La scorsa settimana si è conclusa con una vittoria la vertenza delle 17 lavoratrici del bergamasco, licenziate con la scusa del cambio d’appalto, ma per motivi palesemente politici. In un clima dove “non è praticamente possibile parlare con le vicine… se lo vede, la capa urla”, queste lavoratrici hanno osato alzare la testa e iscriversi a un sindacato combattivo come lo SlaiCobas. Nella Montello s.p.a. il licenziamento è ancora più spietato dato che la maggioranza delle 500 dipendenti dello stabilimento sono immigrate e con figli a carico, visto che la perdita del lavoro significa non poter rinnovare il permesso di soggiorno.
La settimana scorsa, tutte e 17 le operaie sono rientrate al lavoro, ma al prezzo di una lotta durissima. Rimaste senza lavoro per un mese e mezzo, le lavoratrici non solo non hanno potuto contare sulla giustizia dello Stato (i cui giudici non si sono azzardati a decidere il rientro al lavoro) ma hanno persino trovato l’aperta ostilità dei funzionari della CGIL locale.
Nulla di questo è servito a piegare la compattezza delle licenziate. La tenacia dimostrata e il rischio di sviluppare concretamente la solidarietà anche dentro la fabbrica hanno spaventato ogni giorno di più i padroni, finché non hanno dovuto cedere. Dopo più di 40 giorni di presidi, “le 17 di Montello” sono finalmente rientrate a lavoro.
Riproponiamo quindi il nostro articolo riguardo la vertenza e pubblichiamo il comunicato dello Slai Cobas.
Chiedono di essere pagate, licenziate 17 lavoratrici: sostieni la lotta delle operaie della Montello!
Il primo ottobre scorso 17 lavoratrici della Montello S.P.A., ex-acciaieria dell’omonimo paese del bergamasco riconvertita in fabbrica di selezione e riciclo rifiuti, sono state licenziate per motivi politici con il pretesto di un cambio d’appalto. L’azienda aveva promesso ai sindacati che il passaggio della manodopera da una cooperativa all’altra non avrebbe intaccato i livelli occupazionali. Evidentemente, però, non si poteva tollerare che alcune operaie avessero fatto causa al padrone per vedere riconosciute le otto ore in busta paga, oltre a lamentare le terribile condizioni di lavoro subite dalle 500 dipendenti dello stabilimento, la stragrande maggioranza delle quali donne, immigrate e con figli a carico.
Ritmi massacranti e turni di notte che rendono sempre più insostenibile, non solo lo sfruttamento in fabbrica, ma anche il “lavoro riproduttivo” in famiglia. Pausa pranzo di 15 minuti (vestizione e tempo per raggiungere la mensa inclusi), acqua non potabile e maleodorante utilizzata per docce e macchinette del caffé; ambiente di lavoro insalubre e abbigliamento inadeguato (non esiste un servizio di lavaggio interno delle tute da lavoro, mentre gli occhiali necessari per proteggersi dalle esalazioni tossiche dei rifiuti maneggiati nel ciclo produttivo non sono adatti a un uso prolungato).
Con queste ed altre “amenità” hanno a che fare tutti i giorni le operaie della Montello, insieme a una pesantissima repressione padronale: “non è praticamente possibile parlare con le vicine – raccontano le lavoratrici bergamasche – se lo vede la capa urla”. Inoltre, ottenere permessi per malattia è un vero e proprio miraggio… Un miraggio che quando si materializza equivale a giorni, settimane o addirittura mesi senza stipendio. Eclatante il caso di una lavoratrice che “dopo un infortunio è rimasta in malattia non pagata per 4 mesi, senza usufruire della disoccupazione perché il contratto risultava ancora in essere e la cooperativa non la licenziava temendo la denuncia” riferiscono sempre le operaie.
