Questo Week End si terrà il primo turno delle elezioni legislative francesi, in seguito allo scioglimento delle camere da parte del presidente della repubblica Macron come reazione alla vittoria dell’estrema destra di Marine Le Pen alle Europee lo scorso 9 giugno. L’idea era quella di capitalizzare la polarizzazione politica verso La République en Marche (partito di centro neoliberale del presidente), sfruttando la divisione della sinistra istituzionale. Quest’ultima però si è infine coalizzata, suscitando un certo entusiasmo tra settori popolari e militanti, anche nel nostro paese. Tuttavia, più che un fronte contro l’estrema destra, il Nouveau Front Populaire (NFP) sembra essere soprattutto una macchina elettorale per riabilitare il Parti Socialiste (PS), storicamente la principale forza social-liberale francese. Segue il primo di una serie di contributi che traduciamo da Révolution Permanente, sito d’informazione della nostra omonima organizzazione sorella in Francia.
Con l’annuncio dello scioglimento dell’Assemblea Nazionale, Macron ha scommesso sulla natura immutabile delle tradizionali divisioni a “sinistra” e sul loro approfondimento negli ultimi mesi. Sette mesi dopo l’implosione della Nouvelle Union Populaire Ecologique et Sociale (NUPES), il ritorno di questa “unione” e la sua convalida da parte di Melenchon, Olivier Faure, Raphaël Glucksmann [dirigenti del PS e dei verdi di Europe Ecologiste Les Verts – EELV, ndt] non erano affatto scontati. Da ottobre, gli ultimi due hanno preso parte attiva all’offensiva del regime contro il sostegno alla Palestina, che ha visto moltiplicarsi particolarmente i processi per “antisemitismo” contro La France Insoumise (“La Francia Indomita”, LFI) [partito di Mélenchon ndt].
Mélenchon, da parte sua, denunciava ancora le “calunnie” del PS in un post sul suo blog in piena campagna elettorale europea, prima di invocare un “confronto” con il partito con la rosa [simbolo del Parti Socialiste ndt].
Tuttavia, sono bastati pochi giorni perché tutta la sinistra istituzionale si riunisse intorno a un tavolo per formare una nuova coalizione elettorale. Questa coalizione, il cui nome rimanda all’esperimento del Fronte Popolare del maggio-giugno 1936, non deve il suo nome a una coincidenza. Nell’immaginario collettivo, il termine si riferisce ad alcune delle più grandi vittorie ottenute sulle classi dominanti: il riconoscimento dei diritti sindacali, l’aumento dei salari, le ferie pagate e la settimana di 40 ore. Considerato il rischio di un’ascesa al potere dell’estrema destra e di un governo Bardella, l’entusiasmo suscitato da questa nuova coalizione è comprensibile. Tuttavia, riteniamo che tale coalizione elettorale non possa costituire, né tatticamente né strategicamente, una vera risposta a Macron e al rafforzamento del polo di estrema destra.
Il Nuovo Fronte Popolare o come riprodurre il NUPES contro il RN?
Gli sguardi gioiosi sui volti dei principali artefici dell'”unione” alla fine dell’accordo maschera male il fatto che alla genesi del Nuovo Fronte Popolare c’è una battaglia fratricida che ora viene pubblicamente riconosciuta. Le dispute interne che hanno dato vita all’esplosione della NUPES si stanno riproponendo, questa volta soprattutto tra due poli in lotta per l’egemonia a sinistra. Da un lato, Mélenchon difende una sinistra che vuole “rompere con il passato”, con una strategia che oscilla tra linee populiste e “unione della sinistra”, ma che assume anche elementi di opposizione al regime su temi come la Palestina, l’islamofobia e la violenza della polizia. Dall’altra, l’ala guidata dal PS, che comprende l’EELV, il Parti Communiste Francais (PCF) e settori dissidenti dell’LFI tra cui Ruffin, che cerca di riabilitare una nuova linea “socialdemocratica”, pronta a scendere maggiormente a compromessi con il regime, e che sostiene l'”appeasement”.
Dietro le “epurazioni” e le altre manovre degli ultimi giorni, si è accelerata la battaglia di apparato tra due orientamenti in principio divergenti all’interno dell’alleanza, sullo sfondo di un riequilibrio dei rapporti di forza interni, in relazione alle elezioni del 2022 e al contesto della formazione della NUPES. Come si spiega allora il ritorno di un’alleanza elettorale in gran parte sulla stessa base della NUPES, sette mesi dopo un’implosione che (si pensava) avesse dimostrato l’inconciliabilità delle due posizioni? La risposta ufficiale delle varie organizzazioni è l’urgenza del “periodo” e la necessità, di fronte alla possibilità che il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen entri al governo, di “gettare i rancori nel fiume” (Mélenchon) o di riunirsi “perché la situazione è grave” (Hollande).
