A giudicare dall’inchiesta condotta dal giornalista di Report (Nazzerini) su Poste Italiane, sulla sua trasformazione avvenuta negli ultimi 20 anni e sulle condizioni di lavoro dei postini (non solo di Poste, come vedremo), che ripercorro in maniera sintetica sottolineando i punti per noi di interesse e che mostrano bene le contraddizioni di questo sistema, il quadro che ne viene fuori è a dir poco vergognoso, per quanto le problematiche che esporremo siano ormai da tempo all’ordine del giorno e non destino più le adeguate reazioni d’indignazione. D’altronde ormai sono riusciti ad assuefarci, a renderci insensibili persino di fronte alle più assurde e inaccettabili ingiustizie perpetrate dall’uomo sull’uomo, dirette conseguenze delle profonde contraddizioni del capitalismo, poiché purtroppo sono diventate la normalità e ne sentiamo parlare tutti i giorni in tv. Ma non ci sono riusciti ancora del tutto, infatti noi non ci siamo di certo arresi allo stato di cose attuali, bensì lottiamo per trasformarlo.
Ma veniamo al dunque. Poste Italiane, da sempre la più grande società di servizi del nostro paese, fino a non molto tempo fa specializzata esclusivamente in quelli postali (consegna pacchi, raccomandate, corrispondenze, pagamenti bollettini ecc.) a un certo punto si ritrovò in una situazione di deficit eccessivo. Nel 1998 il governo Prodi incaricò l’ex ministro Passera di risanarla: questa operazione significò, oltre ad una innovazione tecnologica complessiva, che trasformò Poste nella rete informatica più vasta d’Italia, un taglio di personale di 22mila unità, l’assunzione di molti under 24 con contratti triennali di apprendistato (precari) e il peggioramento delle condizioni lavorative nel complesso. Nacque così BancoPosta, con 140 mila dipendenti, 13 mila uffici in tutto il territorio e 33 milioni di clienti, di fatto la banca più grande d’Italia, essendo praticamente la cassa di risparmio di gran parte degli Italiani, con i suoi quasi 500 miliardi di euro. Nel 2011, quando si aprì il mercato anche ad altri operatori privati per la fornitura di servizi postali, cominciò a spostare il grosso dei suoi affari sulla finanza, diventando in breve tempo la più grande bancassicurazioni del nostro paese. Nel 2015 il governo Renzi ha avviato la quotazione di una tranche del 35% delle sue azioni. “Si sono buttati dentro i fondi di investimento, i più grandi, che immaginiamo siano allettati più dai 498 miliardi di risparmio che ha in pancia Poste che dai suoi postini.” Poco interessata ormai a fornire i suoi servizi tipici, Poste oggi fa soprattutto banca e assicurazioni. “Il grosso dei guadagni deriva dalla finanza. Nel 2016 Poste ha dichiarato 33 miliardi di euro di ricavi. Di questi, 20 sono premi assicurativi. Cioè il servizio postale dentro il bilancio, dentro l’anima della società pesa [solo] per un 10–12%”. Però “il 90% degli oltre 140mila dipendenti, è ancora aggrappato ai servizi tradizionali di Poste. Per lettere e pacchi c’è ancora un esercito a disposizione, che però è sempre più sconsolato e scombinato, su cui da tempo hanno smesso di investire tutti, vertici aziendali e governi vari.”
Se poi da un lato il suo ultimo amministratore delegato, Francesco Caio (da poco sostituito da Matteo Del Fante) , dice che il costo del servizio universale è di 1 miliardo, molto probabilmente gonfiando i numeri, dall’altro lo Stato e il Governo non solo non gli credono ma decidono di non concedere più 325 milioni come prima, scendendo a 260. Tutto questo in un quadro di crisi per le casse dello Stato (di cui purtroppo pochi hanno chiare le cause e le responsabilità) che, come ben sappiamo, è sempre più indebitato, ha sempre meno soldi e può così giustificare i suoi finanziamenti sempre più magri per le spese sociali, in ogni campo (sanità, istruzione, tutele ecc.). Dunque, gli amministratori e i funzionari di Poste dicono di aver bisogno di più soldi (che oltretutto non possiamo mai sapere esattamente come li usano e gestiscono), lo stato non ce li ha perché c’è la crisi (non lo dico con sarcasmo… è vero!). Tutto torna. Ci si nasconde dietro al finanziamento in diminuzione costante per giustificare prima lo sfacelo e l’inefficienza del servizio nel suo complesso, e poi la sua progressiva privatizzazione, già iniziata.