Decisiva, al fine di mantenere un clima del genere, la condizione di estrema ricattabilità della forza-lavoro garantita dal sistema dei cambi d’appalto, il quale coinvolge oltre il 90% degli addetti\e della Montello. Qui, infatti, alzare la testa e\o iscriversi al sindacato – e in particolare a un sindacato combattivo – significa rischiare di perdere il posto alla scadenza del contratto tra la cooperativa di turno e l’azienda. Esattamente quello che è successo alle 17 operaie lasciate a casa all’inizio di questo mese, le quali – senza lavoro – rischiano anche di non vedersi rinnovare il permesso di soggiorno. Le lavoratrici, tuttavia, non si sono perse d’animo e supportate dal sindacato SLAI COBAS sono in presidio da quasi un mese, rivendicando la riassunzione e la fine di un sistema come quello del subappalto di manodopera che oltre a disciplinare la forza-lavoro, permette ai padroni di risparmiare sugli stipendi, non solo rendendo più difficile per i dipendenti ottenere quanto gli spetta in busta paga, ma anche eliminando gli scatti di anzianità (molte operaie lavorano alla Montello da anni, ma continuando a passare da una cooperativa all’altra, non hanno maturato nessun aumento).
La lotte delle lavoratrici licenziate incontra molte simpatie all’interno dell’azienda, ma i rappresentanti del sindacato maggioritario – la CGIL – non sembrano intenzionati ad agire di conseguenza. Invece di spiegare alle operaie che la battaglia delle loro colleghe è una battaglia per il miglioramento delle condizioni di tutti, che lottare e scioperare uniti è l’unico modo per far male al padrone e impedirgli di fare quello che vuole; invece di assicurare che il sindacato impegnerà tutte le sue risorse per promuovere la mobilitazione, i delegati e i burocrati della CGIL sono rimasti in silenzio per oltre tre settimane. Solo un sit-in delle operaie licenziate, tenutosi lo scorso sabato di fronte alla camera del lavoro di Bergamo, ha incrinato il più completo immobilismo della Confederazione. E’ evidente, però, che la promessa di “organizzare una raccolta firme” per riottenere la riassunzione delle operaie licenziate rappresenta una risposta del tutto insoddisfacente.
La lotta “delle 17”, comunque, prosegue e sostenerle è importante per mostrare anche alle colleghe che combattere per i propri diritti non è un’attività destinata a scontrarsi con l’isolamento e la solitudine, paura sulla quale giocano i padroni per imporre la disciplina di fabbrica e i burocrati sindacali per giustificare la propria passività. Ogni lotta dei lavoratori immigrati che reagiscono a condizioni di sfruttamento ben note anche a centinaia di migliaia di italiani è inoltre una lotta contro il governo Lega-5Stelle.
Giusto per rimanere in tema di subappalti, infatti, sono lorsignori – il PD, ma anche la Lega – ad aver precarizzato il mercato del lavoro, non gli immigrati che si oppongono alle “false cooperative”. Ricordiamo che Marco Biagi, il padre del lavoro “somministrato” era consulente del Ministro del Lavoro Maroni! Sono lorsignori – la Lega e i 5Stelle insieme al PD, non certo gli immigrati impegnati insieme gli italiani a non far applicare il Job Act nei contratti aziendali – che difendono il diritto del padrone a licenziare ingiustamente. Non solo, infatti, Di Maio e Salvini non hanno reintrodotto l’articolo 18 nella prima bozza del “Decreto Dignità”, ma i parlamentari giallo-verdi hanno addirittura votato contro un emendamento che mirava a reintrodurlo.
Appoggiare la lotta delle lavoratrici della Montello, come tutte le lotte dei lavoratori immigrati, è insomma necessario per smentire la propaganda reazionaria che puntella l’esecutivo gialloverde; la propaganda secondo cui la soluzione ai problemi dei lavoratori italiani debba passare attraverso politiche contro gli “stranieri”, come l’ultimo decreto Immigrazione-Sicurezza, che oltre ad aumentare clandestinità e ricattabilità colpisce anche i lavoratori in sciopero – indipendentemente dalla nazionalità – penalizzando i blocchi stradali.
