In queste tesi, scritte dopo la riunione del Comitato Centrale di Révolution Permanente (organizzazione sorella francese della FIR-Voce delle Lotte) del 14 luglio, viene nuovamente messa in esame la situazione politica in Francia e le sfide che pone.
Il 7 luglio, la pesante sconfitta del Rassemblement National al secondo turno delle elezioni legislative, il primo posto del Nouveau Front Populaire e il relativo mantenimento del Macronismo hanno aperto una situazione caratterizzata dall’aggravarsi della crisi politica. Negli ultimi giorni il NFP si è spaccato sulla ricerca di un nome per il primo ministro; questa situazione apre a una serie di sfide, in un contesto internazionale segnato dal ritorno della guerra, dall’incertezza generata dall’esito delle prossime elezioni negli Stati Uniti e dalle sue conseguenze per l’Europa e dall’aumento della pressione da parte dei mercati finanziari. Riprendiamo qui le discussioni tenute all’interno del CC di Révolution Permanente, che ampliano le elaborazioni pubblicate dopo l’annuncio dello scioglimento dell’assemblea nazionale.
1. Un’importante battuta d’arresto per l’estrema destra, che rivela i continui limiti di RN nella sua corsa al potere
L’esito delle elezioni legislative è stato segnato innanzitutto dalla battuta d’arresto subita dall’estrema destra. Il RN ha ottenuto un risultato storico, raccogliendo oltre 10 milioni di voti alle elezioni legislative e conquistando 143 deputati, il che gli ha permesso di aumentare sostanzialmente le proprie risorse e di continuare il proprio lavoro di radicamento nel Paese. Tuttavia, ha fallito ancora una volta alle porte del potere, in un contesto in cui il suo slancio era più forte che mai dopo le elezioni europee.
Questo risultato è in gran parte dovuto alla resurrezione del “Fronte Repubblicano” tra le due tornate, accompagnata da una campagna mediatico-politica contro l’estrema destra, che ha messo in evidenza i profili ultra-razzisti di molti candidati, il dilettantismo dell’organizzazione, ma anche il rifiuto generato dalle misure più xenofobe del suo programma, come nel caso della polemica sui “doppi cittadini”. Questo fronte anti-destra, che le ha impedito di ottenere la maggioranza, testimonia la distanza che ancora separa il partito di Marine Le Pen dal potere.
Nonostante la conquista di settori dell’elettorato benestante e l’iniziale riavvicinamento ai datori di lavoro, le reali leve a disposizione del RN sono ancora limitate. Al di fuori dell’Assemblea Nazionale, il partito di Marine Le Pen rimane isolato dai centri di potere, beneficia di deboli relazioni nella cosiddetta “società civile” e rimane confinato ai margini del potere dal “fronte repubblicano”. Basandosi sull’opposizione maggioritaria all’estrema destra che esiste nella popolazione, il Fronte repubblicano ha dimostrato di rimanere uno strumento essenziale per i partiti organici al regime, che hanno mantenuto le loro posizioni nell’Assemblea grazie ai ritiri del secondo turno.
Ciò non minimizza in alcun modo il pericolo rappresentato dal RN, soprattutto perché la “tregua” offerta da questa battuta d’arresto per l’estrema destra è piena di contraddizioni, a partire dal consolidamento dell’immagine dell’estrema destra come unica forza realmente opposta al macronismo e ai vecchi partiti di governo come il PS e LR. Pertanto, lo slancio di ampia politicizzazione contro l’estrema destra che ha accompagnato le elezioni deve consentire di discutere la strategia per porre veramente fine a RN, in totale indipendenza dalle forze politiche che l’hanno fatta prosperare.
2. La tri-polarizzazione della vita politica e la divisione della classe operaia come questione strategica centrale
Al termine delle elezioni legislative, nonostante la tendenza alla polarizzazione destra/sinistra, si è mantenuta la tri-polarizzazione della vita politica francese, con tre blocchi di dimensioni quasi uguali all’Assemblea, per un totale di 493 seggi su 577. Il NPF si è imposto alle elezioni, ottenendo quasi 9 milioni di voti al primo turno e 182 deputati. La maggioranza presidenziale è arrivata seconda con 168 deputati e 6,4 milioni di voti al primo turno. La RN ha ottenuto 143 deputati, ma ha ricevuto più di 10 milioni di voti sia al primo che al secondo turno. Nonostante la posizione di leadership del blocco di sinistra, il blocco di centro-destra è rimasto relativamente stabile, mentre il blocco di estrema destra ha goduto di un chiaro slancio, sebbene il suo peso politico sia stato limitato dal “fronte repubblicano”.
