Un anno fa, il mondo guardava sugli schermi di TV e cellulari l’impensabile: elicotteri, soldati e carri armati stavano attraversando il confine dell’Ucraina in modo coordinato. Il presidente russo Vladimir Putin chiama ancora questa aggressione “Operazione militare speciale” o “guerra preventiva”, emulando le parole di George W. Bush quando invase l’Iraq.


Quella che infuria in Ucraina è una guerra con profonde conseguenze su scala globale. In primo luogo, ha avvicinato la guerra al centro capitalista come mai era accaduto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945). Tenere la guerra lontana dai paesi imperialisti è stato uno degli accordi fondamentali del dopoguerra e da allora, e soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda nel 1991, la guerra, sia essa interstatale o civile, è stata combattuta ai margini dell’accumulazione capitalista, cioè al di fuori di Europa, Stati Uniti, Giappone (e poi Cina).

Il conflitto in Ucraina ha il potenziale per cambiare questo concetto, non solo perché si sta svolgendo in territorio europeo, ma anche perché approfondisce l’ipotesi di scontri tra grandi potenze capitaliste. L’annuncio di Putin di sospendere il trattato di riduzione degli armamenti nucleari New START e le reazioni infiammate dei paesi occidentali aprono scenari oscuri e impensabili in base al principio noto come “Distruzione reciproca assicurata” (MAD in sigla inglese), in vigore da decenni.

 

L’inizio

Dalla caduta dell’URSS, che ha portato alla restaurazione borghese nell’ex spazio sovietico, l’Ucraina è sempre stata una linea rossa che la Russia ha imposto ai paesi strategicamente situati in “Occidente” (Stati Uniti e Unione Europea a livello centrale, ma a cui aderiscono Australia, Giappone, Corea del Sud e altri). Molti consiglieri conservatori e liberali, tra cui George Kennan, Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, avevano avvertito lo Stato Maggiore degli Stati Uniti che l’integrazione dell’Ucraina nella NATO avrebbe dato il via a un confronto diretto con la Russia. Tuttavia, la NATO ha gradualmente integrato gran parte dei paesi europei, allargandosi verso est[1]. Parallelamente si è espansa l’Unione Europea, imponendo condizioni di libero mercato e un modello basato sulla precarizzazione del lavoro e sull’aumento delle disuguaglianze a favore soprattutto dei paesi centrali dell’Unione (Francia e Germania).

La borghesia e la società civile ucraina sono state esposte a queste tensioni, che sono esplose prima nel 2004 e poi nel 2014 quando le proteste hanno fatto cadere il governo filorusso di Viktor Yanukovych. Da allora si è verificata una guerra civile tra il governo centrale filo-europeo e le regioni separatiste filo-russe di Donetsk e Lugansk, oltre all’annessione della Crimea alla Russia tramite referendum. Il sostegno di Putin a queste ultime ha iniziato a costargli sanzioni progressive, tanto più che ha concesso passaporti e cittadinanza a tutti i residenti di questi territori. Ma l’invasione è stata un salto di qualità dopo diversi anni di stallo nella guerra civile (in cui ogni parte era fortemente sostenuta da potenze con interessi contrastanti). In tutti questi anni i governi ucraini, con il sostegno degli Stati Uniti, hanno mantenuto le richieste di adesione all’UE e alla NATO, nonostante le minacce russe.

Dopo diverse tornate negoziali fallite nel corso del 2021, in cui l’Occidente non ha mostrato alcuna volontà di abbandonare le sue intenzioni di integrare l’Ucraina nella NATO, e con le forti manifestazioni della destra ucraina che premevano sul governo Zelenskyy per riprendersi il Donbass, la Russia ha invaso l’Ucraina. Ciò è avvenuto in un contesto in cui si si erano attivate nuove proteste che richiamavano alla mente le rivoluzioni colorate[2], tra l’altro a causa delle crisi economiche che si erano aperte durante la pandemia di coronavirus, ma anche a causa dei tratti autoritari dei governi di Bielorussia, Kirghizistan e Kazakistan. A ciò si è aggiunta la riapertura della crisi tra Armenia e Azerbaigian per il controllo dell’Arzach/Nagorno-Karabakh, che in seguito ha portato all’aggressione militare azera, mettendo in luce la debolezza della Russia nell’intervenire nel suo “cortile di casa”.

La giustificazione dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è stata quella di proteggere la popolazione nelle “terre storiche” della Russia, garantire la sicurezza interna russa minacciata dalla NATO, affrontare la minaccia rappresentata dal regime “neonazista” ucraino che Putin sostiene essere in vigore dal 2014 e proteggere la popolazione del Donbass. Ma i suoi obiettivi strategici sono principalmente legati alla prevenzione della perdita di influenza nel paese, all’invio di un messaggio al resto dei suoi alleati e alla definizione di un limite alla NATO. Così, Mosca spiega l’invasione reazionaria dell’Ucraina come una misura “difensiva” in una guerra per la sopravvivenza dei valori nazionalisti, conservatori e sacri della Russia, accerchiati militarmente dalle forze liberali, cosmopolite e laiche della NATO).