Si tratta perciò di combattere i padroni e i loro rappresentanti politici, lottando insieme come classe, a prescindere dalle appartenenze etnico-religiose e sindacali, cercando di superare i confini artificiali rappresentati dai singoli stabilimenti, nonché dai confini nazionali, come settori sempre più ampi di lavoratori stanno imparando a fare. Si pensi ad esempio alle lavoratrici dell’albergo Hyatt di Parigi che sulla scia di uno sciopero internazionale dei lavoratori degli alberghi, stanno protestando contro il sistema dei subappalti proprio come le operaie della Montello, con le quali condividono anche il fatto di essere immigrate e combattive.
Django Renato
Dopo oltre 40 giorni di resistenza tutte le 17 operaie illegittimamente escluse dall’ultimo cambio di cooperativa nell’appalto della Montello sono rientrate al lavoro a fine settimana scorsa.
Questo è sicuramente un primo risultato, imposto grazie alla tenacia e direzione della lotta, e alla solidarietà a livello nazionale che si è sviluppata a sostegno del rientro delle operaie in fabbrica, e che ha visto la sottoscrizione dell’appello di quasi 3.000 persone, soprattutto donne, e tantissimi messaggi di sostegno. Tutto questo ha permesso di dare più forza allo Slai cobas per il sindacato di classe che organizza le operaie e di mantenere accesi i riflettori su quanto stava accadendo alla Montello spa, coperto da una scandalosa censura da parte della stampa locale.
Le 17 operaie sono state lasciate senza lavoro per oltre 40 giorni, per una pura azione repressiva padronale, perché hanno osato rivendicare il riconoscimento delle 8 ore di lavoro pagate 8 ore, mezz’ora di mensa compresa, arrivando anche a promuovere un’azione legale.
Una giusta rivendicazione sindacale che vede come controparte non solo gli interessi delle aziende dell’appalto (Montello-consorzio-cooperative) ma anche la Cgil che negli anni ha firmato accordi aziendali alla Montello che hanno tolto questo diritto. Per questo la Cgil ha sabotato fin dal suo nascere la mobilitazione in fabbrica delle operaie e dello Slai Cobas sc e delle operaie, ha blindato il grosso delle operaie dell’appalto con una conciliazione tombale da 150/250 euro a seconda dell’anzianità e sottoscritto un accordo per un misero ticket…, di fatto una barriera contro le legittime rivendicazioni. Un’azione di fiancheggiamento delle aziende che si è espressa ancora nell’immobilismo di fronte all’esclusione delle 17, pur in violazione dell’accordo di cambio appalto firmato dalla stessa Cgil, dove nero su bianco era garantito che tutte le operaie fossero assunte nel nuovo appalto. A seguito di una forte contestazione davanti alla sua sede il 26 di ottobre, in occasione di una manifestazione provinciale nella giornata di lotta al governo Salvini-Di Maio, la Cgil faceva uscire un vigliacco comunicato di circostanza sulla vicenda ma pesante nei contenuti, dicendo che ‘…non avrebbe partecipato a scioperi per le 17 operaie e che se erano restate fuori era solo colpa del loro sindacato…’ (Slai Cobas)
Questo il quadro in cui si è svolta la lotta delle operaie, che hanno dovuto dare battaglia su tutti i fronti, tra cui anche quello della giustizia nei tribunali con varie iniziative per accelerare una decisione del giudice che invece non ha avuto il coraggio di decidere subito il rientro al lavoro, ma il 9 novembre emetteva una sentenza paradossale: le operaie hanno ragione nel merito della loro richiesta di riassunzione, ma siccome c’è il “rischio” che la vecchia cooperativa le possa ancora pagare, non esistono i presupposti per la causa d’urgenza…” rimandando le lavoratrici al rito ordinario che si sarebbe dovuto tenere il 21 febbraio.
Nella vertenza non è mancato l’intervento del padrone della Montello, sceso in campo direttamente vista la tenuta delle operaie, visto che il ‘caso Montello’ accumulava energie su larga scala, facendo saltare tutti i piani padronali di vittoria facile.
