La mobilitazione dei manutentori, e quella dei macchinisti e capitreno, a cui abbiamo dato rilievo in una serie di articoli ed interviste, continua anche verso il periodo estivo: la condizione repressiva a cui è sottoposta non cambia, come non cambia la centralità dell’e assemblee attorno a cui si organizzano; la sigla di un nuovo accordo tra Leonardo ed RFI introduce elementi importanti per estendere la lotta in senso qualitativo e quantitativo.
Sono passati più di cinque mesi dalla sigla dell’accordo del 10 Gennaio tra RFI (Rete Ferroviaria per l’Italia) e sindacati confederali (assieme al sindacato autonomo ORSA), il quale ha di fatto aperto le porte alla possibilità che, nel comparto manutenzione delle ferrovie italiane, si possano progettare settimane lavorative della durata di sette giorni continuativi, assieme ad altre misure che rinforzano l’apporto del settore privato e la messa in appalto di lavori fondamentali legati alla sicurezza dei trasporti su rotaie. Sono anche passati più di cinque mesi da quando l’Assemblea Nazionale dei Manutentori, autoconvocata e comprensiva di migliaia di lavoratori e lavoratrici provenienti da tutto il panorama nazionale e da qualsiasi background sindacale, col supporto dell’USB e dei COBAS, ha lanciato una mobilitazione in grado di produrre giornate di sciopero intense e partecipatissime (mai al di sotto del 70% della partecipazione) e che ha messo in confusione i piani di contrattazione al ribasso avanzati dai confederali e dall’azienda; a tali piani, l’assemblea ha contrapposto il rigetto totale dell’accordo, fatto passare unilateralmente dall’azienda, questo scorso 3 Giugno, quando invece sarebbe dovuto passare per le DOIT regionali. Quasi contemporaneamente, l’Assemblea dei Macchinisti, anch’essa autoconvocata, ha avviato la sua mobilitazione per colpa di un contratto nazionale paralizzato da anni, proponendo un programma comprensivo al rialzo, che tocca alcuni nodi cruciali per il comparto, così come per il più ampio mondo del lavoro in Italia: oltre al già citato punto della costruzione di una vertenza dal basso, i macchinisti rivendicano, nel merito, la fissazione di otto ore lavorative per i turni giornalieri e di sei ore nei notturni, oltre che di quattro notti al massimo al mese, una per sestina – una risposta diretta alla manovra principale dell’azienda, volta ad alzare i turni e le ore di lavoro per lavoratori e lavoratrici di un settore nel quale la concentrazione e la lucidità hanno un ruolo fondamentale per evitare vere e proprie catastrofi mortali. In più, si vanno a toccare questioni legate al rialzo dei compensi per gli operai: €400 in più sul minimo contrattuale, così come €400 in più sulle competenze accessorie, una questione che, come ricorda il manifesto pubblicato in occasione dello sciopero del 12 febbraio, è ferma da più di vent’anni. Poi aumenti di ore sul riposo settimanale (16 ore minime per turni giornalieri e 18 per notturni), accorgimenti sul riconoscimento di limiti minimi per i riposi fuori residenza (RFR) e molto altro ancora: un programma vertenziale che mette in imbarazzo le burocrazie sindacali conniventi fino a questo momento e che le pone in condizione di dover tornare sempre a tavoli di contrattazione sempre più tesi e nervosi, mentre la mobilitazione comincia a costruire punti di contatto importanti con il comparto manutentori. Difatti, ci sono più tensioni ad operare simultaneamente, in ferrovia: la mobilitazione dei macchinisti continua, in difesa del diritto di sciopero e contro l’arma della precettazione impugnata dal ministro dei trasporti Matteo Salvini e dalla commissione di garanzia scioperi. La necessità di tenere sotto controllo il settore ferroviario è imprescindibile per il funzionamento del capitalismo italiano, il quale, logisticamente, dipende ancora molto dalla tenuta della rotaia per garantire il trasporto di merci, macchinari e personale verso l’interno, così come verso l’estero, in funzione del mercato europeo: per questo motivo, a dicembre dello scorso anno, Salvini aveva brandito la precettazione per evitare uno sciopero di 24 ore di macchinisti e capitreno. Il concetto è semplice: lacvorare tanto, in condizioni precarie e predatorie, e senza alzare la testa oer nessun motivo, perché l’economia deve continuare a correre, specie quando si tratta sempre più di economia di guerra.
