Congiuntamente con il rinnovo del Parlamento Europeo, nelle giornate dell’8 e 9 giugno a Firenze si vota anche per l’elezione del nuovo consiglio comunale e della sua massima carica. Sono ben 10 i candidati in corsa per la poltrona più ambita, quella di sindaco della città. E verrebbe proprio da dire che ce ne sono per tutti i gusti. A mancare all’appello però non è solamente il candidato-intellettuale più noto del “popolo della sinistra”, Tomaso Montanari, ma anche qualsiasi chiara e riconoscibile espressione politica della classe lavoratrice


La pubblicazione di un sondaggio che poneva ad appena 3 punti percentuali la distanza tra Sara Funaro, candidata della coalizione di centrosinistra guidata dal Partito Democratico (PD), ed Eike Schmidt, candidato “civico” della coalizione di destra che governa a livello nazionale in Italia, ha fatto parlare la stampa di un pericolo concreto per il fortino rosso di Firenze. In realtà, non vi è nessun fortino. La presa del centrosinistra sull’elettorato è alquanto limitata e spesso più il prodotto di un voto contro la destra che di uno a favore delle politiche del centrosinistra stesso. Ancor di più però, il ventilato fortino è tutto fuorché rosso – se con questo colore si vuole indicare, come infatti si cerca di fare, un governo di sinistra. Come sa bene chi vive o lavora a Firenze, la città, sotto la guida del PD, ha subito importanti trasformazioni in questa prima parte di ventunesimo secolo, determinando una marcata accentuazione del suo carattere esclusivo e classista. La situazione è talmente evidente che riportare qualche dato potrà forse apparire superfluo. Visto però che Funaro nella sua biografia ci ricorda come i dieci anni trascorsi nella giunta del sindaco Dario Nardella siano stati guidati dall’idea di “rendere la città sempre più inclusiva e giusta”, forse non guasta. Anche perché Funaro è stato tutto tranne che una figura secondaria in questo decennio, collezionando una serie di deleghe importanti, tra le quali Welfare e Sanità (2014–2024), Casa, Pari Opportunità, Accoglienza e Integrazione (2014–2019), ed infine Immigrazione e Istruzione (2019–2024). Non potendo in questo breve scritto analizzare ogni singolo aspetto riguardante la città ci concentriamo sulle trasformazioni del tessuto urbano e sociale. Dopo tutto Funaro stessa ci dice che vuole una città che “non lasci indietro nessuno”. È andata in questa direzione Firenze negli ultimi 10 anni?

Quanto il centro storico della città sia diventato una gigantesca Disneyland per turisti è cosa nota. Una recente indagine lo ha nuovamente certificato: Firenze è ultima in Italia per livello di sostenibilità turistica, in virtù soprattutto della presenza di tantissimi Airbnb, battendo anche Venezia. Come logico, la grande redditività garantita dagli affitti brevi ai turisti “droga” l’intero mercato immobiliare. Oltre il 23 percento degli immobili è stato infatti acquistato a fini di investimento nel corso del 2023, percentuale che sfiora la quasi totalità nel centro storico. Gli effetti più evidenti sono stati la violenta espulsione di tutti coloro che non possono garantire quanto pagato dai turisti: la classe lavoratrice in affitto e gli studenti fuori sede. Firenze non è però solamente divenuta una città ad uso e consumo dei turisti e, soprattutto, dei settori che lucrano lautamente con il fenomeno, ma anche la città con la più alta concentrazione di milionari in Italia, davanti anche a Roma e, sorprendentemente, Milano. Su scala mondiale, il dato è ancora più impressionante: Firenze è decima, vantando una concentrazione di milionari simile a quella di città come Amsterdam e Oslo, capitali di paesi con una ricchezza pro capite decisamente maggiore e dove il costo della vita è molto più alto. Tutto ciò non sembra però essere qualcosa di anomalo o accidentale. Al contrario, appare una conseguenza logica e diretta delle politiche della giunta Nardella che ha strenuamente promosso l’arrivo in città delle classi proprietarie e abbienti da tutto il mondo, attraverso la creazione di studentati per i rampolli delle fasce agiate e la realizzazione di appartamenti di lusso, come ben mostrato dal destino dell’ex teatro Comunale. Funaro ha quindi ragione: Firenze non lascia indietro nessuno. A patto, ovviamente, di essere sufficientemente ricchi per potersela permettere. Altrimenti, come nel caso dello sgombero dello studentato autogestito a Novoli in pieno agosto, interviene la forza di polizia. Vista in tale luce, il costante tentativo del PD cittadino di presentare la candidata-sindaca come “più a sinistra” di Nardella e più attenta alle tematiche sociali – il motto principale della campagna elettorale di Funaro è “una casa per tutti, il diritto di vivere Firenze” – appare una vera e propria boutade. Non tanto più seria sembra essere anche la compagine che si è creata attorno al PD. Sono infatti ben 7 le liste a sostegno di Funaro. Oltre ovviamente all’ormai immancabile lista della sindaca e a quella del PD, troviamo +Europa, che nelle concomitanti elezioni europee ha creato una lista congiunta con il partito di Renzi, ma qui in città non sostiene la “delfina” dell’ex primo ministro, Stefania Saccardi; Azione di Carlo Calenda, che nelle recenti elezioni regionali in Basilicata aveva invece appoggiato il candidato della destra; le enigmatiche Lista Anima Firenze e Lista Movimento Centro; e, per concludere, Alleanza Verdi e Sinistra (AVS), divenuta stampella fissa dei governi liberisti a guida dei democratici, locali o nazionali che siano.