Questi tre blocchi sono socialmente eterogenei, ma con tendenze degne di nota. Mentre il blocco centrale è radicato nei settori più benestanti della popolazione, il RN continua ad attingere ad ampi settori della popolazione operaia e della classe lavoratrice al di fuori delle grandi città, mentre allarga sempre più la sua base sociale per includere i settori più benestanti della popolazione. La sinistra, dal canto suo, è rimasta ancorata ai centri urbani, facendo appello ai lavoratori qualificati (dirigenti, professioni intermedie), all’aristocrazia operaia, ai giovani laureati e, in larga misura, al proletariato e ai giovani dei quartieri popolari. Allo stesso tempo, l’astensione rimane un fattore chiave tra gli operai e le classi popolari. Nonostante l’affluenza record alle elezioni generali, il 46% degli operai e il 42% degli impiegati si sono astenuti.
La tri-polarizzazione sociale e politica va di pari passo, all’interno della nostra classe, con livelli persistentemente alti di astensione, e una divisione tra i lavoratori che votano a sinistra e quelli, in numero sempre maggiore, che votano a destra. Questa dinamica è alimentata dai tradimenti della “sinistra” di governo, che ha condiviso il potere con la destra per quarant’anni, nonché dallo storico indebolimento delle organizzazioni dei lavoratori e dall’impoverimento di settori sempre più ampi della popolazione. L’assenza di vittorie importanti nella lotta di classe, nonostante i numerosi movimenti degli ultimi anni, allontana così la prospettiva di far pagare ai capitalisti per migliorare un po’ la nostra vita quotidiana o per cambiarla completamente. Questa demoralizzazione rafforza il desiderio di un “ritorno all’ordine” e l’emergere di una retorica xenofoba in frange storicamente di sinistra come gli insegnanti e i dipendenti pubblici (nonostante resti attualmente minoritaria). Questa divisione della classe operaia è un elemento strategico della situazione attuale. Insieme all’astensione, spiega perché la sinistra rimane lontana dalla maggioranza del Paese, a differenza del Fronte Popolare a cui il NFP si riferisce. Nel 1936, il Fronte Popolare ottenne 386 deputati su 610, con quasi il 58% dei voti del Paese.
3. Crisi organica: il ritorno dell’instabilità governativa potrebbe portare a una crisi di regime
Con lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale di cui è artefice, Macron ha acuito la crisi organica della Francia. Già minoritario nell’Assemblea dal 2022, l’erosione della base sociale del macronismo a vantaggio dell’estrema destra, e l’unione tra le forze di sinistra hanno dato vita a una configurazione senza precedenti nell’Assemblea, che sta mettendo a dura prova la Quinta Repubblica. Costituita per superare l’instabilità governativa che aveva caratterizzato la Quarta Repubblica, la Quinta ha garantito un alto grado di stabilità negli ultimi decenni, grazie alle sue istituzioni bonapartiste che favoriscono l’emergere di maggioranze e permettono di governare in situazioni di coabitazione. Questa stabilità è stata rafforzata dal progressivo affermarsi di un sistema bipartitico a partire dal 1981 che, attraverso l’alternanza tra destra e sinistra, ha permesso di incanalare le tensioni politiche e sociali in un ambito istituzionale.
All’inizio degli anni Duemila, l’arrivo del RN al secondo turno delle elezioni presidenziali e la sconfitta del PS hanno preannunciato una crisi dei partiti tradizionali della borghesia, che si è aggravata in seguito con l’esito del referendum sul Trattato costituzionale europeo nel 2005, con il continuo rafforzamento dell’estrema destra e con il crollo del Partito socialista e poi dei repubblicani dal 2016 in poi, in un contesto di grandi esplosioni nella lotta di classe. Contenuta nel 2017 dall’emergere del macronismo, la crisi organica si è riaccesa a seguito del rapido esaurimento di quest’ultimo. La situazione attuale esprime le conseguenze di questo indebolimento della corrente politica del Presidente e del suo progetto, aprendo una situazione senza precedenti nella Quinta Repubblica.
Per il futuro si aprono diversi scenari – un governo di minoranza di sinistra, un’alleanza di minoranza tra il macronismo e la destra tradizionale, un governo di coalizione tra diverse forze politiche, un governo tecnico – ma nessuno di questi sembra semplice da realizzare. Se da un lato, con la sua “Lettera ai francesi”, Macron sta cercando di riaffermare il suo ruolo di arbitro, cercando di imporre la prospettiva di una coalizione “repubblicana”, dall’altro il suo fortissimo discredito limita la sua capacità di portare a termine una simile manovra e potrebbe aprire la strada a una crisi istituzionale nel caso in cui nessuna forza politica fosse in grado di governare. Come ha recentemente riassunto l’ex primo ministro Dominique de Villepin, “uno dei rischi (…) è che tutti si rendano conto che politicamente non è nell’interesse di nessuno guidare questo governo, e che il Presidente si trovi di fronte al caos“.