È evidente che la vera ragione alla base di questa nuova coalizione è la stessa che ha portato alla creazione della NUPES e che è stata confermata nelle elezioni legislative del 2022: l'”unione della sinistra” massimizza le possibilità di vittoria e di ottenere seggi come deputati per ciascuna delle forze politiche. In questo contesto, il PS, i cui “buoni risultati” alle elezioni europee sono stati un po’ oscurati dallo scioglimento dell’Assemblea nazionale, cerca di far valere il suo nuovo peso nell’equilibrio di potere a sinistra, come riporta il settimanale L’Express a proposito dei negoziati che hanno preceduto l’accordo. Mélenchon, da parte sua, dopo aver esitato per un po’ di tempo ad aderire all’alleanza elettorale, è salito sul carro, visti i rischi e i costi politici di un’azione solitaria. Il leader degli Insoumis, che per un certo periodo è stato tentato di correre come candidato “anticipato” alle presidenziali del 9 giugno per togliere il vento alle vele dei suoi rivali, ha dovuto cambiare idea. Hanno prevalso le pressioni per l’unità a livello di base, ma anche il rafforzamento della dissidenza interna e la tentazione di rafforzare la forza del suo gruppo in Parlamento per impedire a qualsiasi concorrente di emergere in vista delle elezioni presidenziali del 2027.
Sullo sfondo della “lotta all’estrema destra”, sono stati gli interessi dell’apparato e le considerazioni tattiche delle varie forze, in un contesto di calcoli in vista delle prossime elezioni presidenziali e delle future ricomposizioni politiche, a governare la ricostituzione di questa nuova versione dell'”unione della sinistra”. I tentativi di Olivier Faure di presentare il NFP come aperto alla “società civile” servono a poco per nascondere il fatto che il PS si è preoccupato soprattutto di soddisfare le sue “correnti interne molto avide nella spartizione dei collegi elettorali, sull’esempio della candidatura di Hollande decisa alle spalle dell’Ufficio nazionale dalla direzione regionale della Corrèze ma convalidata a posteriori. All’interno de La France Insoumise, queste elezioni legislative servono anche a rivedere gli equilibri interni, come dimostra l’espulsione dei deputati “frondeurs”, contrariamente all’impegno di riconfermare tutti i deputati uscenti. Checché ne dicano i suoi leader, il NFP assomiglia molto alla NUPES, come riconosce Boris Vallaud, un peso massimo del PS. All’uscita dal set di LCI [canale d’informazione francese ndt], avrebbe sussurrato a Clément Beaune: “Ci stai costringendo a rifare la NUPES”.
Una NUPES 2.0 resa di destra dal PS, che riabilita persino François Hollande
Una sorta di NUPES 2.0, il Nouveau Front Populaire si differenzia dal modello precedente per il fatto che l’influenza del PS è molto maggiore, come si evince dalla distribuzione dei collegi elettorali tra le diverse componenti dell'”unione”. Il Parti Socialiste beneficerà di 100 circoscrizioni in più rispetto al 2022, passando da 70 a 175 candidati, a scapito di La France Insoumise, che vedrà il suo numero di circoscrizioni ridursi da 360 a 229. Questo riequilibrio generale a favore dei socialisti è stato ottenuto con il forcipe durante i negoziati, come riportato da Le Monde.
Un altro segno del movimento di destra in atto nei confronti del NUPES sono i “raduni” che stanno spingendo la coalizione sempre più a destra. Carole Delga, la presidente vallsista [da Manuel Valls, primo ministro neoliberale di Hollande e ora a capo di una formazione di centro, Renaissance ndt] del Consiglio regionale dell’Occitania, che lo scorso ottobre ha chiesto di vietare le manifestazioni in solidarietà con la Palestina, ha sostenuto pubblicamente il fronte, mentre Aurélien Rousseau, ministro di Emmanuel Macron e artefice della riforma delle pensioni, è stata candidata nella circoscrizione degli Yvelines. Il simbolo più forte di questa deriva resta ovviamente François Hollande, ex presidente della Repubblica, un vero maestro delle politiche antisociali e antipopolari, responsabile, tra l’altro, della controriforma sul lavoro, della legge Cazeneuve che fornisce una vera e proria licenza di uccidere alla polizia, del divieto di manifestare per la Palestina nel 2014, ecc.