Il piccolo bonapartismo abortito di Tomaso Montanari

Il principale sfidante di Funaro è Eike Schmidt, ex direttore della Galleria degli Uffizi e recentemente approdato nello stesso ruolo al museo di Capodimonte a Napoli, dove, dopo appena 3 mesi di servizio, ha preso aspettativa. Con ogni probabilità, dopo l’ipotizzabile sconfitta al ballottaggio con Funaro, farà ritorno proprio alla direzione del museo partenopeo, preferendola al ben poco allettante e remunerativo ruolo di consigliere comunale d’opposizione. La scelta di un candidato formalmente “civico”, ovvero non appartenente a nessuno dei tre principali partiti di destra, indica chiaramente un loro limitato investimento in queste elezioni locali. Ci sembra infatti del tutto plausibile ipotizzare che se il partito al momento egemone nell’area, Fratelli d’Italia, avesse ritenuto possibile strappare la città al PD avrebbe schierato il “suo” fiorentino più famoso: Giovanni Donzelli. Così non è stato. E Schmidt sembra il candidato perfetto per riportare una sconfitta onorevole.

Politicamente nel mezzo tra Funaro e Schmidt si trova invece Saccardi, la candidata sindaca del partito di Renzi, Italia Viva. L’obiettivo dichiarato per Renzi è quello di controllare un pacchetto di voti così largo al primo turno da poter condizionare il ballottaggio, mercanteggiando ai due tavoli con l’obiettivo di strappare il numero maggiore di assessori nella futura giunta. Quanto questo sarà possibile rimane dubbio, anche perché Funaro sembra poter contare su un serbatoio discretamente largo alla sua sinistra dove pescare al ballottaggio in funzione anti-destra. La presenza di ben 3 candidature sul fronte sinistro, molto largamente inteso, è in primo luogo il prodotto dell’abortito tentativo di stampo bonapartista, con venature comiche data la modestia della contesa e ancor di più il risultato finale, dello storico dell’arte e rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari.