Questa situazione rende ancora più importante la difesa di misure democratiche radicali, la sfida alle istituzioni marce della Quinta Repubblica sulla base di un programma di indipendenza di classe, come ponte verso la prospettiva di un governo dei lavoratori. La posta in gioco è la possibilità di lottare contro qualsiasi tentativo di incanalare il potere che potrebbe emergere su questo terreno, sia attraverso riforme costituzionali parziali che attraverso progetti di assemblee costituenti per una “Sesta Repubblica”.
4. Il Nuovo Fronte Popolare e il ritorno del PS
A sinistra, la situazione è stata segnata dall’emergere del Nuovo Fronte Popolare. Questo fenomeno ha suscitato speranze nel “popolo della sinistra” e nei quartieri popolari, ma d’altro canto si scontra con la profonda impasse di questa coalizione, le cui contraddizioni sono state particolarmente visibili a partire dal secondo turno delle elezioni legislative. In particolare, il ruolo centrale svolto dalla principale componente borghese della coalizione, il PS, si inserisce nella lunga storia delle politiche del “fronte popolare” emerse negli anni Trenta. Alla fine degli anni Trenta, dopo la sconfitta del processo rivoluzionario avviato in Francia nel giugno 1936 e della rivoluzione spagnola, Leon Trotsky tornò a esprimersi su queste politiche, che erano state generalizzate in tutto il mondo dall’Internazionale comunista stalinista al termine del suo VII Congresso [1]. Trotsky notò all’epoca che:
I teorici del Fronte Popolare in fondo non vanno oltre la prima regola dell’aritmetica, quella dell’addizione: la somma di comunisti, socialisti, anarchici e liberali è maggiore di ciascuno dei suoi termini; ma l’aritmetica non basta. La meccanica è quantomeno necessaria: la legge del parallelogramma delle forze vale anche in politica. Come sappiamo, la risultante è tanto più breve quanto più le forze divergono tra loro. Quando gli alleati politici tirano in direzioni opposte, la risultante è uguale a zero (…) L’alleanza del proletariato con la borghesia, i cui interessi, in questo momento, nelle questioni fondamentali, formano un angolo di 180 gradi, può solo paralizzare la forza rivoluzionaria del proletariato, come regola generale.
Il Nuovo Fronte Popolare è molto diverso dai fronti popolari citati da Trotsky all’epoca. Nessuno dei partiti che lo compongono è radicato nella classe operaia, né rappresenta una forza politica di massa con la prospettiva di superare il capitalismo. Tuttavia, le “leggi” della meccanica politica descritte dal rivoluzionario si manifestano ancora chiaramente nell’NFP. Il Partito Socialista, un’organizzazione borghese, svolge molto chiaramente un ruolo volto ad “annullare” gli elementi di opposizione al regime che possono esistere, anche in modo limitato, in LFI. Sebbene settori dell’aristocrazia operaia o lavoratori legati ai sindacati, nonché operai e giovani dei quartieri popolari delle grandi città, costituiscano parte del suo elettorato, LFI non è un’organizzazione operaia, come dimostrano la sua strategia, il suo programma e il suo rapporto con il movimento operaio. Più anti-liberale che anticapitalista, si è invece costruita negli ultimi anni opponendosi agli elementi di irrigidimento del regime, sul terreno delle offensive antioperaie, autoritarie e razziste, mostrandosi però pronta ad accettare, nel 2022 come oggi, una convivenza con Macron nel quadro della Quinta Repubblica.
Prima delle elezioni, questo ruolo del PS si è manifestato chiaramente nei negoziati sul programma. Il PS è riuscito a imporre le sue linee rosse su questioni importanti: dal rifiuto ad impegnarsi chiaramente sul sostegno al pensionamento a 60 anni, alla difesa di un supporto “incondizionato” all’Ucraina, anche attraverso l’invio di armi, o all’abbandono di qualsiasi riferimento alla “violenza della polizia”. In definitiva, sebbene difenda l’abrogazione di gran parte delle riforme di Macron e proponga alcune misure di ridistribuzione e di sostegno ai servizi pubblici, questo programma è ben lontano da qualsiasi logica di “rottura” con il capitalismo. Sebbene possa occasionalmente scorticare la doxa neoliberale, non ha intenzione di sfidare il potere dei padroni e ancor meno di fare breccia nella proprietà privata. Si colloca a destra del programma della LFI, che a sua volta si colloca a destra dei classici programmi riformisti come il Programma Comune del 1972 e quello del Partito Socialista del 1981, per non parlare dei programmi socialdemocratici della prima metà del XX secolo, che si proponevano di porre fine al capitalismo.
