Cominciamo una serie di articoli di lettura ragionata dell’opera di Vladimir Lenin “Materialismo ed empiriocriticismo”, scritta nel 1908 contro le posizioni filosofiche e politiche idealiste che Alexander Bogdanov stava sviluppando nel partito socialdemocratico russo.
Materialismo ed empiriocriticismo è stato scritto da Lenin per confutare l’idealismo a favore del materialismo marxista. Per empiriocriticismo intende la “nuova” (ai tempi di Lenin) corrente filosofica di Ernst Mach che critica il materialismo, perché ammette una cosa impensabile, cioè l’esistenza della cosa in sé. Pensano, i machisti (così vengono definiti da Lenin gli empiriocriticisti) che la materia non produca sensazioni: i machisti appunto ammettono l’esistenza di qualcosa che “sta al di là”, oltre i limiti dell’esperienza e della conoscenza. Rifiutano il punto di vista dei materialisti che prendono come base l’ignoto, il nulla perché l’unica fonte della conoscenza sono i nostri sensi.
A fronte della caratterizzazione di novità del pensiero di Mach da parte della filosofia del tempo, Lenin ricorda che George Berkeley (vescovo anglicano e filosofo idealista) 200 anni prima sosteneva che “è evidente, per ognuno che esamini gli oggetti dell’umana conoscenza, ch’essi sono o idee realmente impresse nei sensi, o idee acquisite mediante l’osservazione delle passioni e delle operazioni della mente; o idee formate con l’aiuto della memoria e dell’immaginazione … mediante il tatto percepisco il duro o il molle … l’odorato mi fornisce gli odori … essendo stato osservato che un certo colore, gusto, odore, figura e consistenza, vanno sempre insieme, tutte queste idee sono considerate come una cosa distinta espressa con il nome mela, altre collezioni di idee costituiscono una pietra, un albero…”. Quindi per l’idealista Berkeley le cose sono “collezioni di idee”. E ancora “Oltre a tali idee od oggetti di conoscenza esiste qualcosa che lo percepisce mente, spirito animo o io. E’ ovvio che le idee non possono esistere fuori dall’intelletto che le percepisce … Non riesco a capire come si possa parlare dell’esistenza assoluta delle cose indipendentemente dal fatto che qualcuno le percepisca … E’ invero una opinione stranamente dominante fra gli uomini che le cose, le montagne i fiumi e, in una parola, tutti gli oggetti sensibili, abbiano un’esistenza naturale o reale distinta dal loro esser percepiti dall’intelletto … Questa opinione è una contraddizione evidente”. Quindi l’attacco di Berkeley ai materialisti (quindi anche alle scienze naturali) è principalmente sul fatto che separare la sensazione dall’oggetto è una pura astrazione: “l’oggetto e la sensazione sono la stessa cosa e non si può separare l’una dall’altra”. Pertanto Berkeley nega l’esistenza assoluta degli oggetti, vale a dire l’esistenza delle cose fuori della conoscenza umana, quindi “l’esistenza assoluta di oggetti sensibili in sé stessi o fuori dalla mente”, in pratica il principio materialista dell’esistenza della cosa in sé enunciato precedentemente
Siamo di fronte non alla fabbricazione di una nuova filosofia (machismo o empiriocriticismo), ma alla riproposizione con parole diverse di vecchie concezioni idealistiche di Berkeley.
Oltre a ciò si contesta anche il concetto di materia e sostanza: Berkeley sostiene che la materia è una non-entry, ”la materia è nulla”.
“Io non contesto l’esistenza di qualsiasi cosa che possiamo apprendere mediante i sensi o mediante la riflessione…la sola cosa di cui neghiamo l’esistenza è quella che i filosofi chiamano materia o sostanza corporea”. Quindi a fronte delle accuse di voler distruggere la sostanza corporea Berkeley ribadisce che “…se la parola sostanza è presa dal senso volgare come una combinazione di qualità sensibili, noi non possiamo essere accusati di eliminarla”.
