Molti militanti di sinistra sono a conoscenza di come sia stato ucciso uno dei più grandi dirigenti bolscevichi della rivoluzione russa, in pochi conoscono o hanno letto le ultime lettere che Lev Trotsky scrisse durante l’ultimo anno di vita, trascorso in esilio a Coyocan in Messico. Con il libro “I Gangster di Stalin”, edito nella collana dei Quaderni di Pagine Marxiste è possibile sentire la voce di Lev ed il suo respiro, a volte affannato, quasi sempre però tenace e temprato da anni di agitazione, propaganda e lotta politica rivoluzionaria. Quella vera.
Dal 1937 alla sua morte, per mano di un sicario stalinista della GPU (la polizia politica dell’URSS di Stalin), Lev trascorre i suoi ultimi mesi di vita rinchiuso tra quattro mura in due abitazioni differenti (in principio ospitato da Diego Rivera). Il suo esilio oramai è condito solamente da giornate passate a studiare e scrivere il bollettino dell’Opposizione, distribuito clandestinamente in URSS, ed a rispondere a una vera e propria campagna di calunnie: “…ogni domenica venivo accusato di cospirare con il gen. Cedillo e con altri controrivoluzionari…di collaborare con i fascisti messicani…”. Il giornale del PC messicano “El Popular” raffigurava Trotsky affiancato ad una svastica quando al contrario era Stalin alleato di Hitler (al tempo della firma del patto Molotov-Ribbentrop) oppure lo stesso Trotsky era accusato di essere alleato degli Usa da chi in quel momento si spartiva l’Europa orientale in combutta con l’imperialismo compieva politiche imperialiste, cioè da Stalin all’epoca dell’invasione sovietica della Finlandia.
In tutto il libro sono le stesse parole di Trotsky, le sue lettere, a condurci tra le mura del suo studio: la stanza di un grande rivoluzionario che da Coyocan non smetteva di pensare, con la protezione di poche guardie fidate e che sopravvivevano grazie alle sottoscrizioni di simpatizzanti. Colui che nel 1938 fondò la Quarta internazionale, l’unica opposizione esistente allo stalinismo, ora si trova agli sgoccioli della propria vita. Ma nonostante tutto riuscì a scrivere, grazie alle testimonianze di ex agenti, gli ultimi illuminanti dettagli sul funzionamento della GPU.
Oramai l’URSS aveva costruito un apparato burocratico di partito che da un lato eliminò fisicamente il 90% della dirigenza rivoluzionaria del 1917, e dall’altro demoliva progressivamente i due grandi obiettivi della rivoluzione: la socializzazione dei mezzi di produzione e la società senza classi, quindi anche senza una casta burocratica professionale. Un assolutismo del leader in URSS che “non poggia sull’autorità tradizionale della “grazia divina”, né sulla sacra proprietà privata inviolabile, bensì sull’idea comunista di uguaglianza. Ciò toglie all’oligarchia la possibilità di giustificare la propria dittatura con qualsiasi argomentazione razionale e convincente”. Quindi ogni burocrate vede e accusa ogni oppositore di tale oligarchia di essere un controrivoluzionario. Dopo aver ingannato le masse sul fatto che l’URSS avesse raggiunto improbabili traguardi, la burocrazia era diventata inattaccabile ed invincibile, tale da propugnare bugie per screditare la verità.
Questo apparato burocratico, distante dalla classe e dalla rivoluzione, proliferava di persone incapaci di potersi diversamente guadagnarsi da vivere. Soggetti ricattabili politicamente che, se diventavano oppositori politici, proprio per le loro conseguenti ristrettezze economiche dettate dell’emarginazione dalla burocrazia, diventavano più facilmente corruttibili ed arruolabili all’interno della GPU. Diversamente, chi veniva scoperto a gestire disonestamente il potere ed il denaro, diventava degno di una promozione, tale che potesse essere più ricattabile, in forza delle sue malefatte, e manovrabile nonostante la sua posizione privilegiata all’interno dell’apparato.
Infine Trotsky sarà scagionato dalle accuse degli infamanti processi di Mosca dalla commissione sotto la presidenza del filosofo americano Dewey, comitato che non aveva alcuna simpatia trotskista. Quindi Trotsky ne uscì vincente dichiarando preventivamente che, nel caso in cui la commissione lo avesse ritenuto colpevole, si sarebbe consegnato nelle mani di Stalin per essere fucilato.
La propaganda stalinista ancora oggi non fa altro che additare con insulti senza fondamento politico l’opera teorica di Trotsky, ma senza trovare motivazioni valide per cui nei processi di Mosca furono falcidiati sia generali dell’Armata Rossa che i principali dirigenti, come prima accennato, della rivoluzione del 1917.
La calunnia continua, oggi come ieri, con gli antistalinisti dogmatici. Questi soggetti che sì condannano a parole le mostruosità dell’opera distruttiva della GPU, ma che nei fatti si permettono di utilizzare la calunnia o la produzione di false prove per la delegittimare l’avversario politico. Da questi si distinguono gli antistalinisti reali: status a cui molti compagni a parole tendono, ma di cui ha senso investirsi se si fa proprio il bagaglio teorico del marxismo, e non di una sua parodia. Quando non si farà della denuncia politica un’occasione di delazione. Quando si cesserà di confondere il carrierista politico con il prototipo rivoluzionario.
Sirio Stivalegna
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