Su questo linea, lo scorso 15 di aprile, RFI ha firmato un accordo estremamente importante con Leonardo, l’industria bellica più importante del nostro paese, “nell’ambito della military mobility, un’iniziativa UE finalizzata ad aumentare le capacità ad aumentare le capacità infrastrutturali e digitali esistenti, per assicurare la movimentazione di risorse militari, all’interno e all’esterno dell’Europa, anche con breve preavviso e su larga scala, garantendo capacità di trasporto sicure, sostenibili e resilienti.” In pratica, si tratterebbe di sovrapporre ancora di più l’economia militare europea nella filiera infrastrutturale e strategica italiana, attraverso la principale azienda venditrice d’armi e di risorse intellettuali e di ricerca in campo securitario dello scenario nazionale. Dopo aver visto i suoi profitti schizzare alle stelle con l’avvio dell’offensiva russa in Ucraina del 2022, l’approfondimento della collaborazione tra Leonardo, università italiane e aziende belliche e istituzioni israeliane per garantire un sistema consolidato di mutuo appoggio nello sviluppo di tecnologie e militari hanno posto l’azienda di Roma al centro del dibattito nazionale sulla corsa alle armi. Proprio contro accordi con Leonardo si concentrano alcuni degli sforzi più importanti del movimento per il boicottaggio accademico, e la risposta repressiva dello Stato, col placet di tantissimi atenei della penisola, ha ben indicato quanto importante sia la manutenzione di quello che è stato definito l’asse militare-industriale-accademico, sia per la linea interna che per quella estera del governo in carica (così come quanto lo siano state le manovre dei governi precedenti che hanno portato alla sua costituzione, così come alla penetrazione sistematica di Leonardo in tutti i gangli istituzionali ed accademici italiani). Contro questo apparato si è mossa la mobilitazione delle accampate studentesche per la Palestina, ed i numerosi e parteciati cortei che, in tutta Italia, hanno rigettato una visione dell’università come branca intellettuale del’industria di morte e degli interessi imperialisti del nostro paese e dei suoi alleati. Mentre ci avviamo verso l’estate piena, le assemblee si pongono spesso domande su come tenere viva la lotta in difesa del popolo palestinese e contro l’economia di guerra tutta (anche rilanciando date importanti che guardano alla collaborazione tra operai e studenti, come nel caso del blocco del porto di Genova dello scorso 25 Giugno, o in percorsi volti a contestare momenti di decisionalità politica internazionale fondamentali come il G7 che si terrà a Bologna tra il 9 e l’11 luglio), ma anche su come allargarne il perimetro affinché possa assumere il carattere di massa che ha avuto e continua ad avere in altre parti del mondo; la soluzione può trovarsi dal mettere in sintonia i lavoratori di quelle industrie strategiche che stanno venendo messe al servizio della corsa globale alle armi, come nel caso dei ferrovieri, i quali vedono oggi la propria attività professionale, così come il proprio contesto lavorativo, depredato delle tutele vinte nel corso di importanti lotte sindacali negli anni ‘80, per fare spazio all’intervento di nuovi attori privati e misure sempre più stringenti sulle possibilità di attivazione per pretendere un lavoro dignitoso e sicuro, con quei settori sociali che hanno fatto della bandiera palestinese il simbolo della lotta contro la repressione (propria e altrui) e contro l’oppressione ovunque si manifesti, evidenziando la natura sistemica dell’imperialismo come modo di organizzare ogni aspetto della società a seconda dei bisogni dei capitalisti di tutto il mondo. Esempi di questo tipo sono stati già messi in campo, come nel già citato caso della continua collaborazione con il CALP di Genova, ma anche in quello con le operaie e gli operai del porto di Salerno e con il mondo del sindacalismo di base in generale; una collaborazione che ha dato i suoi primi e utili frutti nella giornata di sciopero generale e mobilitazione del 23-24 febbraio scorsi. Riuscire a collegare, in maniera organica, il discorso antimperialista dl movimento per la Palestina con la mobilitazione dei ferrovieri (ed in generale con la centralità del comparto produttivo nella perpetuazione dei meccanismi dell’imperialismo e del colonialismo) potrebbe offrire sponde decisive per superare la sfida dell’estate ed estendere il campo della mobilitazione in una maniera imprevista fino a questo punto.