Per chi avesse ancora dei dubbi sulla natura dell’alleanza, la candidatura dell’ex capo di Stato dovrebbe fornire qualche chiarimento. Con il pretesto di un “fuoco di sbarramento contro l’estrema destra”, il NFP sta in realtà investendo né più né meno che uno dei più fedeli servitori della borghesia francese degli ultimi decenni, consentendo il ritorno dell’ala “social-liberale” del regime che, per oltre 40 anni, ha tradito le classi lavoratrici e spianato la strada al FN/RN. È un altro salto nella riabilitazione del Parti Socialiste, rispetto al quale non dobbiamo dimenticare le responsabilità di Jean-Luc Mélenchon, a cui il tentativo di egemonizzare la sinistra con il NUPES si è innegabilmente ritorto contro. Due anni dopo la formazione dell’alleanza per le elezioni legislative del 2022, l’azzardo elettorale di Mélenchon non solo ha ridato vita a un PS quasi cerebralmente morto dopo l’1,7% di Hidalgo alle elezioni presidenziali, ma ha anche messo coloro che avevano sistematicamente tradito le classi lavoratrici quando erano al potere nella posizione di dare il tono dell'”alleanza”.
L’emergere del NPF mina così la scommessa sulla quale i consiglieri di Mélenchon avevano puntato in caso di scioglimento dell’Assemblea nazionale. Un dirigente di LFI, citato da Juan Chingo e Claude Piperno in un articolo pubblicato alla fine del 2023, ha dichiarato che in caso di scioglimento “Faure e co. sarebbero costretti a tornare all’alleanza elettorale con Mélenchon”. All’epoca, LFI sperava di ripetere lo scenario del 1997, che aveva permesso alla Gauche Plurielle (Sinistra plurale) di Lionel Jospin di occupare Matignon sotto Chirac, ipotizzando che questa volta sarebbe stato Mélenchon a essere nominato primo ministro [il riferimento è a un episodio di “coabitazione”, con governo di centro-sinistra e presidenza di centro destra, possibile nello scenario politico francese dove il presidente della repubblica ha ampi poteri ndt]. Negli ultimi giorni, il tono dei dibattiti sul futuro primo ministro ha dimostrato che questo scenario è ormai più che improbabile, e l’appoggio finale di Mélenchon alla candidatura di François Hollande suggerisce che il Nouveau Front Populaire segna il fallimento di LFI nell’imporre la sua egemonia a sinistra, e apre la strada alla rigenerazione del PS, uno dei pilastri del regime della Quinta Repubblica.
Fronte Popolare, “sinistra plurale” e programma
Lungi dall’essere “inedito”, come sostiene Oliver Faure, il NFP è in linea con le varie “unioni” della sinistra che lo hanno preceduto nella storia: dal Front Populaire del 1936-38, all’Unione de la Gauche del 1972-77, riattivata da Mitterrand nel 1981, alla Gauche Plurielle del 1997-2002, con coordinate politiche ogni volta diverse. L’affermazione di essere legati al Front Populaire del 1936 ha lo scopo di riaccendere il mito di un governo di sinistra che ha ottenuto importanti vittorie sociali. Una narrazione che oscura la vera storia di questa esperienza. Negli anni Trenta, un profondo impulso popolare, incarnato dallo sciopero generale del 12 febbraio 1934, che mobilitò milioni di lavoratori di fronte a una sommossa fascista, costrinse il Partito Comunista e la Section Francaise de l’Internationale Ouvriere (SFIO) [vecchio nome del PS ndt] a intraprendere un’azione unitaria.
Successivamente, su richiesta della burocrazia sovietica, i vertici di queste organizzazioni, e in particolare quello del PCF, si allearono con il Parti Radical, pilastro della Terza Repubblica, con l’obiettivo di incanalare lo slancio dei lavoratori e del popolo. Dopo la sua elezione nel maggio 1936, il governo di sinistra non riuscì a impedire lo scoppio di grandi scioperi che avrebbero dato vita a una situazione “quasi rivoluzionaria”, come avrebbe detto in seguito il leader del Front Populaire Léon Blum. È in questo contesto che il governo cercò di fermare il movimento approvando, con urgenza e con l’appoggio dei datori di lavoro, una nuova serie di leggi sulle ferie pagate e sulla settimana di 40 ore. Lungi dall’essere il risultato di una coalizione elettorale, la storia dei “guadagni del Front Populaire” è quella della canalizzazione istituzionale di un potente movimento di massa, al servizio dell’interruzione di una dinamica rivoluzionaria.