La vicinanza e stima tra Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle (M5S), e Montanari sono note. Così come è risaputo che Conte avrebbe voluto Montanari candidato sindaco per il suo partito a Firenze in una coalizione larga. La speranza era riprodurre una situazione simile a quella che aveva portato alla vittoria Alessandra Todde nelle recenti elezioni regionali in Sardegna. La risposta di Montanari è stata probabilmente interlocutoria, accettando la proposta a patto che il suo nome fosse sostenuto anche dal PD. Il quale, a sua volta, avrebbe logicamente risposto picche. Questo primo giro di contatti tra gli interessati a porte semi-aperte ha chiuso la prima parte del tentativo bonapartistico di Montanari, animato dal presupposto che la sua figura sarebbe stata sufficiente per ribaltare il tavolo dei potenti interessi economici che il PD garantisce e protegge. L’idea era bislacca. Da un punto di vista concreto, per quale ragione il partito di Elly Schelin che a Firenze vale elettoralmente tra le 3 e 4 volte il M5S (probabilmente anche di più nelle elezioni locali) avrebbe dovuto cedere la candidatura a sindaco a un diretto competitor in una città che storicamente controlla e che ha un certo peso a livello nazionale? E ancor di più perché avrebbe dovuto sostenere Montanari, intellettuale noto soprattutto per le sue aspre critiche al PD? Ancora più grave però è il semplice fatto (che le informazioni in nostro possesso confermerebbero) che Montanari abbia accarezzato un’idea simile. Questa si basa infatti sul presupposto che una singola figura possa elevarsi al di sopra della contesa tra i vari interessi materiali. Incapace di riorganizzare i settori per i quali formalmente si batte, un pezzo della sinistra pensa che sia possibile aggirare il problema con delle scorciatoie. Tra tutte quelle pensabili, la torsione leaderistica – paradossalmente contestata da Montanari a varie forze politiche in molti contesti – è decisamente la peggiore. Ci sono tre ragioni principali per questo: (a) promuove una visione tecnica della politica, fondata sull’idea che persone più capaci e/o competenti perseguirebbero politiche qualitativamente diverse; (b) concentra tutte le proprie attenzioni sul momento elettorale nella aspettativa che chi vinca la contesa sia effettivamente chi governi, mancando di cogliere così come l’eguaglianza formale della democrazia borghese non sia in alcun modo sostanziale e gli interessi organizzati – dal grande al piccolo capitale, con forza logicamente diversa – abbiano numerosi strumenti per controllare gli eletti, quando questi non siano espressione specifica della classe lavoratrice; ed infine e cosa più grave (c) tende a passivizzare invece che a mobilitare i settori popolari in nome dei quali formalmente si batte e/o per i quali promuove politiche specifiche.

Il peggio di Montanari, per quanto difficile da credere, doveva però ancora arrivare: la tragedia era pronta a diventare farsa. La decisione del PD locale di non tenere le primarie interne per la scelta del candidato sindaco e la certezza che non sarebbe stata prescelta dalla direzione del partito aveva portato Cecilia Del Re a lanciare la propria candidatura – formalmente alla sinistra di Funaro, di fatto completamente sovrapponibile a questa, visto che l’elemento di lotta interno era l’unico riconoscibile nella demarcazione tra le due. A stretto giro anche il consigliere comunale uscente e leader a livello locale di Rifondazione Comunista (RC), Dimitrij Palagi, proponeva la sua candidatura, sostentuto, oltre che ovviamente dal proprio partito, da Potere al Popolo (PaP) e da Possibile. Alla finestra rimaneva invece il M5S. Se Montanari avesse presentato la propria candidatura come figura alla sinistra del PD, Del Re e Palagi sarebbero stati costretti con ogni probabilità a desistere: il loro spazio politico sarebbe stato infatti in gran parte cannibalizzato dallo storico dell’arte e la possibilità di sedere nuovamente in consiglio sarebbe dipesa dall’attirare voti sulla loro liste all’interno della coalizione di Montanari stesso. Questi però, incassato il rifiuto del PD e non disposto probabilmente a seguire l’esempio di Schmidt (ovvero del candidato che corre, ma in caso di sconfitta rinuncia a sedere in consiglio), ha deciso di lanciare una propria lista: 11 agosto, in richiamo al giorno in cui Firenze veniva liberata dal nazi-fascismo dalle squadre partigiane. L’idea era quella di radunare sotto la propria bandiera tutte le forze alla sinistra del PD. La sua non-candidatura azzoppava però il progetto in partenza e, soprattutto, lasciava liberi gli altri di giocare formalmente al tavolo Montanari, che oltretutto mancava del candidato sindaco, per poi nei fatti perseguire la propria corsa solitaria. Nonostante alcune assemblee decisamente partecipate, Montanari era quindi costretto ad alzare bandiera bianca data l’impossibilità di far quadrare il cerchio. La ciliegina finale, lo storico dell’arte, l’ha però conservata per gli ultimi giorni di campagna elettorale, quando ha espresso pubblicamente la sua intenzione di votare a favore di Marco Tognetti, ex PD, ora candidato nella lista di Del Re. La regressione verso il voto al singolo candidato, all’interno oltretutto di un sistema iper-maggioritario come quello per le elezioni locali che assegna automaticamente alle liste che sostengono il candidato eletto sindaco il 60% dei seggi, è la malattia finale del bonapartismo abortito di Montanari, che si è ridotto a sostenere, sue parole, un giovane professore di economia con mentori stimabili. In extremis, per completare il quadro, il consigliere uscente Lorenzo Masi è entrato nella contesa come candidato del M5S. Assieme a lui, e oltre ai già menzionati Funaro, Schmidt, Saccardi, Del Re e Palagi, anche altri quattro candidati non espressione di forze politiche organizzate.