Dopo aver raddoppiato il numero di deputati all’Assemblea e aver permesso l’elezione di François Hollande e dell’ex ministro macronista Aurélien Rousseau, il PS cerca ora, logicamente, di far valere tutto il suo peso nella scelta di un eventuale primo ministro di sinistra, cercando di imporre la sua egemonia sulla coalizione per presentare un volto dell’NFP accettabile per il regime. Questa politica, che ha già incassato l’approvazione dei Verdi Europeisti e del PCF, va di pari passo con l’emarginazione dell’LFI. Pierre Jouvet, numero 2 del PS, è molto chiaro sull’obiettivo del suo partito nelle proposte del primo ministro: “Quale partito ha guidato il Paese due volte, ha trentatré dipartimenti, metà delle regioni, gestisce le grandi città, ha settanta deputati e sessantacinque senatori? Chi può credere che con un primo ministro socialista i carri armati sovietici arriveranno sugli Champs-Élysées?“. Questa politica va di pari passo con la ricerca di personalità “compatibili con Macron”, come Laurence Tubiana, e implica un crescente allontanamento dal programma già minimo dell’NFP. Come osserva Le Monde:
Non tutti si aggrappano al programma a tutti i costi. Marine Tondelier, ad esempio, spiega che l’aumento del salario minimo a 1.600 euro è ‘più complicato di come si è posto’, in quanto è necessaria una “legge finanziaria di rettifica” per votare gli aiuti alle PMI ed evitare “disastri” economici. Jérôme Guedj, da parte sua, auspica un “governo di minoranza che risponda alle aspirazioni della maggioranza” e che gestisca il Paese con il consenso, evitando misure divisive e la minaccia di censura da parte dell’Assemblea.
Questa riabilitazione del PS è tanto più drammatica se si considera che la rottura delle masse con questa organizzazione era stata una conquista della lotta contro la legge sul lavoro del 2016 e l’esperienza della presidenza di François Hollande, la quale ha perseguito politiche di cui sentiamo ancora attualmente le conseguenze. La responsabilità è innanzitutto di LFI, la principale forza di sinistra dal 2017: il fatto che si sia avvicinata al PS nel 2022 e lo abbia fatto di nuovo quest’anno attraverso il NFP, nonostante la campagna bellicosa e revanscista di Raphaël Glucksmann alle elezioni europee, dimostra il carattere di LFI e il suo rifiuto di operare una vera rottura con il centro-sinistra borghese, anche se ora denuncia impotente l’atteggiamento opportunista dei socialisti.
5. L’estrema sinistra del Nuovo Fronte Popolare: tra illusioni e cautela
Nonostante il suo carattere chiaramente destrorso, l’arco molto ampio che ha aderito all’NFP al momento del suo lancio ha dato luogo alla formazione di un settore di “estrema sinistra” al suo interno, rappresentato da gran parte delle organizzazioni antirazziste, antifasciste, libertarie e anticapitaliste che hanno partecipato all’incontro “Que faire?” organizzato a Pantin il 10 luglio. Questa corrente è al contempo patriottica nei confronti dell’NFP, in nome dell’ “unità contro il fascismo”, e sospettosa del ruolo conciliante della sua destra socialista. Pur avendo difeso la presenza del PS, e persino di figure come François Hollande, in questa alleanza, la componente ha chiaro il fatto che questo partito potrebbe usare la coalizione come trampolino di lancio.