Gli Stati Uniti sono riusciti a riorganizzare parzialmente la NATO – che era stata gravemente degradata come istituzione di difesa – del più largo “mondo occidentale democratico”. Molti di questi paesi, come la Germania con i gasdotti poi sabotati (verosimilmente dagli stessi USA) Nordstream I e II, avevano fatto buoni affari con la Russia nonostante la guerra civile. Ma con la guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno potuto riaprire la frattura geopolitica e riprendere il cammino per disciplinare i paesi che mettono in discussione l’ordine post-Guerra Fredda (Russia e Cina), ovvero la propria completa egemonia globale.

 

Situazione attuale

L’invasione russa dell’Ucraina si è sviluppata su più fronti, compreso il tentativo di conquistare la capitale Kiev forzando la caduta del governo Zelenskyy. Anche se quest’ultimo tentativo fallì, la Russia ottenne diverse vittorie nei primi mesi. Tuttavia, la resistenza ucraina è stata più forte del previsto e l’assistenza occidentale (preceduta dai programmi di sostegno militare fin dal 2014) ha iniziato ad arrivare progressivamente quando l’Ucraina ha dimostrato progressi sul campo, in particolare sferrando colpi pesanti contro l’aviazione russa e dimostrando la funzionalità dei missili tecnologici HIMARS (di fabbricazione statunitense).

Gli obiettivi di Putin si sono spostati dalla volontà di instaurare un governo filo-russo a Kiev a quella di conquistare quanto più territorio possibile a sud e a est, bloccando l’accesso dell’Ucraina al Mar Nero. Per la Russia, il primo slancio si è affievolito e l’apice è stato raggiunto con l’annessione (attraverso referendum a dir poco controversi) delle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia. In seguito, l’esercito ucraino ha lanciato una forte controffensiva con la quale ha riconquistato ampie porzioni di territorio, tra cui due grandi città, Kharkiv e Kherson. Da novembre la guerra è in una fase di stallo, con la Russia che bombarda diverse città, in particolare Kherson, nel tentativo di collegare l’intero sud del paese.

I danni umani e materiali che la guerra si sta lasciando dietro sono terrificanti. Sia la Russia che l’Ucraina hanno perso verosimilmente oltre 100.000 uomini tra morti e feriti, oltre a carri armati, veicoli corazzati, aerei e altro materiale bellico. Inoltre, secondo le Nazioni Unite, sono stati uccisi quasi 10.000 civili – ma si pensa che siano molti di più -, si registrano oltre 12.000 feriti e sono stati registrati 45.000 crimini di guerra. L’economia ucraina si è ridotta di circa il 30% e 14 milioni di civili sono stati sfollati (all’interno e all’esterno del Paese), le infrastrutture civili sono in gran parte distrutte e circa il 40% della capacità di produzione di energia elettrica è stata danneggiata. Ad oggi, né Kiev né Mosca sembrano disposte a prendere in considerazione un cessate il fuoco o una de-escalation del conflitto e i loro interessi sono inconciliabili al punto che Zelenskyy chiede la piena liberazione del territorio ucraino (compresa la Crimea e le nuove province russe di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia) per poter iniziare a negoziare. Putin esige che si riconosca la sovranità russa su questi territori e una ritirata da questa posizione genererebbe una forte crisi interna.

In rosso scuro, i territori sotto controllo russo prima del 24 febbraio 2022; in rosso chiaro, quelli attualmente conquistati; in azzurro quelli inizialmente occupati dalle truppe russe nel 2022; in blu quelli che non sono stati toccati dall’invasione.

Inoltre, l’impatto globale della guerra è incommensurabile. La partecipazione della Russia alla guerra è un fatto fondamentale, in quanto è una potenza nucleare, membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e rappresenta una sfida frontale alle potenze occidentali, il cui esito rimodellerà inevitabilmente lo scacchiere globale in modo qualitativo. La guerra in corso favorisce i complessi industriali militari e le banche che finanziano lo sforzo bellico. Anche i produttori di materie prime, soprattutto idrocarburi e prodotti alimentari, entrambe aziende con un forte coinvolgimento ucraino e russo. Abbiamo già visto le conseguenze che tutto ciò sta avendo a livello globale, e non sappiamo quanto si protrarrà nel tempo. Ciò ha avuto un impatto sui paesi più poveri che dipendono dalle importazioni alimentari, come quelli del Medio Oriente.