Questa azione di divisione, di ricatto dell’azienda trovava purtroppo l’appoggio di una delle 17 operaie che ‘saltava il fosso’ e iniziava un’attività sotterranea disfattista propagandando la resa tra le operaie per siglare un accordo ‘senza sindacato, senza avvocato’ in cambio del rientro al lavoro, con l’obiettivo di disgregare il gruppo delle coraggiose operaie che invece continuavano a lottare con varie iniziative davanti alla fabbrica, di protesta alle redazioni dei giornali locali e al tribunale, e dando un colpo anche alle operaie dentro la fabbrica che le stavano sostenendo.
Ma questo tentativo di divisione e ricatto che avrebbe dovuto restare nascosto allo Slai cobas sc, e che comunque ha indebolito il fronte di lotta e seminato confusione anche tra le operaie in fabbrica. grazie alle altre operaie è stato contrastato, smascherando la falsa alternativa del lavoro prima di tutto (senza diritti) e la teoria del cedere al ricatto, mollare il sindacato e arrendersi come soluzione. Solo 4 operaie si staccano per conciliare con il padrone la chiusura di tutte le pendenze, rinunciando persino al pagamento del mese di ottobre passato senza lavoro.
Ma ciò che è peggio e molto grave è che da parte della Montello nell’incontro diretto con queste operaie “sono stati chiesti – come si legge in un suo stesso comunicato – chiarimenti circa l’appartenenza dichiarata dalle lavoratrici, tramite volantinaggio, al Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario e da chi sostenute in tale appartenenza”, aggiungendo inoltre che “tale dichiarata appartenenza era stata segnalata anche alle forze dell’ordine”.
Questa questione è evidentemente gravissima! Una chiara minaccia ricattatoria e discriminatoria. In aperta violazione dell’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori e della stessa Costituzione! Su questo l’Mfpr e le lavoratrici Slai cobas per il sindacato di classe stanno avviando una azione anche legale.
Ma quanto sofferto fino a quel momento in 10 anni di duro lavoro in piedi alle linee di selezione dei rifiuti per la Montello; la nuova esperienza di resistenza collettiva alle angherie di capi capetti e delegati sindacali confederali; l’organizzazione nello Slai Cobas sc; il grande sciopero delle donne dell’8 marzo 2018 fortemente voluto costruito e fatto da tante operaie nonostante le mille minacce – “Quello sciopero delle donne ci ha dato la forza di lottare per i nostri diritti” hanno detto le 17 operaie; i 40 giorni di lotta e di solidarietà; hanno permesso di mantenere l’unità del gruppo con il sindacato e definire degli obiettivi comuni per la soluzione.
Grazie al fatto che la maggioranza delle operaie è rimasta compatta, la Montello e la cooperativa hanno dovuto fare un accordo collettivo, con la sola conciliazione economica per gli arretrati della 1/2 ora ma senza la conciliazione tombale (come quella fatta precedentemente in azienda dalla Cgil), senza rinuncia alla rivendicazione per lo stipendio del mese di ottobre e metà novembre.
Oggi tutte le operaie sono rientrate al lavoro, ma con lo Slai cobas sc, per continuare assieme alle altre la battaglia per i diritti sul posto di lavoro dentro la Montello.
Questa battaglia è importante e emblematica. Essa, unendo la condizione di operaie, di donne, di immigrate, è stata un esempio vivo dell’intreccio tra lotta di classe e lotta come donne e come questo intreccio sia necessario e una forza.
Essa ha mostrato concretamente e in maniera estesa quanto sia preziosa e vincente l’arma della solidarietà, lanciata dalle lavoratrici del Movimento femminista proletario rivoluzionario.
Ha mostrato che unite le operaie possono vincere, ottenere anche non tutto ma un parziale risultato, ma la battaglia può continuare, mentre divise ogni minima concessione del padrone viene fatta pagare con più ricatti, più subordinazione e quindi meno diritti.
Una battaglia si è conclusa, ma c’è la “guerra” da continuare.
SLAI COBAS per il sindacato di classe – Bergamo
Lavoratrici MFPR
Ricercatore indipendente, con un passato da attivista sindacale. Collabora con la Voce delle Lotte e milita nella FIR a Firenze.