Italia c’è una sorta di schizofrenia di fondo. Si vogliono obbligare le donne eterosessuali a riprodursi e non si accetta invece il desiderio di genitorialità dei gay e delle lesbiche o delle persone transgender, lo si vieta per legge; una strategia egemonica passa dal riuscire a tenere questi temi insieme sia nell’analisi sia nella lotta politica.

Basta con il male minore! Per un movimento femminista antimperialista e combattivo

Il Partito Democratico non ha difeso e non difenderà il diritto all’aborto. Per decenni non hanno fatto nulla e hanno permesso, e talvolta persino facilitato, l’erosione dei diritti riproduttivi per milioni di persone, minando il lavoro degli attivisti che si battono per proteggere i diritti all’aborto e garantire l’assistenza sanitaria riproduttiva. Governano a favore dei ricchi e dei capitalisti, adottando politiche che aprono nuove strade allo sfruttamento di centinaia di milioni di lavoratori e di poveri. Usano la paura della destra per alimentare i loro voti.

Quando il Parlamento francese ha votato a favore dell’inclusione del diritto all’aborto nella Costituzione, una misura proposta dalla sinistra e ripresa da Macron, abbiamo scritto e condiviso con le nostre compagne di Rèvolution Permanente, che questa era solo l’illusione di una vittoria. In un momento in cui sono stati appena annunciati tagli record ai servizi pubblici, dove le politiche razziste di Macron in Francia e della Meloni a casa nostra, sollevano costantemente le idee reazionarie dell’estrema destra e dove lo Stato continua a criminalizzare il sostegno alla causa palestinese, la rabbia espressa lo scorso 8 marzo, come anche le lotte e le mobilitazioni degli studenti nelle università contro il genocidio palestinese, può essere il primo passo nella costruzione di un movimento femminista ampio e organizzato per affrontare gli attacchi presenti e futuri. Questo proprio perché dietro i proclami dai leader dell’estrema destra, le offensive anti-migranti e anti-femministe hanno soprattutto una funzione ideologica. Per l’estrema destra si tratta di coordinarsi a livello globale per preparare attacchi ai lavoratori, rafforzando l’oppressione di alcune categorie della popolazione. Da un lato, questa oppressione consiste nel rendere ancora più precario lo status già precario dei lavoratori soprattutto se immigrati e, dall’altro, nel riaffermare la famiglia nucleare eterosessuale come unità di base della società capitalista, all’interno della quale le donne e le persone LGBTè, i giovani, i disabili, ecc. lavorano, se lavorano, in condizioni inaccettabili

Contrariamente alla retorica trionfalistica che circonda la costituzionalizzazione dell’aborto oltralpe, che si dice abbia suggellato una “lunga lotta per la libertà”, l’8 marzo ci ha ricordato che la lotta per i diritti delle donne è tutt’altro che conclusa: una cosa è scrivere i nostri diritti su un pezzo di carta, un’altra è renderli effettivi per tutt3. A tal fine, la lotta continua e l’8 marzo ha dimostrato che fasce sempre più ampie della popolazione, soprattutto tra le giovani generazioni, sono pronte a condurla.

Dobbiamo sempre ricordare che i diritti delle donne non sono promesse elettorali: sarà attraverso la lotta combattiva nelle piazze che potremo mantenerli.

In contrapposizione all’enfasi usata da personaggi di estrema destra come Meloni e Marion Maréchal in Francia, per fuorviare i lavoratori, non si tratta di “dare alle donne la possibilità di scegliere di diventare madri”, ma di dividerci in un momento in cui la borghesia sta pianificando grandi offensive per mantenere i suoi profitti di fronte alla crisi. Di fronte ai reazionari che vogliono rafforzare il loro controllo sui nostri corpi per fini imperialisti, abbiamo urgentemente bisogno di costruire un movimento femminista internazionale in grado di imporre il diritto e l’accesso all’aborto gratuito per tutt3, così come la PMA e la possibilità di transizione per tutt3.

Un movimento che non si limiterebbe ad ottenere misure formali ma chi si assumerebbe il compito di eliminare le condizioni materiali necessarie per renderle efficaci: ingenti risorse per i servizi pubblici, contraccezione gratuita, consultori realmene laici e transfemministi, educazione sessuo/affettiva nelle scuole di ogni ordine e grado, transizioni libere; regolarizzazione di tutte le persone senza documenti!

Un programma che non tollera alcun tentativo della destra di sfruttare le nostre lotte al servizio del suo progetto nazionalista e razzista, e indica invece che la lotta per i nostri diritti non è scindibile dalla lotta contro il sistema capitalista e dalla prospettiva di un progetto di società volto all’uguaglianza tra tutti, indipendentemente dalla nostra origine, genere o sessualità.

Per portare questa battaglia all’interno del movimento femminista, il compito principale oggi è quello di ricostruire una tradizione femminista anti-imperialista e rivoluzionaria, determinata a combattere contro qualsiasi forma di adattamento al femo-nazionalismo di Meloni e del suo governo, che rivendica fortemente la fine del genocidio a Gaza di cui lo Stato italiano è complice. 

Il successo delle manifestazioni per la Palestina, in Italia e nel mondo deve continuare in risposta alla campagna di criminalizzazione in corso proprio perché i valori di femminismo non possono coesistere con colonizzazione e oppression».

Nella lotta per la liberazione di tutte le donne e del popolo LGBT+, i nostri alleati non sono nelle istituzioni, ma nelle scuole, nelle università e in tutti i luoghi di lavoro e di studio dove è possibile costruire un’egemonia alternativa a quella capitalista-patriarcale per garantire i nostri diritti. 

Dobbiamo prepararci oggi a confrontarci con l’estrema destra sul terreno della lotta di classe,  l’unico modo per fermarli, ma anche per imporre un’alternativa alla crisi e all’escalation militaristica che minacciano i diritti delle donne e delle minoranze di genere in Italia e nel mondo.

Il Pane e le Rose – Pan y Rosas Italia

"Il pane e le rose" nasce nel 2019 e riunisce militanti della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) e indipendenti che aderiscono alla corrente femminista socialista internazionale "Pan y Rosas", presente in molti paesi in Europa e nelle Americhe