Tuttavia, l’estrema sinistra rimane convinta che il NFP possa evolvere grazie alla mobilitazione delle masse. Intende quindi utilizzare le lotte per fare pressione sull’unione della sinistra, cercando così di rafforzare la posizione di La France Insoumise, subordinando le prospettive di mobilitazione alle battaglie tra apparati e alle dinamiche istituzionali. Il caso dell’NPA-L’Anticapitaliste è particolarmente sintomatico. Nato alla fine degli anni ’60, la Lega Comunista Rivoluzionaria è esistita per decenni indipendentemente dal riformismo, pur capitolando ad esso più recentemente. Sebbene la sua trasformazione in NPA nel 2009, abbandonando nel processo la demarcazione tra “riforma” e “rivoluzione” e il progetto comunista, abbia rappresentato un passo indietro, l’organizzazione ha mantenuto come linea rossa l’indipendenza da quello che chiamavano liberalismo sociale, cioè il PS. L’integrazione nell’NFP ha rappresentato quindi un salto storico per questa corrente politica, giustificato da una retorica confusa sul fronte unito, volta ad equiparare questa tattica rivoluzionaria ad accordi programmatici ed elettorali senza principi con i partiti della borghesia. Come spiega Olivier Besancenot:
Non abbiamo altra scelta che usare la violenza. Siamo nel Fronte Popolare, una novità assoluta per la nostra storia politica. Era tutt’altro che scontato, ma una situazione eccezionale richiede una risposta eccezionale. Siamo in una lunga fase di ricostituzione di un nuovo movimento di emancipazione, con l’obiettivo, credo, di costituire un nuovo polo organizzativo anticapitalista, internazionalista, che non cerchi di separarsi dal resto del movimento di emancipazione ma di essere il più utile possibile e di andare oltre le organizzazioni esistenti, compresa la nostra. In questo contesto, dobbiamo essere uniti e far rivivere le tradizioni delle generazioni passate, lontane, che erano anche più violente di noi. (…) E se Hollande è costretto a tornare, significa anche che, nonostante tutto, e questo è il paradosso, le cose tendano a spostarsi a sinistra. Se si guarda al programma che è stato adottato, non è un programma rivoluzionario, non è nemmeno un programma riformista radicale, ma per farla breve, credo che Hollande sia più a disagio di Philippe Poutou.
Philippe Poutou, da parte sua, ha ampiamente affermato nei media di far parte di tale coalizione, spiegando addirittura che l’espressione “da Hollande a Poutou” gli si addice molto.
Questa logica, legittimando tali alleanze, rende liquida una lezione centrale della storia del movimento operaio rivoluzionario: la difesa dell’indipendenza totale dal nemico di classe, ossia i partiti borghesi, siano essi di destra o di “sinistra” [2]. Questo tema va oltre la questione della fedeltà ai principi; è un problema strategico centrale per lottare contro l’influenza degli apparati borghesi sulla classe operaia e garantire, contro le dinamiche di cooptazione, la possibilità di lotte di massa per affrontare la crisi attuale e respingere il macronismo e l’estrema destra.
6. Una svolta “politica” della CGT per seguire le orme della sinistra
Anche l’atteggiamento della CGT, e più in generale delle burocrazie sindacali, è un fattore importante della situazione. Invitando a votare per il NFP fin dall’inizio, ha rotto con la tradizionale “presa di distanza ” dalla politica che si era affermata come linea a partire dagli anni ’90, dopo la caduta del Muro. L’ultimo appello al voto al primo turno era stato per Mitterrand nel 1981. Incarnato da Sophie Binet, la “segretaria generale della CGT più politica dai tempi di Georges Séguy “, come ha detto un editorialista, questo orientamento non si è limitato al semplice posizionamento elettorale, ma ha dato vita a una campagna attiva, mobilitando i sindacalisti e offrendo così una garanzia operaia agli apparati della sinistra istituzionale. Questa campagna attiva è proseguita nel periodo tra le due tornate, dove è stata accompagnata dal sostegno al “fronte repubblicano”.
Se da un lato questo atteggiamento permette di aprire un’importante discussione sul ruolo politico dei sindacati, cosa che avevamo già cercato di fare durante la battaglia sulle pensioni, dall’altro la posizione proposta dalla dirigenza della CGT impegna comunque il sindacato a sostenere una pericolosa operazione politica. Tuttavia, sin dall’instaurazione del NFP, la CGT è stata totalmente acritica nei confronti del programma e degli apparati della sinistra, non menzionando mai le brutali politiche antioperaie perseguite dal PS quando era al potere. Così, mentre la posizione della CGT può essere stata apprezzata da una parte della nostra classe, già legata ai sindacati, e ha persino portato a nuove adesioni, la sua ricezione è più contraddittoria in altri settori della classe operaia, sia per l’influenza di RN su tali settori sia per il rifiuto dell’alleanza con il PS, due reazioni che non sono in contraddizione.
Inoltre, questa politica ha portato la CGT a seguire interamente la coalizione elettorale nelle ultime settimane, limitando le sue prospettive al sostegno alla salita al potere di un governo di sinistra o a proposte di appoggiarlo per ottenere “maggioranze di compromesso ” in Parlamento. Questo atteggiamento genera gravi illusioni sulla capacità di un ipotetico governo di sinistra di fare spazio alle nostre richieste, e rappresenta una replica delle tattiche di pressione utilizzate durante tutta la battaglia sulle pensioni, che hanno portato alla sua sconfitta. Di fronte alla sfiducia suscitata in una parte della nostra classe dal NFP, riteniamo che il compito delle organizzazioni del movimento operaio debba essere quello di proporre un altro tipo di “politica”, che assuma il diritto di intervenire su tutte le questioni poste nel periodo attuale, ma in totale indipendenza e senza alcuna fiducia nei partiti borghesi e utilizzando i metodi della lotta di classe. Questo è l’unico modo per rafforzare i sindacati e riconquistare le frange della nostra classe attratte dall’estrema destra.