Nel frattempo, da quando l’apertura del mercato anche ad operatori privati in questo settore è diventata totale e i bandi sono partiti (con un nuovo segmento di 360 milioni), le società e i consorzi che svolgono questo tipo di servizi si sono moltiplicati, con circa 2000 titolari di licenza o di autorizzazione (caso anomalo in Europa). Dopodichè, totale è diventata anche la mancanza di trasparenza. E a questo dovrebbe porre un freno l’Agcom, l’autorità di vigilanza del settore, che deve tutelare gli utenti e sanzionare gli operatori che non rispettano le regole, in un mercato in esplosione: le cui magrissime risorse però sono formate da 11 funzionari e 3 dirigenti, il che rende evidente la sua debolezza, cioè la sua inefficacia, tanto che pure loro stessi lo ammettono.
Prendiamo ora un caso in particolare, uno tra i tanti, di azienda privata che, “grazie” alla liberalizzazione che glielo ha permesso, cerca di ritagliarsi il suo spazio di mercato entrando in competizione con Poste, e arriviamo così finalmente agli effetti che tutto ciò ha sui lavoratori, sulla nostra classe sociale di riferimento, tramite la testimonianza di un giovane lavoratore.
“HibriPost è uno dei 2000 operatori privati con licenza. È una società consortile. Tra i soci, con una piccola quota, c’è anche una società di Vicenza. Si chiama InboxSrl.”
Riportiamo direttamente l’intervista (sempre di Nazzerini, per Report) a un dipendente di questa società:
<< (…) Il giorno dopo incontriamo un altro postino, che però lavora in macchina e consegna anche a 50 km da Vicenza. A differenza del primo, accetta di rivederci e porta con sé il contratto e qualche busta paga.
– Anche lei ha un contratto di lavoro a chiamata con pagamento a ore a tempo indeterminato.
– Sì, però in realtà è un contratto falso.
– Cioè lei non è assunto?
– Sì, sono assunto però alla “carlona” diciamo.
– Ovvero?
– Sulla busta paga risulta che mi pagano a ore, però in realtà siam pagati tutti a cottimo.
– Più buste consegna e più guadagna? Cioè lei è pagato sulla singola busta?
– Sì, 8 centesimi a busta, che vuol dire lavorare, se vuoi guadagnare qualcosa di decente, 15-16 ore al giorno, cioè anche la notte. A volte nei paesi chiamano i carabinieri perché gli suono alle undici di sera hai capito? Anche nei weekend devo lavorare.
– Praticamente quanto riesce a portare a casa?
– 500 al mese, se va bene. Il mese scorso ho preso 600 euro, però 150 di benzina le devi togliere e quindi fai i conti te.
– Qui però c’è scritto rimborso spese.
– Sì c’è scritto, ma non c’è nessun rimborso in realtà.
– La benzina non gliela rimborsano?
– No, faccio anche 100 km al giorno. E devi usare la tua macchina e se si rompe son cazzi tuoi. Poi se guardi la busta, sulla busta c’è scritto anche malattia, tredicesima, quattordicesima, le ferie, ma in realtà non c’è niente. Io comunque ho il mio palmare, a fine giornata mando lo scarico e loro in ufficio cambiano tutti gli orari. Praticamente sulla busta paga, se guardi, c’è scritto che ho lavorato 45-50 ore.
– Qua c’è scritto 54 ore.
– Ecco 54, ne avrò fatte 300!
– Da dove arriva fisicamente la posta che poi ritirate in ufficio?
– Mah, non so, mai capito… cioè io la vedo arrivare con dei furgoni, poi loro la dividono per zone, a te ti danno la tua zona e io poi per esempio, me la prendo e me ne vado a casa a smistarmela. Poi non è legale farlo a casa.
– Questa situazione è sempre stata la stessa? Nessuno ha mai protestato? Non c’è mai stato un controllo?
– Sì, una volta sono venuti gli ispettori del lavoro solo che i capi lo sapevano prima. Ci hanno chiamati e ci hanno detto “se dite qualcosa qua perdiamo il posto tutti, ne andiamo di mezzo tutti, state attenti non parlate” e noi non abbiamo parlato. Capito?
– L’ispettore è venuto anche da lei?
– Sì, sì è venuto anche da me. Io volevo, sinceramente, io stavo per dirglielo, volevo farlo saltare fuori il casino. Però poi ho avuto paura anche io e niente, non ho detto niente. Comunque sono 500 euro, son pochi, però tu me li dai? >>
Come sempre si fanno ricadere gli effetti della crisi del capitalismo sui lavoratori e sulla maggioranza della società, peggiorando drasticamente le loro condizioni di lavoro e di vita, ciò che permette in alcuni casi, ad alcuni capitalisti, il momentaneo rimontare dei loro profitti.
