Nell’ultimo anno è nata a Firenze un’importante esperienza di organizzazione e coordinamento dal basso degli insegnanti di vari ordini e grado, l’Assemblea Docenti Firenze. Il percorso in questione pone al centro la necessità di un sapere critico e dell’unità studenti-lavoratori contro un sistema dell’educazione sempre più subordinato al profitto e autoritario; ragion per cui lo scorso maggio l’Assembla Docenti ha solidarizzato con l’Accampata studentesca per la Palestina di Firenze – dove abbiamo fatto questa intervista.


 

1) Come è nata l’idea di costruire un coordinamento invece di affidarsi a un sindacato? Qual è il vostro rapporto con i sindacati?

L’idea di formare un coordinamento è nata dalla necessità di creare una vera collettività tra docenti, un luogo in cui poter condividere esperienze e problemi in modo più diretto e immediato rispetto a quello che un sindacato tradizionale poteva offrire. Il sindacato, per quanto utile in molte situazioni, spesso non riesce a fornire quella sensazione di appartenenza e supporto immediato che cercavamo. La nostra esperienza è iniziata con un gruppo di colleghi che già si conoscevano e si identificavano come parte di una stessa comunità. Questo gruppo si è ampliato con l’arrivo di nuovi docenti nelle istituzioni scolastiche, momento in cui le nostre frustrazioni e i nostri sentimenti hanno trovato un terreno comune.

 

Ci siamo chiesti se il sindacato fosse il luogo giusto per noi, ma abbiamo riscontrato una mancanza di reattività e di capacità di rispondere rapidamente ai problemi quotidiani. Le nostre assemblee docenti si svolgono su vari livelli scolastici: scuole superiori, sostegni, scuole primarie e comparti serali. Queste assemblee non si limitano a Firenze, ma coinvolgono anche colleghi di Campi, Prato e altre località, permettendoci di affrontare discussioni importanti, come quelle sulle classi con componenti migratorie. Ad esempio, nella nostra zona c’è una forte immigrazione dalla Cina e abbiamo discusso su come relazionarci con gli studenti che provengono da questo background culturale.

 

Per quanto riguarda il rapporto con i sindacati, si tratta di un territorio ancora da esplorare. Non abbiamo mai adottato una posizione netta contro di loro, ma piuttosto abbiamo scelto di mantenere un approccio neutrale. Ci riuniamo ogni due settimane al Campino, e ogni volta riusciamo a fare piccoli progressi. Questo ci dà un senso di supporto psicologico, rendendoci più forti e sicuri nel nostro lavoro quotidiano. La nostra pratica va in contrasto con quella dei sindacati di massa, che spesso non convocano assemblee regolari nei luoghi di lavoro. Questo può portare a una critica nei loro confronti, poiché crediamo che l’attivazione indipendente dei lavoratori sia fondamentale per evitare la passivizzazione imposta dalle strutture sindacali tradizionali.

 

2) Quali sono, secondo voi, le tematiche cruciali all’interno della scuola in questo momento, legate alle condizioni di lavoro e della didattica?

Una delle questioni principali riguarda l’aumento dell’autoritarismo nella scuola, che porta a una crescente infantilizzazione sia degli studenti che dei docenti. Gli studenti sono trattati come bambini incapaci di contribuire in modo significativo e i docenti come se fossero incapaci di insegnare senza una burocrazia opprimente. Questo si riflette nelle attuali proposte di riforma, come il voto di condotta che diventa elemento di bocciatura e il ritorno ai voti tradizionali nella scuola primaria. Non si tratta solo di un passo indietro in termini pedagogici, ma di una visione di scuola che non condividiamo.

Un altro tema cruciale è la didattica per competenze. Da una parte, essa permette di considerare la complessità dello studente, ma dall’altra si scontra con le realtà delle “scuole pollaio”, dove le classi sovraffollate rendono difficile l’applicazione efficace di questi principi. Questa frustrazione ci porta spesso ad adottare metodi tradizionali, nonostante i nostri sforzi per innovare.