7. Il rafforzamento di LFI come mediatore a sinistra e la sua impasse strategica
Mentre all’interno dell’NFP l’equilibrio di potere di LFI si sta deteriorando, la formazione si sta rafforzando come mediatrice nella sinistra “radicale”, come dimostra la “satellitizzazione” intorno ad essa delle correnti di estrema sinistra sopra menzionate. Questa dinamica è legata a una politica consapevole del melenchonismo, che negli anni Duemila ha saputo cogliere in anticipo le tendenze alla crisi del Partito socialista neoliberista, espresse nel risultato del 2002 e nelle contemporanee avanzate dell’estrema sinistra. Questa politica è stata favorita dalla debolezza politica delle principali organizzazioni di estrema sinistra, come LO e LCR/NPA, che non sono state in grado di capitalizzare i loro successi elettorali [3] e le intense mobilitazioni degli ultimi anni per consolidare la loro influenza.
Il progetto neoriformista di Mélenchon ha poi beneficiato del crollo del PS a partire dal 2016 e delle lotte condotte da allora contro Hollande e poi Macron. Negli ultimi anni, il desiderio di mantenere il dialogo con l’avanguardia di queste lotte, ma anche di mobilitare elettoralmente i giovani e i quartieri popolari, ha portato in particolare LFI ad adottare posizioni contro l’islamofobia, la violenza della polizia o a favore della Palestina, dando luogo a importanti offensive da parte del regime. Tuttavia, si tratta di un’espressione molto distorta di queste lotte, poiché non solo LFI difende un programma che è ben lontano dal radicalismo espresso negli ultimi anni, ma la sua strategia politica populista di sinistra, basata sulle elezioni e in particolare sulle elezioni presidenziali, non fa alcun tentativo di rafforzare l’attività e l’auto-organizzazione delle masse o di pensare ai modi in cui esse possono intervenire con metodi propri. Al contrario, mira a incanalare le loro aspirazioni nell’arena istituzionale.
In questo senso, anche se per il momento LFI è stata ampiamente risparmiata dalla critica di sinistra al NFP, polarizzata dal ruolo del PS, il fallimento di questa coalizione è una nuova espressione dei limiti profondi del movimento di Jean-Luc Mélenchon e della sua strategia. Nei momenti di lotta di classe, si è dimostrato impotente nell’avanzare prospettive per ampliare la capacità di mobilitazione e di confronto sul terreno della lotta. Allo stesso tempo, la sua bussola elettoralistica e l’inconsistenza della sua opposizione al regime l’hanno portata a rinnovare costantemente i suoi legami con forze politiche come il PS, ponendo LFI sulla scia degli altri apparati della sinistra e, per estensione, riportando i settori dell’avanguardia che influenza nell’ovile degli spazi politici borghesi, come nel caso dei socialisti, resuscitati di fatto nel 2022.
Dalla NUPES ai “ritiri repubblicani” di Borne e dei suoi amici, l’organizzazione di Jean-Luc Mélenchon ha dimostrato che il suo programma, presentato come una “rottura con il passato” [4], può essere sistematicamente scambiato con compromessi elettorali. Allo stesso tempo, rimane nel quadro ristretto della difesa degli interessi dell’imperialismo francese, come chiaramente espresso dalle posizioni di LFI su questioni centrali come il militarismo, e non riesce a delineare una prospettiva che sfidi il sistema capitalista e ne permetta il rovesciamento.
8. Di fronte a qualsiasi progetto di conciliazione di classe, non si può perdere la sfida della lotta per l’unificazione della nostra classe e la lotta per l’egemonia dei lavoratori.
In un testo letto durante la riunione del 10 luglio, Stathis Kouvélakis ha illustrato l ‘ipotesi strategica difesa dall’ala anticapitalista pro-LFI del NFP:
Un governo di coalizione delle forze popolari, sulla base di un programma di rottura, come unico mezzo per costruire un’alternativa al potere. Infatti, quando il fascismo si presenta come alternativa e arriva alle porte del potere, può essere sconfitto a lungo termine solo da un’altra alternativa di potere, un’alternativa reale perché intende rompere con l’ordine esistente. Ma per farlo, e questo è il punto decisivo, questa alternativa di governo popolare deve inserirsi in una dinamica che la superi, grazie alla mobilitazione delle forze che l’hanno portata al potere.