Ma torniamo a Poste Italiane nelle sue nuove vesti di grande bancassicurazioni e sentiamo ora le parole di una loro consulente:
<< Qui c’è tutto come in banca quando vuole investire, c’ho i fondi c’è tutto! Se si vuole guadagnare di più, si deve mettere su un fondo azionario.
– Che vuol dire Poste Vita?
– Poste Vita esattamente, è tranquillo, è Poste, è la società separata di Poste. La cosa più tranquilla come fare il buono postale. Gli assicurativi stanno dando due pulito, lo stanno dando il 2 netto, 2.50 poi sta a 2.20… sugli assicurativi sta dando veramente quel 2. >>
“Ma nel prospetto e nel contratto Poste Vita lo ripete più volte: non riconosce alcun rendimento minimo garantito, ovvero garantisce lo 0. Un po’ nascosto poi, nel contratto, c’è scritto che potranno essere effettuate operazioni in derivati, strumenti finanziari fra i più pericolosi. E che ogni anno Poste Vita si tiene lo zero e novanta del rendimento. E attenzione anche al capitale: che non è quello che dai a Poste Vita, ma sono i tuoi soldi meno il caricamento del 3% di ingresso che va all’intermediario, Poste Italiane. Ti ridanno tutto solo se muori. Per fortuna questo è il prodotto più tranquillo di tutta la vastissima gamma.”
Un altro caso eloquente su Poste è quello che ha riguardato un’esuberante imprenditore che in Sicilia aprì decine di poste abusive, accusato di intascare i soldi dei pagamenti delle bollette, per un ammontare di 30 milioni di euro; però poi sembra abbia consegnato tutto regolarmente a Poste Italiane: che infatti “per questa storia si è beccata una sanzione dalla Guardia di Finanza da centinaia di migliaia di euro, perché i suoi direttori di ufficio non hanno mai segnalato all’antiriciclaggio le montagne di soldi che gli portava l’imprenditore. Oggi Poste è parte civile in un processo che non è ancora iniziato. E allora resta il mistero dei milioni spariti nel nulla.”
Oppure potremmo parlare del fatto che da quando Mediolanum, la banca privata di Berlusconi, ha firmato una convenzione con Poste, è diventata in un colpo solo la banca con più presenza di sportelli sul territorio, con ben 5,6 miliardi di euro, il 20% in più rispetto al 2015 che già era andato alla grande. Fin qui tutto normale per (mettiamo) un liberale. Il fatto è che contemporaneamente questi sportelli diventano quelli più usati anche dalla criminalità organizzata, come nel caso del capo ndrangheta della Brianza, che in un intercettazione dice che è meglio prelevare da BancoPoste, poiché solo da lì, grazie alla complicità di alcuni direttori di Poste (a cui si ricambiava con vari favori), è possibile sapere in anticipo l’ammontare dei soldi contanti presenti in cassa, per poi arrivare a prelevare anche fino a 300 mila euro al giorno (utilizzando diversi sportelli: data la loro vasta diffusione sia numerica che geografica, diventa più difficile scovare movimenti illeciti).
Di fronte a questa situazione di palese illegalità, le segnalazioni di diversi dipendenti, ispettori o direttori di Poste a nulla sono servite, anzi, solo a fargli perdere il posto: non sono mai state prese in considerazione dai piani alti, che dicevano che tutto andava bene e che non dovevano rifiutarsi di effettuare le operazioni (questo hanno detto pure di fronte a prelievi frequenti da decine di migliaia di euro). Molti di questi poi, come dicevo, sono stati immediatamente licenziati. Ormai “i dipendenti non vogliono parlare per paura di ritorsioni, ma lamentano stipendi bassi, obiettivi irrealizzabili e pressioni sfiancanti.” Uno di loro, dice: << Noi lavoriamo proprio con il terrore addosso… >>
Potremmo continuare all’infinito, il punto, piaccia o non piaccia, è sempre lo stesso: tutti questi esempi dimostrano la profonda contraddittorietà e ingiustizia del sistema fondato sulla proprietà e sulla gestione privata dei grandi mezzi di produzione e di scambio, sulla massimizzazione del profitto a tutti i costi e sulla competitività spietata, effettuata sulla pelle dei lavoratori e delle classi subalterne. Alle quali non resta altro che organizzarsi per ribaltare questo stato di cose. Nel caso specifico, e nel concreto, cominciando col nazionalizzare sotto controllo operaio e senza indennizzo Poste Italiane, per arrivare poi, in prospettiva, a porre sotto il proprio controllo e sotto la propria gestione, più razionale, sana e democratica possibile, non solo Poste, ma la produzione e la riproduzione della società intera.
Misure che non possono essere realizzate senza la presa del potere economico e politico da parte dei lavoratori al posto della borghesia; misure che necessitano quindi di un governo dei lavoratori.
Diggei
Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.