E quindi, che fare?

Immaginiamo che la maggior parte dei lettori e delle lettrici della Voce possa, almeno nelle sue linee generali, concordare con quanto detto fino ad ora e che in estrema sintesi suona così: Funaro e Schmidt sono due facce della stessa medaglia liberista. L’assenza della figura dell’intellettuale-bonapartista Montanari ha creato un certo pulviscolo a sinistra: Del Re e Masi non hanno ovviamente nessun connotato di classe e neppure, ad essere onesti, mirano ad essere un’espressione politica della classe lavoratrice. Discorso diverso merita invece Palagi e il “suo” Sinistra Progetto Comune. Tralasciando la sorprendente presenza di Possibile, l’alleanza tra RC e PaP, saldata in gran parte grazie alla presenza di una sinistra “civica” locale, è più il prodotto di due debolezze (come infatti dimostra l’assenza dei due partiti dalla scheda elettorale e la decisione di “mascherarsi” dietro una lista larga) che una reale convergenza. La deriva destroide di Rifondazione è fatto ormai fin troppo evidente per essere discusso. Questa, saldandosi ad un’accentuata debolezza elettorale che non permette al partito di correre in solitaria, lo ha spinto a perseguire veri e propri accrocchi. Nelle recenti elezioni sarde, ad esempio, assieme al partito di Calenda e a +Europa, Rifondazione è giunta perfino a sostenere l’imprenditore multi-milionario ed ex presidente di regione Renato Soru. Non va meglio alle europee, dove RC ha dato vita alla lista Pace, Terra, Dignità che ha addirittura rifiutato di schierarsi sull’asse destra-sinistra, ha imbarcato candidati filo-putiniani e apertamente destrorsi, e ha presentato un programma elettorale che è facilmente definibile come qualunquista e interclassista. Discorso leggermente diverso va invece fatto per PaP. Per quanto la sua forza a Firenze si sia decisamente ridotta negli ultimi mesi, mantiene in altre città un nucleo di attivisti e una vitalità alla base che sono sensibilmente diverse rispetto al carattere esclusivamente burocratico di Rifondazione. La decisione di non entrare a far parte di Pace, Terra, Dignità mostra inoltre un, quantomeno parziale, ripensamento critico di quanto fatto negli ultimi anni. Rimane però il fatto sostanziale che, nato principalmente come progetto elettorale e fallita l’ipotesi che un qualche tipo di sfondamento su questo versante avrebbe messo in moto un processo costituente largo a sinistra, il partito continua a vedere il momento elettorale non tanto come un passaggio che, correttamente dal punto di vista della tradizione che questo giornale sostiene, viene utilizzato per la costruzione del partito, ma come un momento attorno al quale far ruotare gran parte della propria attività. E questo è proprio uno degli elementi che distingue il nostro progetto dal loro. Noi non muoviamo dal momento elettorale verso la costruzione di una forza politica organizzata, ma al contrario. E manteniamo una centralità sostanziale e non meramente formale della classe lavoratrice nel processo di creazione della società futura. A questo punto ci può essere obiettato che sia Palagi sia soprattutto Antonella Bundu, consigliera comunale uscente e candidata capolista di Sinistra Progetto Comune, sono state figure presenti e attive nella mobilitazione della vertenza GKN. Vero. Il loro sostegno, pur lodevole, è sempre stato giocato però non in funzione di una generalizzazione del movimento di protesta, ma di “mero” appoggio alla vertenza. Vertenza il cui limite principale sono state le difficoltà a creare un fronte operaio che andasse realmente oltre i confini della singola fabbrica; responsabilità non del Collettivo che l’ha animata, ma proprio di quelle forze della sinistra radicale che da tempo hanno sacrificato il radicamento strategico nella classe lavoratrice a progetti elettoralisti. Il voto a questa lista è quindi sì un voto di sinistra, ma non ha nessuna chiara espressione di classe. Per queste ragioni, il nostro invito è ad annullare la scheda elettorale scrivendo: 10,100,1000 collettivi di fabbrica.

Gianni Del Panta

Gianni Del Panta, studioso di scienze politiche, vive a Firenze ed è autore di "L'Egitto tra rivoluzione e controrivoluzione: da Piazza Tahrir al colpo di stato di una borghesia in armi" (Il Mulino, 2019).