Il Nouveau Front Populaire si è aggregato in una situazione diversa ed ha rappresentato soprattutto la preparazione di una soluzione alternativa per il regime, con la resurrezione del Partito Socialista. Di fronte alla crisi strutturale del blocco borghese, settori profondamente integrati nel regime come l’ex presidente Hollande sperano di (ri)prendere la guida di una sinistra di governo o, per lo meno, di un’opposizione “di sinistra”. Il NFP ricorda più un ritorno alla Gauche Plurielle di Jospin (1997-2002), la cui serie di tradimenti ha spianato la strada a Jean-Marie le Pen fino a fargli raggiungere il secondo turno delle presidenziali nel 2002. Sebbene sia abbastanza improbabile, un governo del NFP sulla base di un’alleanza composita, in coabitazione con Macron, e sotto la pressione di un contesto internazionale segnato dal ritorno all’austerità e dalla corsa al riarmo, potrebbe portare a politiche ancora più reazionarie e produrre gli stessi effetti.
Da solo, il programma del Nouveau Front Populaire, che serve innanzitutto come garanzia per l’accordo tra apparatchiki, non dice molto su cosa potrebbe fare un tale governo. D’altra parte, una serie di fattori indica la crescente influenza dell’ala destra della sinistra istituzionale. In primo luogo, il programma del NFP, pur essendo sostanzialmente in linea con quello della NUPES, compie una serie di importanti passi indietro. Per quanto riguarda la riforma delle pensioni, l’accordo si riduce al minimo comune denominatore: l’abrogazione dell’attuale riforma e l'”obiettivo comune” del pensionamento a 60 anni, consentendo diverse interpretazioni della misura [1]. Complessivamente, il programma NUPES si è disintegrato sotto la pressione del PS e dell’EELV: delle 500 misure ritirate (il programma scende da circa 650 a 150), la maggior parte sono quelle che il PS e l’EELV non volevano nel 2022.
Per quanto riguarda i licenziamenti, ad esempio, il programma NUPES proponeva di ” concedere ai comitati aziendali un veto sospensivo sui piani di licenziamento “, ma spiegava poi che ” il Partito Socialista e Europe Écologie-Les Verts non sosterranno il diritto dei comitati aziendali a un veto sospensivo sui piani di licenziamento “. Di conseguenza, due anni dopo, il “programma di cambiamento” del PNF non contiene più alcuna misura contro i licenziamenti. Lo stesso ritornello vale per altri punti, come “la nazionalizzazione di alcune banche generaliste” o la possibilità di una “commissione d’inchiesta sulla violenza della polizia”, il cui termine “violenza della polizia” è scomparso dal programma. Sono scomparsi anche la sesta settimana di ferie pagate, le scarse nazionalizzazioni proposte dal NUPES nel 2022 (alcuni aeroporti, le autostrade e il gioco d’azzardo) o il “ritiro della legge El-Khomri” [la legge sul lavoro, simil Job-act italiano, votata sotto la presidenza Hollande del 2016 ndt].
L’attuale scottante questione dei salari è sintomatica della logica che guida il programma del “Nuovo Fronte Popolare”. Esso chiede l’indicizzazione dei salari all’inflazione, l’innalzamento del punto di indicizzazione per i dipendenti pubblici e un salario minimo netto di 1.600 euro (superiore ai 1.500 euro della NUPES). Queste richieste sono simili a quelle dei sindacati ma, alla luce dell’inflazione degli ultimi due anni, rimangono piuttosto ridotte e, soprattutto, non sono accompagnate da alcuna proposta riguardante i salari in generale dei dipendenti del settore privato. [2]. Ma è sul fronte internazionale, al centro delle discussioni, che il programma è più preoccupante. Nel complesso, la linea sembra essere influenzata dall’orientamento militarista e pro-NATO del Parti Socialiste. Sotto il titolo “L’urgenza della pace”, il programma chiede la “difesa incrollabile della sovranità e della libertà del popolo ucraino e dell’integrità dei suoi confini”, “attraverso la consegna degli armamenti necessari”. Su una questione così importante come la guerra in Ucraina, che è la leva per una corsa agli armamenti e per tendenze ultra-reazionarie in Europa, il programma del NFP è del tutto compatibile con l’escalation militarista. Da questo punto di vista, il rifiuto di LFI di esprimere un parere sull’invio di Mirage 2000 in Ucraina è rivelatore e preoccupante.