Come abbiamo detto in precedenza, però, questa logica, che pretende di collegare la conquista delle istituzioni e le lotte sociali, tende sistematicamente a subordinare le seconde alle prime, e quindi a neutralizzare il loro potenziale sovversivo e rivoluzionario.
Di fronte a questa logica, il dinamismo della lotta di classe negli ultimi anni ha rivelato altre potenzialità. Negli ultimi 7 anni, con il progredire delle lotte, la classe operaia francese ha mostrato la sua forza e ha espresso le sue diverse caratteristiche: la diversità dei settori e degli stili di vita – tra i lavoratori delle grandi città, che sono stati al centro della prima battaglia per le pensioni, e quelli delle zone rurali e semi-rurali, mobilitati nell’ambito del movimento dei Gilets jaunes – il suo carattere sempre più femminilizzato e razziale, o gli stretti legami che mantiene con i quartieri popolari e i vari settori oppressi della società. Ha anche dimostrato di saper riunire attorno a sé tutti coloro che lottano contro Macron, dal movimento ecologista a quello femminista, passando per i settori antirazzisti e, naturalmente, i giovani delle scuole superiori e delle università.
Dalla condanna della violenza dei Gilet Gialli alla sconfitta della battaglia per le pensioni, passando per la scelta di distogliere lo sguardo dalle rivolte nei quartieri popolari in un momento in cui queste ultime subivano una brutale repressione, la politica delle burocrazie sindacali ha impedito al movimento operaio di svolgere un ruolo di unione della nostra classe e di apparire come una chiara alternativa alla RN agli occhi di milioni di lavoratori. Eppure, è la classe operaia l’unica entità sociale con le posizioni strategiche per costruire un equilibrio di potere decisivo con lo Stato e i datori di lavoro al fine di ottenere richieste ambiziose, e che è anche in grado di riunire tutti i settori oppressi intorno a sé per costruire un fronte in grado di porre fine al capitalismo.
Alla costruzione di un blocco elettorale policlassista sotto l’egida della LFI, che elude la questione dell’unificazione della classe operaia, opponiamo la costruzione di un blocco operaio e popolare dal basso, strutturato intorno alla classe operaia, nel senso più ampio del termine, e alle sue organizzazioni e strutture di auto-organizzazione. Questa politica di egemonia operaia può essere raggiunta solo attraverso la lotta e implica la lotta contro la politica degli apparati sindacali, che vogliono limitare l’attività della classe operaia alla pressione sulle istituzioni e su Macron per consentire l’arrivo al potere di un governo di minoranza di sinistra. A questa strategia, che si è già rivelata un vicolo cieco durante la battaglia sulle pensioni nonostante i milioni di persone in piazza, opponiamo la costruzione del più ampio rapporto di forze attraverso i metodi della lotta di classe, intorno a un programma ambizioso, che non si accontenti di poche briciole.
Invece di sostenere questa o quella forza di sinistra, il movimento operaio deve lottare per le proprie rivendicazioni. Misure sociali di emergenza, come l’aumento di tutti i salari e delle prestazioni sociali e la loro indicizzazione all’inflazione, o il pensionamento a 60 anni (55 per i lavori usuranti), devono essere combinate con richieste come la regolarizzazione di tutti gli immigrati clandestini o il diritto di voto per gli stranieri, ma anche con misure strutturali, che mettano profondamente in discussione l’attuale sistema in termini economici, Servono anche misure democratiche, come l’abolizione di istituzioni reazionarie come la Presidenza della Repubblica e il Senato, in vista di una Repubblica dei lavoratori e di un governo di coloro che non sono mai stati veramente al potere e che potrebbero trasformare la società, ossia i lavoratori.
9. La ricostruzione di una sinistra combattente, operaia e rivoluzionaria come sfida centrale
Se la sequenza aperta dallo scioglimento dell’assemblea ha dimostrato qualcosa, è che la politica del fronte di tutta la sinistra, poi “fronte repubblicano”, che ha portato al ritiro dei candidati di LFI a favore di personaggi come Darmanin o Borne, ha un costo politico. In primo luogo, rafforza l’idea che la RN sia l’unica vera opposizione a un regime che sembra avere il fiato corto. In secondo luogo, ha l’effetto di ravvivare e creare illusioni in una forza politica borghese come il PS, al punto che Hollande è tornato in Assemblea e che il suo partito pensi di poterlo candidare per diventare il nuovo inquilino di Matignon, nonostante la sua profonda crisi degli ultimi anni. Questo è un grande passo indietro, tanto più che tutte le coordinate politiche ci impongono di muoverci nella direzione opposta, quella della ricostruzione di una sinistra combattiva, operaia e rivoluzionaria, radicata nei diversi settori della nostra classe e portatrice del progetto di rovesciare il capitalismo e costruire una società senza sfruttamento e oppressione.