Il filosofo idealista inglese Fraser chiama la dottrina di Berkeley “realismo naturale”. Berkeley nega la teoria della conoscenza (cioè la dottrina dei filosofi) che mette seriamente e risolutamente a base di tutti i suoi ragionamenti, il riconoscimenti del mondo esterno e il riflesso di questo mondo nella conoscenza degli uomini. Berkeley non si azzarda a negare direttamente le scienze naturali, alla base di questa teoria, ma considera il mondo esterno una combinazione di sensazioni suscitate nel nostro intelletto dalla divinità. Berkeley rinuncia a cercare le basi di queste sensazioni e riconoscerà tutta la scienza naturale, nei limiti della sua teoria idealistica. Ha bisogno di questi limiti per giustificare le sue illazioni in favore della pace e della religione.
Quindi ci si trova di fronte a due tendenze filosofiche: una che“pretende di spiegare le cose per mezzo di cause corporee”, l’altra che riduce la nozione di casualità alla nozione di contrassegno o segno da servire alla nostra informazione per tramite di Dio. Rifiutando così di riconoscere l’esistenza delle cose fuori della coscienza Berkeley si sforza di trovare un criterio di distinzione tra reale e fittizio: tenta quindi di connettere il concetto di reale alla percezione simultanea di sensazioni identiche da parte di molte persone. Su questo punto Fraser spiega che “La coscienza simultanea delle stesse idee sensibili…viene considerata qui come una prova della realtà delle idee della prima specie”.
Ne risulta che l’idealismo soggettivo di Berkeley non si può ritenere che ignori la differenza che esiste tra la percezione individuale e la percezione collettiva. Su questa differenza Berkeley tenta di erigere il criterio della realtà. Il mondo non si presenta come una mia rappresentazione, ma come l’effetto di una causa spirituale suprema, creatrice delle leggi della natura: le idee quindi sono prodotto dell’azione della divinità sull’intelletto.
Fraser commenta che “secondo i materialisti i fenomeni sensibili sono dovuti a una sostanza materiale; secondo Berkeley sono dovuti ad una volontà razionale; secondo Hume e i positivisti la loro origine è assolutamente sconosciuta.”
A tal proposito Engels delinea perfettamente le caratteristiche che dividono i filosofi in materialisti e idealisti: la differenza tra l’una e l’altra sta nel fatto che per i materialisti la natura ha la priorità sullo spirito e per gli idealisti viceversa. Mentre definisce agnostici i seguaci di Hume e Kant, in quanto negano la possibilità di conoscere il mondo o almeno di conoscerlo completamente. Hume scrive: “appare evidente che gli uomini sono spinti da un istinto naturale a credere nei loro sensi” poi continua con un esempio “la tavola che vediamo sembra più piccola quando noi ce ne allontaniamo, ma la tavola reale che esiste indipendentemente da noi non subisce alterazioni; perciò alla mente non era presenta la sua immagine … Questi sono gli ovvi dettati della ragione e nessuno uomo che rifletta ha mai dubitato che le esistente sui alludiamo dicendo “questa casa” o “quell’albero” siano altro che percezioni della mente … con quale argomento si può provare che le percezioni devono essere prodotte nella mente da oggetti esterni … o da qualche causa a noi ancora più ignota? Ma qui l’esperienza tace, e non si può non tacere. La mente ha sempre presente a sé soltanto le percezioni e non può avere alcuna esperienza della loro connessione con gli oggetti … ricorrere alla veracità dell’Essere Supremo per provare la veracità dei nostri sensi è compiere un giro vizioso … una volta posto in discussione il mondo esterno ci riuscirebbe difficile trovare argomenti con cui provare l’esistenza di quell’Essere Supremo …”.
Anche con questo libro Lenin polemizza non per un fine accademico/filosofico, ma perché interessato al risvolto pratico, la prassi, che ha la filosofia nella politica. Le deviazioni dell’idealismo contaminarono proprio il compagno Bogdanov e tale polemica (cioè il libro) è un metodo per mostrare che tra le file dei “compagni”, anche tra i più rappresentativi, possono esserci deviazioni ideologiche, capaci di distruggere la costruzione del corretto percorso politico. Questo non significa, in maniera settaria, farsi strada a danno dei compagni tramite la loro “demolizione” politica ma piuttosto, come già detto precedentemente, dare un esito pratico alla teoria. Non me ne vogliano i cultori del volontarismo e della militanza convulsa, perché non è la quantità che genera qualità, bensì solo un profondo impianto teorico può generare una corretta praxis. Un’accozzaglia di esperienze produce variegate storture.
Sirio Stivalegna
Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.