Le sanzioni economiche contro la Russia hanno colpito, ovviamente, provocando una contrazione di circa il 3% del PIL, ben lontana dal 12% che molti esperti si aspettavano. L’aumento dei prezzi degli idrocarburi e gli accordi commerciali con altri paesi, soprattutto con la Cina, hanno contribuito a sostenere l’economia russa. L’impatto peggiore è stato avvertito dalle economie europee, che hanno subito un contraccolpo. Era prevedibile, vista la dipendenza (soprattutto della Germania) dal gas russo e la sua posizione nel mercato mondiale. Il conflitto ha accentuato l’inflazione europea, facendo salire i prezzi dell’energia e causando una situazione economica e sociale instabile in paesi come Inghilterra, Francia e Germania, i cui governi sono stati messi in discussione da mobilitazioni e scioperi.

 

Il militarismo, ultima tappa della decadenza imperiale

Il riarmo imperialista degli Stati Uniti e della maggior parte dei paesi europei, compresi Germania e Giappone, che hanno cambiato radicalmente le loro linee militari rispetto agli equilibri post-Seconda Guerra Mondiale, è un sintomo degli allineamenti contro l’asse Russia-Cina, ma anche della ricerca di difendere i propri interessi preparando uno scenario di forti scontri.

Questo atteggiamento ha una conferma nei documenti di Strategia della Difesa Nazionale della Casa Bianca, con l’aumento del budget militare a 858 miliardi di dollari per combattere le “minacce” (la Russia viene citata 90 volte e la Cina 17 volte), che non hanno più a che fare con il “terrorismo internazionale”, ma sono direttamente associate ad altre potenze (nucleari) che rappresentano una minaccia alla sua egemonia.

Gli aumenti di bilancio vanno di pari passo con l’aiuto ai paesi ai margini dell’Europa per resistere all’avanzata russa, come i Paesibaltici (la Spagna vi sta costruendo sistemi di difesa aerea) e la Polonia (gli Stati Uniti vi stanno rafforzando le loro basi). Ma anche l’aumento delle forniture di armi all’Ucraina, dove si sta verificando il maggior coinvolgimento dell’Occidente in questo senso.

Alcuni analisti, come Chris Hedges, sostengono che armi come i carri armati tedeschi Leopard 2 e gli Abrams statunitensi non solo prolungheranno la guerra, ma faranno anche poca differenza rispetto a ciò che accadrà sul campo. Infatti, sia la produzione di queste armi che l’addestramento dei piloti per le operazioni coordinate combinate (terra-aria) sono molto lenti e possono richiedere diversi mesi. Ciononostante, i “falchi” chiedono un aumento delle forniture di armi, un potente intervento militare e la piena attuazione delle sanzioni economiche come unico modo per superare lo “stallo”.

Ma il Cremlino sta sostenendo la catena di approvvigionamento per la produzione delle sue unità corazzate e della sua missilistica nonostante le sanzioni occidentali e lo stato disperato del suo sistema finanziario (il Paese ha subito il “congelamento” di oltre 300 miliardi di dollari di riserve della Banca Centrale Russa depositate all’estero). Mentre ha problemi a sostituire i suoi sistemi d’arma ad alta tecnologia (come gli aerei di ultima generazione abbattuti), continua a produrre sistemi convenzionali di fascia bassa. Questa situazione è destinata ad aggravarsi, poiché Putin sembra convinto che “il tempo sia dalla sua parte”. Tuttavia, si tratta di un paese che ha forti problemi strutturali per sostenere una guerra a tempo indeterminato. Sia la resistenza ucraina che il sostegno dell’Occidente (almeno europeo) potrebbero raggiungere i loro limiti, a meno di non orientare la loro economia verso un militarismo ancora più marcato, ma questo significherebbe inasprire un conflitto in cui sono già coinvolti a malincuore e che sta causando gravi crisi interne.

Verso una guerra interstatale prolungata?

Mentre la guerra entra nel suo secondo anno, tutto indica che continuerà senza alcuna prospettiva di un accordo di cessate il fuoco sostenibile. Anche se questo dovesse essere raggiunto, c’è una forte possibilità che si trasformi in una guerra contro-insurrezionale, con milizie che si oppongono all’occupazione russa dei territori controllati o, dall’altro lato, all’esercito ucraino.

Molti analisti suggeriscono che la Russia stia preparando una nuova offensiva alla fine dell’inverno, tra pochi giorni. L’analista George Friedman argomenta in Geopolitical Futures che siamo vicini a un nuovo punto di svolta nella guerra, una “Stalingrado di Putin” o un punto di svolta che ribalterà la situazione a favore della Russia.

