Per rilanciare lo sciopero del 23 febbraio chiamato dai Giovani Palestinesi e dal Si Cobas, e la manifestazione nazionale del 24 a Milano, pubblichiamo un’intervista a una lavoratrice della sanità d Firenze, tra gli organizzatori dei Sanitari per la Palestina e della mobilitazione contro la nomina di Marco Carrai, console onorario di Israele, alla presidenza della Fondazione Meyer. Questa esperienza mostra come per favorire una mobilitazione nazionale dei lavoratori per la Palestina sia necessario impegnarsi nella promozione di forme di organizzazione e coordinamento dal basso. Solo in questo modo è possibile rompere l’isolamento e la passività imposta dalle burocrazie dei grandi sindacati.


Raccontaci: come è iniziata la mobilitazione per chiedere le dimissioni di Carrai?

È iniziata a fine dicembre, quando qualcuno di noi ha visto l’articolo di giornale in cui si parlava della nomina di Carrai e l’ha ritenuta una cosa vergognosa, vista la situazione in Palestina. Ci siamo quindi organizzati, con l’aiuto di varie sigle sindacali di base ed è iniziato tutto.

La fondazione Meyer è privata?

Sì, di base raccoglie soldi per l’ospedale Meyer, che è pubblico, un’azienda ospedaliera pubblica, universitaria. È una fondazione che raccoglie soldi, beneficenze…

Cosa pensate della sanità privata, quali sono le vostre condizioni lavorative?

La sanità privata è un disastro, ovviamente, come la sanità pubblica, che si sta sempre più privatizzando. Almeno nel pubblico si guadagna un filo di più, ma non sempre.

Avete parlato di come collegare la mobilitazione per la Palestina alle rivendicazioni legate alle vostre condizioni di lavoro?

Un po’ se ne è parlato, ma di base non siamo una realtà sindacale. In ogni caso al momento ha assoluta priorità la questione della Palestina, poi però ovviamente la lotta della sanità italiana ha la sua importanza: siamo tutte persone che si sono conosciute nella lotta per la sanità pubblica, e quindi diciamo che tutti siamo d’accordo su queste cose, conosceremo ora molte più persone con questo tipo di sensibilità, che potremo poi coinvolgere in altre mobilitazioni, ma ora la priorità va alla questione palestinese.

È interessante questa logica della fondazione privata che si occupa di dare soldi, tramite beneficenze di privati, all’ospedale pubblico: è così? I privati non hanno un potere d’agenda sull’ospedale?

La cosa grave, più che altro, è che un amministratore delegato come Carrai sia messo a capo della fondazione, mentre prima c’era per esempio un medico, uno che sapeva di cosa si stava parlando e di dove andavano a finire questi soldi. Con Carrai invece la questione è tutta politica.

E quale è stato il percorso politico di Carrai?

Carrai è stato, diciamo, l’ “uomo ombra” di Renzi, la sua nascita è lì. Ma se guardate il suo curriculum è amministratore delegato di una banca, in una fabbrica a Piombino, ha servizi di cyber security, tramite i quali si è creato il legame con Israele. Insomma, è uno ammanicatissimo.

Questi finanziamenti privati vanno poi su progetti specifici decisi dalla fondazione, oppure dal personale medico? Il problema dei finanziamenti privati è questa.

No, l’operato dei dottori e del personale sanitario vengono generalmente rispettati.

Come vi siete mossi a livello di organizzazione della mobilitazione? Assemblee, eccetera?

Sì, diciamo che la cosa di Carrai è precedente, poi abbiamo fatto tramite un passaparola a livello nazionale la prima riunione di un centinaio di persone, e quindi ora ci stiamo dividendo fra riunioni online nazionali, in cui dibattiamo delle iniziative sia locali che congiunte, e riunioni locali.

Quindi il movimento è partito da Firenze, ma c’è in varie città?

Sì, prendiamo esempio dagli inglesi, di base, perché è una cosa a livello globale questa della mobilitazione dei sanitari per la Palestina, vista la gravità della situazione. Ci sono molti eventi e grosse organizzazioni in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Australia, Sudafrica, insomma è una cosa mondiale.

Voi giustamente chiedete le dimissioni di Marco Carrai. Ma quali rapporti di forza ci sono per costringere le istituzioni?

Questa è una delle tante battaglie, una cosa che stiamo portando avanti. Ma tanto anche se Carrai si dimette, la guerra va avanti.

E quali rivendicazioni state elaborando per portare solidarietà alla Palestina e per fare pressione sui governi affinché cambino politica nei confronti di Israele?

