Scrivere una recensione, che sia di un film o di un libro, è sempre un momento emozionante.
Lo scrittore prova a trasmettere non solo ciò che riesce ed elaborare come giudizio, ma vuole anche trasmettere ciò che ha provato, le sue stesse emozioni, positive o negative che siano.
Purtroppo, la critica non può che essere distruttiva con chi trasforma l’Arte in un mero strumento per il profitto, dai botteghini di una prima alla trama nazional-popolare di un libro. Spesso la prima critica da elaborare è proprio basata su quest’interrogativo: è arte? Purtroppo questo interrogativo trasporta il tema trattato ad altro luogo, più metafisico che reale, e, come ci può insegnare la storia che stiamo per trattare, spesso la metafisica non è concessa a chi deve ed ha la necessità di avere piedi per terra più che la testa fra le nubi.

Marina, film del 2013 di un regista belga fin troppo sconosciuto per la bellezza che ha trattato, Stijn Coninx, ambisce al racconto di una storia vera, biografica, di un noto cantante italo-fiammingo, Rocco Granata, e ci riesce perfettamente.
Un periodo, quello vissuto da Rocco Granata, cantautore degli anni ’50-’60, sconvolto dalle emigrazioni di massa di contadini dal Sud Italia verso il Belgio ed il Nord Europa in generale, col viaggio che spesso termina sotto miliardi di tonnellate di carbone e terra, che ti piombano sulla testa mentre provi, da uomo, a trasformarti in formica.
Una storia di razzismo, di oppressione e di lotta di classe, spesso trascurata in uno stato, come quello Italiano, complice di una tragedia mai giudicata da alcun tribunale. Fin troppo scontato che “Marina” sia stato volontariamente celato, tralasciato da quella gloria che senz’altro meriterebbe, non solo per la trama, ma anche per quella stessa Arte, che spesso diventa inventiva, novità, o, più semplicemente, reimpiego di uno strumento di lotta che già in passato è riuscito ad elevarsi tra tutti: La Musica.

Emancipazione attraverso la musica è un concetto fin poco compreso, e questo film, nella grandezza delle emozioni che suscita, riesce a coinvolgere chi guarda, portandolo a vedere la storia, comprenderla da un punto di vista nuovo, quello degli sfruttati, dei minatori e dei loro figli, delle emozioni che resistono alla materialità di ogni giorno, emozioni come punto di forza e di unità contro la barbarie del mondo.

Rocco Granata, figlio della terra cosentina, emigra in Belgio con la sua famiglia, avendo il padre trovato impiego in miniera a Waterschei. Lì si stabilisce e, sin da subito, subisce l’oppressione della lontananza da casa, quell’angoscia di stare in un luogo non tuo, dove tutti parlano in un modo diverso dal tuo, dove tutti fanno di te il vero problema del mondo.
Lì cresce e con lui matura quella voglia di suonare, suonare la sua terra, il suo essere diverso, attraverso uno strumento musicale che, certamente, non è semplice: la fisarmonica. Passione, quella di Rocco, che già aveva quando il padre fu costretto a perderla, pur di portare il pane in tavola.
La vita prosegue, tra notizie preoccupanti, di una radio comprata a stenti, sulla vita stessa, ma in miniera. Di giorno in giorno continua ad elevarsi nella mente il sentore del rischio, soprattutto quando il padre di Rocco -interpretato egregiamente da Luigi Lo Cascio- è costretto ad infrangere una promessa fattagli: Mai ti porterò in miniera.
Da allora, compito principale di Rocco è quello di portare, o meglio, riportare, il padre alla Musica.
Una vita da povero, una vita da figlio di minatore, una vita di lavori e passioni, di amore e rabbia sociale, quella vissuta da Rocco Granata e raccontata egregiamente in questo film.

Michele Sisto

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.