Tento con questo breve scritto di offrire un piccolo contributo a un argomento che, come è stato scritto nell’articolo precedente, è assai importante. Tuttavia anche io lo offro forse senza il trattamento adeguato e in maniera molto divulgativa, senza scomodare Marx né altri, restando su un piano semplice, di modo che sia di facile lettura e a chiunque comprensibile.

C’è una narrazione che l’articolo precedente ha avuto il merito di sottolineare che è quella secondo la quale “la classe operaia non esiste più”. L’assurdità di questa affermazione è presto demolita dalla “prova degli oggetti”. Dal sapone al dentifricio alla stessa energia per i mezzi di locomozione tutto è prodotto ed è prodotto da qualcuno. Ma soprattutto la prova più evidente sta nel fatto che c’è ancora chi detiene i mezzi di produzione (una minoranza) e chi lavora per questa minoranza (una maggioranza). Sicuramente la classe operaia é mutata nella sua estetica, nel modo di vestire, etc…ma non nel suo essere tale e conseguentemente nella sua funzione storica propulsiva.
Ovviamente questa narrazione è assolutamente funzionale alla conservazione del sistema capitalistico che é ossessionato dal voler convincere i suoi servi che le cose vanno in un modo e non potrebbe essere diversamente, che le classi sociali esistono per natura e quindi devono continuare ad esistere, e soprattutto che la società è fatta di individui in competizione, e non di classi in lotta tra loro, ma di individui soli e atomizzati, ciascuno col proprio egoismo non conciliabile con quello altrui.

Questa narrazione – “la classe operaia non esiste più” – ha poi un altro effetto che è strettamente collegato ad un seconda narrazione a cui la prima si intreccia strettamente: “un giorno gli automi produrranno al posto dei lavoratori”. Questi due assunti, proposti assieme, creano un mix esplosivo il cui effetto immediato è la perdita dell’importanza del lavoratore nella produzione e la giustificazione ideologica per pagare sempre meno il lavoratore stesso, sempre più inutile e poco remunerativo rispetto alla macchina. La macchina allora entra in competizione con lavoratore stesso. Quando ripetiamo che il capitalismo è, a dispetto delle apparenze, un ostacolo al libero sviluppo delle facoltà umane, significa proprio questo: tutto questo discorso della macchina come nemica è assolutamente valido. È un dato di fatto. Ma perché la macchina deve arrivare ad essere nemica dei lavoratori (e quindi della maggioranza dell’umanità)? Questa domanda fa tremare gli ideologi del capitalismo più irriducibili.

 

Il dominio del futuro sul presente, quella stessa logica del progresso e dell’accumulazione senza fine che caratterizza il capitalismo, impone un futuro di macchine digitali e automi. La verità è però che non sappiamo se sarà così o meno. Quello che però possiamo constatare per certo è che aumenta a dismisura la distanza. Tra i lavoratori di un settore, tra settori di lavoratori, tra le macchine e gli utilizzatori sul posto di lavoro e nella società. Aumenta la distanza. E tutto (il potere capitalistico) diventa più decentrato e difficile da combattere, diventa più complicato organizzarci proprio per questa ragione: i lavoratori spesso non lavorano più nemmeno sotto lo stesso tetto.
Quello che ancora possiamo constatare è che se davvero come la narrazione vuole raccontarci il futuro è delle macchine digitali e degli automi vuol dire che hanno perso o che stanno perdendo: perché in un futuro simile non ci si può collocare nel mezzo, un futuro simile é un incubo al quadrato, una contraddizione evidente davvero a tutti e insopportabile se si rimane nel capitalismo,
ma una opportunità senza precedenti se invece quegli automi vengono socializzati e se si passa al socialismo.

Alla luce di queste considerazioni, non possiamo lasciare la “tecnofilia” nelle mani della propaganda padronale, non possiamo permetterci di essere meramente luddisti, dobbiamo dire che quei robot sono spaventosi e assurdi sì, ma solo perché usati per gli scopi capitalistici del profitto e inseriti in un modo di produzione capitalistico; dobbiamo dire che quei robot nel socialismo rappresenterebbero un vero progresso per l’umanità. Addirittura non sarebbe forse irragionevole pensare che se la propaganda padronale può permettersi oggi di portare avanti una narrazione di questo tipo, è proprio per via del bassissimo livello di coscienza collettiva, che si limita a crogiolarsi nell’incubo di un futuro in competizione con gli automi, anziché denunciare l’opportunità di questa prospettiva se solo si spezzassero una volta per tutte le catene del capitalismo.

Quest’argomentazione a favore della necessità della socializzazione dei mezzi di produzione, in questo caso degli automi, é veramente difficile da controbattere per i capitalisti e i loro ideologi, e a mio modo di vedere potrebbe essere per i prossimi decenni un punto cardine della nostra propaganda, la nostra narrazione, quella dalla parte di chi è sfruttato.

 

Matteo Iammarrone

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.