Uno degli aspetti più interessanti del nostro lavoro è stato l’organizzazione di spazi di discussione tra docenti e studenti per immaginare insieme una nuova scuola. In questi incontri, abbiamo evidenziato come le frustrazioni degli insegnanti spesso si riflettano sugli studenti. Un esempio emblematico emerso durante questi incontri è stato il problema della pressione dei voti. Gli studenti si sentivano soffocati dalla miriade di richieste di valutazioni, un sentimento condiviso anche dai docenti. Questo ci ha permesso di capire che le difficoltà sono spesso condivise e che è importante affrontarle insieme.

 

3) Come vi ponete verso i collettivi studenteschi nel confronto sulla riforma Valditara?

Abbiamo prodotto un documento frutto di una discussione collettiva sulla riforma Valditara che può essere consultato sul nostro sito. Sebbene la riforma non sia ancora stata presentata in dettaglio, emergono già alcune criticità significative. Una delle principali è l’enfasi sulla meritocrazia, che nella pratica spesso coincide con il privilegio. La meritocrazia, così come viene narrata, cerca di premiare le persone capaci, ma finisce per favorire i figli delle classi più privilegiate, schiacciando gli altri. Questa visione è contraria alla nostra logica, che si basa sull’esperienza delle lotte degli anni ’70, quando si dava un valore positivo alla cooperazione tra studenti.

 

Il voto di condotta è un altro elemento problematico, attorno al quale si sta costruendo un’ideologia che non condividiamo. La riforma Valditara sembra ispirata a un’ideologia di destra degli anni ’70, con un focus su un apprendimento precoce e un taglio delle materie umanistiche. Questo approccio potrebbe rendere la scuola meno inclusiva, allargando la forbice tra le classi sociali.

 

È importante non sottovalutare il ministro Valditara. Nelle scuole di frontiera, la presenza di studenti non italofoni è spesso gestita in modo inadeguato, con studenti parcheggiati in classe senza un adeguato supporto linguistico. La scuola ha bisogno di fondi e personale competente per risolvere questi problemi, non può più basarsi sul volontarismo.

Un altro punto di attenzione è la riforma della scuola primaria, dove si prevede di rimettere mano ai programmi già tagliati all’osso. La visione di scuola proposta è sempre più lontana dall’idea di formazione e apprendimento, relegando lo studio a un momento da svolgere in famiglia, e ampliando le disuguaglianze sociali.

 

4) Come è nata l’idea di organizzarvi per la Palestina?

L’idea di organizzarci per la Palestina è nata dal desiderio di reagire alla situazione difficile di Gaza e Cisgiordania. Sentivamo un forte senso di impotenza, ma anche un grande bisogno di esprimere solidarietà. Come lavoratori, abbiamo la possibilità di opporci alla macchina della guerra sfruttando la dialettica politica che ancora esiste in Italia. Trent’anni fa, l’Italia aveva una sensibilità politica diversa riguardo alla Palestina, anche nell’ambito della politica istituzionale, come dimostrato da eventi come Sigonella. Oggi, invece, è difficile esprimere critiche al regime israeliano, ma sentiamo la responsabilità di affrontare questi temi, soprattutto in contesti scolastici con un’alta presenza di studenti arabi.

Abbiamo visto una generosità da parte dei colleghi, ma spesso sono gli studenti a prendere l’iniziativa. Discutere di questioni come la Palestina ci permette di affrontare anche altri temi complessi e di crescere come comunità scolastica. È importante che come docenti ci assumiamo la responsabilità sociale di fornire agli studenti gli strumenti per comprendere e discutere concetti complessi e attuali e questo ci permette di creare un ambiente scolastico più inclusivo e consapevole delle problematiche globali.

La nostra spinta sulla Palestina ci ha permesso di affrontare temi legati alla repressione e all’autoritarismo, e di riflettere sul nostro ruolo come educatori in un contesto sociale e politico complesso. Nonostante le difficoltà, continuiamo a impegnarci per creare uno spazio di discussione e crescita collettiva, affrontando le sfide con spirito critico e propositivo.


Intervista a cura di Simone Izzo

Simone Izzo

Nato a Napoli nel 2001, laureato in ingegneria informatica, ha militato in Studenti di Sinistra a Firenze e attualmente nella FIR-Voce delle lotte. Co-ideatore del 'brand' di magliette militanti "Vesti Comunista".