Ieri Giorgia Meloni, con un suo discorso in tv pieno di falsità sul diritto all’aborto, ha dato un’altra prova che la sua elezione a premier non significherà nessuna emancipazione per le donne.

La conquista di un vero diritto all’aborto in Italia passerà per la nostra lotta!


Il diritto all’aborto negato e le menzogne della Meloni

Ieri pomeriggio nella trasmissione di Lucia Annunziata, Mezz’ora in più, su Rai3, Giorgia Meloni è tornata a parlare delle sue posizioni sull’aborto.
Ha affermato che in Italia non sia mai accaduto che una donna che voleva praticare l’interruzione volontaria della gravidanza (Ivg) non abbia potuto farlo, visto che in Italia il diritto all’aborto è sempre stato garantito dalla legge, e che se le donne hanno avuto delle difficoltà non si può imputare alla libera scelta dei professionisti che decidono di non praticare l’interruzione volontaria di gravidanza.
In questo discorso la Meloni ignora o fa finta di ignorare la situazione, in quanto, stando ai dati più aggiornati, il 70% dei ginecologi italiani è obiettore di coscienza, ed in alcune regioni si arriva al 90%, come in Molise con il più alto tasso di obiettori, al 92,3%. Inoltre, il 35% delle strutture in Italia non permette di praticare l’Ivg visto che la totalità dei medici è obiettore nonostante per la legge 194, quella che regola la pratica dell’Ivg, neghi il divieto di obiezione di un’intera struttura.
Parlare di aborto libero e garantito in un paese dove le donne rischiano e muoiono ancora a causa dell’aborto è voler non riconoscere che ci sia un problema per non guardarlo in faccia.

Le difficoltà che le donne negli anni hanno subito non sono circoscrivibili ad un piccolo no, ma a traumi, violenza ginecologica e psicologica che si perpetua nelle strutture a causa di un disinteressamento da parte delle istituzioni sul tema. Le pratiche non vengono aggiornate sia dal punto tecnico (come sarebbe legittimare l’aborto farmacologico), sia dal punto della formazione che comprende anche la cura e il rispetto psicologico per la donna che entra in questo percorso. A fronte di un periodo dove le difficoltà sono triplicate a causa della cerisi sanitaria, la mancanza di risorse e praticamente la quasi sospensione per più di un anno della pratica dell’aborto a causa del covid.

Ricordiamo alcuni casi concreti di questa situazione che va peggiorando. Nel 2010 a Pordenone, una donna dopo una Ivg rischia di morire con un’emorragia. La ginecologa, in una sorta di delirio punitivo nei confronti della paziente, si rifiuta di intervenire nonostante l’aborto sia stato già praticato. Interviene il primario che salva la vita della donna. Nel marzo del 2014 al Pertini di Roma una donna, Valentina Magnanti, dopo essere rimasta incinta scopre una malformazione al feto, decide di abortire, ma c’è il cambio turno, non sono presenti medici non obiettori, resta senza assistenza e abortisce nel bagno assistita dal suo compagno. Nel 2016 Valentina Milluzzo, incinta di due gemelli al quinto mese, muore a Catania perché dopo quindi giorni di sorveglianza medica per condizioni critiche, la situazione precipita e il medico si dichiara obiettore di coscienza lasciando così morire Valentina di setticemia. Quest’estate a Malta una turista americana incinta di 16 settimane ha rischiato la vita a causa di un aborto spontaneo, al quale i medici del policlinico Mater Dei non potevano porre termine perché il cuore del feto batteva ancora. La donna, Andrea Prudente, ha rischiato una setticemia ma nell’isola – unico paese dell’Unione Europea in cui l’interruzione di gravidanza è vietata in qualsiasi caso – i medici rischiano quattro anni di prigione se interrompono la vita di un feto. Alla fine la donna si è dovuta trasferire in Spagna – non nella molto più vicina Sicilia! – per poter portare a termine l’operazione.
Queste sono le difficoltà a cui vanno incontro le donne che vogliono abortire oggi in Italia, difficoltà che non solo metto in evidenza quanto non sia un diritto realmente garantito, ma che ha permesso anche un’ampia diffusione di metodi clandestini per abortire, anche perché se per una donna italiana è così difficile, si può anche solo immaginare cosa succedere per le donne migranti che si trovano a dover affrontare quest’odissea, qui, senza documenti, ne informazioni.

La Meloni al governo? Le donne all’opposizione, alla lotta!
Sappiamo che le parole della Meloni non siano frutto d’ignoranza, ma che siano strumentali a voler nascondere l’ennesima volta il problema sotto il tappeto: in un possibile governo che si pone l’obiettivo di aumentare le natalità, che promette di regalare migliaia di euro e premi a chi partorisce, così da far affluire carne fresca al macello dei capitalisti e dei mafiosi a cui risponde Fratelli d’Italia, è difficile non vedere la contraddizione di far rispettare i diritti delle donne come quello dell’aborto.
Questo ci conferma, che seppur donna, la Meloni non ha alcun interesse nel tutelare i diritti, le necessità delle donne in un paese dove, tra chiesa cattolica e maschilismo diffuso, si rischia di subire violenza o morire nelle situazioni quotidiane più ordinarie. Meloni preferisce anteporre gli interessi di chi garantisce pacchetti di voti e finanzia il suo partito, e lo fa con l’offerta politica “pro-famiglia”, quando in realtà sarà prossimamente tra i protagonisti del massacro sociale di milioni di famiglie operaie e povere, oltre che del disagio e persino della morte delle donne che avranno bisogno di ricorrere all’Ivg.

È indispensabile lottare più che mai contro quelle posizioni del femminismo liberale che provano a imbonire l’immagine della Meloni perché donna: è solo un tentativo di schiacciare i movimenti di lotta reale delle donne, del mondo LGBT+ degli ultimi anni, facendoli riassorbire dalle istituzioni statali, illudendosi che sia un successo la prima elezione di una donna pur che sia a capo del governo.

Ma la Meloni è la stessa persona che ha votato per tagliare i finanziamenti ai centri antiviolenza, che parla di famiglia “naturale”, che applaudiva e gioiva per aver fatto fallire il progetto di legge ZAN, che sosteneva fino in fondo la proposta di legge per limitare il divorzio proposta da Pillon; e che oggi parla di aborto sicuro in un paese in cui semmai è tutto l’opposto, progettando un disimpegno su questo tema che non è all’opposto con l’urgenza che abbiamo.

Per questo è importante lottare per un femminismo rivoluzionario che rivendichi la rottura con un sistema che risolve ma anzi genera la violenza che giornalmente subiamo per le strade, nella famiglia, dalle istituzioni. Un sistema patriarcale che in Giorgia Meloni trova una alleata, non una “nemica dall’interno”. La sua salita al governo non è da festeggiare affatto: prepariamoci a lottare con la classe lavoratrice e ogni settore oppresso della società anche contro il prossimo governo, contro i capitalisti e il clero cattolico che vi staranno dietro.

Vogliamo molto più della 194: lottiamo per i nostri diritti, lottiamo contro patriarcato e capitalismo!

 

Scilla Di Pietro

Nata a Napoli il 1997, già militante del movimento studentesco napoletano con il CSNE-CSR. Vive lavora a Roma. È tra le fondatrici della corrente femminisa rivoluzionaria "Il Pane e Le Rose. Milita nella Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) ed è redattrice della Voce delle Lotte.