La Russia è stata respinta sulla scena internazionale, in gran parte a causa dell’accerchiamento imposto dagli Stati Uniti e dalla loro politica di avanzamento della NATO verso est dopo il crollo dell’URSS. Ha perso influenza in Europa orientale, Asia centrale e Caucaso e sta lottando per resistere in Africa e in Medio Oriente. Questo ci dice che la guerra in Ucraina è una guerra per la sua stessa sopravvivenza come potenza regionale, cosa che non è priva di contraddizioni a causa delle lotte di potere interne allo Stato russo che vanno oltre l’ambito di questo articolo.

Anche con questo modesto obiettivo, una risoluzione favorevole del conflitto ucraino è vitale per i leader russi, poiché le molte decine di migliaia di russi uccisi in combattimento – che aumenteranno con l’estensione della guerra e la possibile mobilitazione di 200.000 nuove truppe – possono essere legittimati politicamente solo con una vittoria almeno parziale. In altri momenti storici, le catastrofi militari si sono concluse con periodi di profondi sconvolgimenti politici, che hanno scosso regimi che prima del conflitto erano considerati “onnipotenti”. Ciò solleva la questione del destino del regime di Putin dopo la guerra.

Il primo anno di guerra in Ucraina ha messo in luce i limiti strategici della Russia e dell’Ucraina. Per quanto riguarda la NATO, essa ha chiesto una condanna internazionale della Russia, ma molti paesi hanno finora rifiutato o mantenuto posizioni ambigue e si sono tenuti a distanza, tra cui molti paesi dell’America Latina, India, Indonesia e Sudafrica. Ma la Cina, in particolare, si sta trattenendo dal fornire supporto militare alla Russia, mantenendo un asso nella manica per fare pressione sull’Occidente in altri ambiti, in particolare Taiwan e la lotta per i semiconduttori. Il suo coinvolgimento sarebbe molto controverso per i paesi occidentali che fanno grandi affari a vari livelli col paese del dragone, sia commerciali che finanziari, e le sanzioni avrebbero conseguenze incerte.

Queste spaccature si traducono in uno scenario geopolitico molto più complesso che va verso un confronto con il crescente coinvolgimento delle grandi potenze. È necessario denunciare che il militarismo imperialista – con un discorso “democratico” carico di ipocrisia – sta scommettendo sull’estensione del conflitto per moltiplicare i propri profitti e creare le condizioni per imporre la propria egemonia su scala globale, mentre il decadente nazionalismo russo sta cercando di rafforzare il proprio regime autocratico e di sottomettere ulteriormente i popoli all’interno della propria “area di influenza”. Solo la mobilitazione indipendente delle masse popolari può frenare l’offensiva bellica, mettendo al centro le richieste dei popoli puniti da una guerra estranea ai loro interessi.

 

Santiago Montag

Omar Floyd

Traduzione da La Izquierda Diario

Note

[1] Tra il 1999 e il 2004, l’avanzata della NATO ha significato l’adesione di paesi dello spazio post-sovietico sia all’Alleanza Atlantica che all’Unione Europea, tra cui Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e i paesi baltici Lettonia, Estonia e Lituania, e successivamente Romania, Bulgaria, Slovacchia e Slovenia. Queste aggiunte hanno reso possibile il posizionamento di truppe e strutture militari nella sfera di influenza della Russia. Nel 2008, anno della breve guerra in Georgia, gli Stati Uniti e la NATO mantenevano basi militari intorno a gran parte del gigante asiatico, se includiamo i paesi dell’Asia centrale come l’Uzbekistan, il Turkmenistan e il Tagikistan, che hanno dato il permesso di entrare in Afghanistan da lì. Progressi che implicavano non solo l’influenza politica e militare dell’atlantismo, ma anche l’approfondimento dell’espropriazione e del disciplinamento del movimento operaio in tutti questi paesi, dal momento che i rapporti sociali di produzione capitalistici si sono infranti nell’ordine mondiale neoliberale dopo l’esperienza sovietica.

[2] Sono state chiamate così per caratterizzare i processi di mobilitazione guidati da partiti politici reazionari europeisti che chiedevano maggiori libertà democratiche ma soprattutto di mercato, ponendosi come vettori affini ai regimi occidentali. Ognuna di esse ha utilizzato un colore diverso per le bandiere dei partiti che le hanno guidate: la Rivoluzione Arancione in Ucraina nel 2004, in Kirghizistan la Rivoluzione dei Tulipani nel 2005, la Rivoluzione delle Rose in Georgia nel 2005 e la Rivoluzione di Velluto in Armenia nel 2018. Un processo simile si è verificato in Bielorussia nel 2020 con la contestazione del governo Lukashenko, anche se con elementi di radicalità politica e nei metodi di lotta fuori dal controllo dell’opposizione liberale.

Scrive nella sezione Internazionale di La Izquierda Diario.

Fa parte della redazione internazionale di La Izquierda Diario Argentina.