Quando i lavoratori scioperano in massa, come hanno fatto nella battaglia per le pensioni, il peso e l’influenza dell’estrema destra si riducono notevolmente. Abbiamo quindi bisogno di uno strumento politico per intervenire nella lotta di classe, rafforzando l’auto-organizzazione, costruendo alleanze tra settori e lottando per strategie e programmi che ci permettano di dispiegare tutta l’energia del movimento di massa per conquistare le nostre richieste. Tale organizzazione, radicata nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nei quartieri popolari, deve collegare queste lotte al servizio della rivoluzione e di un progetto emancipatorio che cambi realmente la vita delle persone. Questo è l’unico modo per strappare all’influenza della RN quei settori del mondo del lavoro che, in assenza di un’alternativa, finiscono per rassegnarsi all’unica prospettiva che viene loro offerta, lottando per un maggiore autoritarismo al fine di controllare la miseria sociale e contro i loro fratelli stranieri o immigrati per qualche briciola.
Di fronte agli immensi pericoli di una situazione segnata dall’avanzata dell’estrema destra e dal ritorno della guerra, qualsiasi progetto che scommetta sulla possibilità di rivitalizzare questo sistema in decomposizione e di farlo funzionare in modo diverso è destinato a produrre solo nuova disillusione, favorendo così la possibilità che il RN vada effettivamente al potere tra qualche anno. Alla realpolitik del “male minore”, che vorrebbe convincerci che l’unico obiettivo raggiungibile risiede nei putridi compromessi con i padroni e le loro istituzioni, dobbiamo opporre una realpolitik rivoluzionaria, che parta dalla consapevolezza che i nostri interessi sono inconciliabili con quelli della borghesia (di destra e di “sinistra”), che tutto questo sistema ci sta portando alla catastrofe e che la priorità assoluta deve essere quella di organizzare e unificare la nostra classe per rovesciarlo. Questa è la bussola che guida Révolution Permanente, con l’obiettivo di contribuire alla ricostruzione di un partito operaio rivoluzionario.
Comitato Centrale Révolution Permanente (FT-CI)
[1] L’IC mise quindi fine alla politica di ultra-sinistra nota come “terzo periodo”, rifiutando qualsiasi unità d’azione tra i partiti comunisti e le forze socialiste, una politica che aveva permesso la vittoria di Hitler in Germania senza alcuna risposta su larga scala da parte della classe operaia meglio organizzata d’Europa.
[2] Olivier Besancenot è totalmente confuso su questo punto, non solo confondendo un “fronte unico” con un fronte elettorale, ma equiparando apparentemente l’attuale Partito Socialista, che ha perso ogni carattere operaio con la sua svolta neoliberista, alla socialdemocrazia dell’inizio del XX secolo, che nonostante tutti i suoi tradimenti aveva ancora una base operaia molto solida, spiegando:
Nei dibattiti dell’Internazionale Comunista del 1922-1923, in un momento in cui la rivoluzione tedesca era in fase discendente, i rivoluzionari tedeschi sentirono che non stavamo più cavalcando un’onda propulsiva e che avremmo dovuto ripristinare la fiducia del proletariato, in un modo o nell’altro. Si propose quindi un fronte unito, cioè i comunisti tedeschi che si rivolgevano alla socialdemocrazia tedesca. Ma nel 1922-1923 la socialdemocrazia tedesca era reduce dall’assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, di cui erano responsabili. Quindi dobbiamo fare qualcosa al riguardo.
[3] Come promemoria, nel 1999 la lista congiunta LO-LCR alle elezioni europee ottenne il 5,18% dei voti e 5 seggi al Parlamento europeo. 3 anni dopo, Arlette Laguiller e Olivier Besancenot hanno ottenuto rispettivamente il 5,72% e il 4,25% dei voti, ovvero oltre 2,8 milioni di voti.
[4] In modo rivelatore, su un tema così essenziale come l’escalation della guerra, le risposte di LFI sono essenzialmente nel campo, da un lato, della difesa degli interessi dell’imperialismo francese e delle sue leve di potere e di dominio e, dall’altro, di appelli impotenti e illusori al diritto e alle istituzioni internazionali, che sono essi stessi attori del sistema imperialista globale.
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