La repressione è la condizione necessaria affinché la catena di montaggio continui a funzionar: se questo è vero in tempi a più bassa tensione sociale e politica (nazionale come internazionale), lo è ancora di più negli anni in cui ci troviamo a vivere, caratterizzati da violente convulsioni dell’ordine internazionale, crisi sociali ricorrenti, parallele, simultanee ed apparentemente interminabili, e un riemergere dei processi di lotta di classe come fattori in grado di influire significativamente nella decisionalità politica. Oggi, infatti, diventa ancora più importante che lo Stato adoperi tutti i mezzi a sua disposizione per tutelare le attività dei capitalisti che gli permettono l’ambita proiezione internazionale nello sfruttamento e nell’oppressione di sempre più corpi e territori. Gli attacchi al diritto di sciopero non sono niente di nuovo per il nostro paese, e la violenza fisica e normativa che continua ad essere agita contro gli operai più combattivi riflette il tentativo di far scomparire qualsiasi esperienza di critica radicale all’orizzonte politico del governo in carica, a partire dal contesto universitario: le manganellate all* student* sono legate tramite un filo rosso alle precettazioni di Salvini, un filo che fa parte di una trama più ampia di irregimentazione e direzione di ogni strato sociale al supporto dello sforzo bellico, in nome del profitto di pochi speculatori mortiferi in combutta con i loro equivalenti regionali.
Per questi motivi, assieme a delegazioni delle organizzazioni sindacali e di base del settore delle ferrovie, ci troveremo a discutere al circolo Camillo Berneri di Bologna, questo Lunedì 1 luglio, per capire come continuare a sostenere la lotta dei manutentori quanto quella dei macchinisti, qual è la specificità del settore ferroviario nello scenario delle normative sul diritto di sciopero in Italia e perché sia così importante per il capitalismo italiano che non si inneschino momenti di lotta autorganizzata nel comparto (alla maniera che sta accadendo con i manutentori), e che ruolo giocano le ferrovie nella costruzione dell’economia bellica generalizzata, guardando agli accordi con Leonardo e interrogandoci su quali collegamenti possiamo instaurare tra queste vertenze ed il movimento per la Palestina e contro la guerra. Saranno presenti lavoratori dell’assemblea PDM/PDB, redattori della storica ed autogestita rivista dei macchinisti Ancora in Marcia (attiva dal 1908!), oltre che delegati del coordinamento nazionale ferrovieri di USB. A seguire, ci attiveremo tutte assieme per mettere in piedi una cena sociale e popolare che sia all’altezza del dibattito, volta all’autofinanziamento della cassa di resistenza fra i ferrovieri (mantenuta dal 2006 per supportare le occasioni di mobilitazione anti-padronale del comparto, così come per sostenere le spese legali in questo caso della vertenza dei manutentori, la quale, è bene ricordare, non gode della tutela solitamente garantita in caso di scioperi supportati dalla trifecta confederale). Momenti di questo tipo sono fondamentali per stringere rapporti sempre più stretti oltre gli steccati sociali, per rafforzare le nostre mobilitazioni, costruire nuove alleanze e delineare politica comune contro lo sfruttamento, la guerra e la repressione, in fabbrica come in ferrovia come in università. Per questo, rilanciamo pure la prossima data di sciopero nazionale dei manutentori, che si terrà il sei ed il sette di Luglio su tutto il territorio. Vi aspettiamo tutti e tutte, dalle 17:30 al circolo Berneri!
Luca Gieri
Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.