Dietro le promesse di “rottura” dei suoi cofirmatari, questo programma, ancor più di quello del NUPES, appare infinitamente più moderato di quello dell’Unione della Sinistra del 1981. Eppure sappiamo come è finito l’esperimento di Mitterrand e la profonda disillusione che ha provocato nelle classi lavoratrici, di cui stiamo ancora pagando il prezzo. Neokeynesiano nella misura in cui la rivista Alternatives Economiques lo colloca nella continuità del programma di Joe Biden, il programma del NFP può talvolta offendere la doxa neoliberista, come dimostra la volontà di “ripristinare la patrimoniale” o di attuare un “congelamento dei prezzi”, ma non ha alcuna intenzione di mettere in discussione il potere dei datori di lavoro e ancor meno di fare incursioni nella proprietà privata, figurarsi mettere in discussione il sistema capitalista. Lo dimostrano ancora una volta, negli ultimi giorni, la battaglia sulle cifre del programma, che il Parti Socialiste quantifica ora in 106 miliardi di euro, e i dibattiti sui futuri vincoli al pareggio di bilancio che, nel contesto dell’attuale rallentamento economico, lasciano già presagire future rinunce.
L’urgente necessità di un’alternativa per combattere l’estrema destra e sfidare la sua influenza nella nostra classe
Il destino della NUPES, fratturatasi nel giro di poche settimane in un contesto di polarizzazione politica su scala internazionale e sotto il peso di profonde divergenze su temi chiave come la NATO e l’Unione Europea, lascia intravedere cosa ne sarà del programma del “Nuovo Fronte Popolare” una volta terminate le elezioni. È persino lo scenario più probabile se si tiene conto delle politiche del PS, dell’EELV e del PCF, che hanno costantemente dimostrato la loro profonda integrazione con il regime ogni volta che questo si è sentito minacciato – dai giovani, quando hanno manifestato contro la violenza della polizia, dai quartieri, denunciando “l’importazione del conflitto israelo-palestinese”, ecc. Per tutti questi motivi, pur condividendo i timori di chi si rifiuta di assistere passivamente all’ascesa dell’estrema destra e di avallare la pericolosa scommessa di Emmanuel Macron, riteniamo che la soluzione non risieda nell’alleanza elettorale che si è creata negli ultimi giorni. Come nota Paul Morao, il NFP è l’opposto di qualsiasi prospettiva di irruzione delle masse popolari nel campo della lotta di classe: è piuttosto ” una gigantesca macchina per neutralizzare la prospettiva della discesa in campo degli sfruttati e degli oppressi, in nome del compromesso e dell’accomodamento con chi incarna l’esatto contrario della lotta contro l’estrema destra “.
In un momento in cui si organizzano manifestazioni contro l’ascesa dell’estrema destra, la legittima aspirazione della nostra classe a opporsi al Rassemblement National non deve essere sfruttata per servire le logiche dell’apparato, che rafforzerà il Parti Socialiste i cui successivi tradimenti negli ultimi quarant’anni hanno fornito la base per l’estrema destra. In questo contesto, Révolution Permanente partecipa alle mobilitazioni indette in particolare dal movimento intersindacale per difendere la necessità di una risposta dal basso, nelle strade, nei luoghi di lavoro, nei luoghi di studio, per contrastare l’estrema destra e le politiche antisociali e reazionarie, intorno a un programma anticapitalista. Solo un autentico movimento complessivo, che cerchi di far leva sulle profonde tendenze all’unità di classe che si sono espresse in particolare contro la riforma delle pensioni, potrebbe consentire di costruire una vera e propria risposta contro l’estrema destra e il suo continuo radicamento in settori della nostra classe. Questo non sarà possibile se chiudiamo gli occhi di fronte al comportamento di coloro che si dichiarano “socialdemocratici” e che hanno una responsabilità schiacciante nell’ascesa delle idee di estrema destra, che capitalizzano il loro decennale tradimento delle aspirazioni dei lavoratori e dei cittadini.
Damien Bernard
Nathan Deas
NOTE:
[1] “Dipenderà dalle finanze pubbliche”, afferma Olivier Faure, “Abbiamo visioni diverse di ciò che significa”, aggiunge Yannick Jadot, nei commenti riportati da Les Echos, lasciando ampio spazio a differenze nell’attuazione.
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