Abbiamo scritto una lettera agli ordini che si lega a una raccolta firme dei sanitari iscritti a questi ordini, e ora si sta scrivendo una lettera per le aziende ospedaliere. Poi di base il punto è sensibilizzare sulla questione il più possibile attraverso i vari canali, nelle manifestazioni condivise con altre realtà cittadine, fare presidi specifici, mobilitazioni di piazza e azioni specifiche. L’intenzione è quella, prima di tutto, di sensibilizzare, perché c’è ancora un sacco di gente che non sa quello che sta succedendo, creare materiale. Poi un’altra questione che stiamo portando avanti è quella del boicottaggio della TEVA, azienda farmaceutica israeliana, abbiamo fatto un presidio a Firenze.

Sarebbe interessante vedere se ci sono lavoratori in Italia che lavorano per aziende israeliane, o analizzare i rapporti del farmaceutico italiano, che è molto forte, con il farmaceutico israeliano.

Sì, ma soprattutto la cosa importante è sensibilizzare la gente perché non compri più farmaci TEVA, come già è successo con Starbucks, McDonald’s, Carrefour, che poi avranno delle ricadute economiche che non possono non considerare.

Ma se i lavoratori scioperano riescono a fare un danno in una maniera molto più diretta ed efficace, rispetto a fare una campagna per i consumatori.

Certo, ma già se un dottore sciopera alla TEVA, o un farmacista si rifiuta di venderne i prodotti, fanno un danno.

Come vivete voi la difficoltà a scioperare per i lavoratori della sanità, in quanto servizio indispensabile?

Certo, non è facile scioperare in sanità. Diciamo che più che scioperare è più facile trovare un cambio a lavoro. Effettivamente se fermi il lavoro in sanità fai un danno ai pazienti. Da questo punto di vista preferirei ci fosse sempre qualcuno in ospedale. Ci sono servizi cosiddetti essenziali che in realtà non sono essenziali, ma la sanità è proprio essenziale.

Difficile pensare uno sciopero generale della sanità.

Da quello che so ci sono state lotte passate in cui ci sono stati scioperi di vario tipo in sanità, tipo uno sciopero in cui a mensa davano solo il semolino e il purè. Insomma, avevano trovato delle modalità differenti. Gli inglesi, ad esempio, in questo periodo vanno a fare azioni di sensibilizzazione durante la pausa pranzo. Con un po’ di fantasia dei modi si possono trovare. Fanno interventi, mettono striscioni.

Aderirete alla manifestazione del 24 febbraio?

L’adesione non ce l’ha chiesta nessuno. Chi potrà sicuramente andrà a Milano. Onestamente uno spezzone dei Sanitari per la Palestina non lo si è pensato. Chi può, va, ma non ci siamo organizzati per andare come Sanitari per la Palestina, per ora. Poi abbiamo a breve la riunione nazionale, e vedremo.

[Aggiornamento: l’intervista è stata effettuata giovedì 18 febbraio. Confermata la presenza di uno spezzone del coordinamento Sanitari per Gaza alla manifestazione nazionale di Milano del 24 febbraio, ndr]

Può darsi sarà una manifestazione con tanti lavoratori, studenti, eccetera. Un’ultima cosa: state organizzando qualche iniziativa di solidarietà come tentativo di mandare materiale in Palestina?

Non tanto la questione del materiale o mandare soldi, che tanto ci sono organizzazioni che già lo fanno bene. Noi stiamo cercando di fare più da facilitatori per le missioni di sanitari organizzate da altre organizzazioni, che stanno facendo delle staffette sanitarie, e quando noi sappiamo che verranno organizzate, ci informiamo come saranno, e se sono sicure lanciamo l’appello, mandiamo i curriculum, eccetera. Siamo più interessati ad aiutare direttamente in questo modo. Qualcuno va anche a Gaza, anche se non è facile.

Per concludere, quale è la situazione dei sanitari a Gaza?

C’è un meccanismo di base, da parte dell’esercito israeliano, di assedio dell’ospedale e attacco delle zone circostanti, legato a chiamate di richiesta di evacuazione degli ospedali, e se non vengono evacuati immediatamente (mezz’ora, due ore di tempo per evacuare interi ospedali, pieni di sfollati oltre che di feriti), bombardano, assediano, assaltano, togliendo la possibilità di avere carburante (l’unico mezzo per avere elettricità), cibo, acqua. Di base, negli ospedali mangiano al massimo un pasto al giorno. Gli israeliani torturano la gente, i sanitari, sparano alle persone con la bandiera bianca, arrestano e torturano i sanitari per 45 giorni. Poi c’è chi non viene rilasciato. O viene ucciso, o non si sa. Ci sono almeno tre direttori di ospedali a Gaza che non si sa ancora che fine abbiano fatto. Vogliono che confessino cose, diano false testimonianze.

Quante firme avete ottenuto contro Carrai?

Più di diecimila.

Intervista a cura di Leonardo Nicolini

Nato a Genova nel 1998, è cresciuto in una famiglia di artisti. Ha studiato filosofia prima a Pavia e poi e Firenze, dove vive attualmente. Militante della FIR, si dedica anche alla fotografia e al cinema.