Manganelli, motoseghe, fogli di via e umiliazioni: nel silenzio tombale della Bologna estiva il frastuono della repressione si abbatte contro chi solleva la questione della devastazione ambientale. L’ipocrisia sul clima mette in imbarazzo le elites del nostro paese e del mondo intero: uniamoci e organizziamoci per vincere questa battaglia esistenziale!
Bologna, come spesso accade, costituisce un laboratorio di repressione nello scenario nazionale, rappresentando nel bene e nel male una sorta di anomalia in Italia per la storia dei suoi movimenti e per la persistente politicizzazione di fette sempre più minoritarie di popolazione, studentesca e non. In questo quadro è interessante il modo particolarmente violento con cui le lotte ecologiste e per la preservazione degli spazi verdi cittadini siano oggetto dell’attenzione di forze di polizia, sindaco e addirittura di ministri della Repubblica. Lo scorso 20 giugno, al Parco don Bosco, si sono viste scene che, in piccolo, ricordavano Genova 2001, con compagni e compagne mess* in pericolo di vita e trascinati con la forza (attraverso l’uso di motoseghe e manganelli) giù dagli alberi su cui si erano barricat* nel tentativo di difenderli dal disboscamento. Risultato: due fogli di via spiccati dalla questura sulla base di presunte pericolosità sociali, come se fossero stati gli sbirri a rischiare la vita con una lotta non violenta. Il 9 luglio scorso, invece, compagn* di XR hanno organizzato un’azione a Palazzo d’Accursio (sede del consiglio comunale) con “striscionata” e distribuzione di volantini per denunciare l’ipocrisia della politica climatica dei paesi del G7, in occasione del vertice tenutosi al Tecnopolo di Bologna e passato praticamente in sordina, denunciando implicitamente la cattiva coscienza dei rappresentanti dei paesi imperialisti che, pur rappresentando la minoranza della popolazione mondiale, continuano a causare la maggioranza delle emissioni totali a livello mondiale. La risposta della questura è stata, ancora una volta, di trascinare via decine di attivist* e, in particolare, di costringere una compagna a denudarsi e fare piegamenti davanti ad un agente in qualche luogo schifoso, nel tentativo di umiliarla ed intimidirla (un trattamento difeso vergognosamente dalla questura, affermando che si trattasse di “regolare procedura”).
La questione climatica, nervo scoperto del capitale
Reazioni violente e spropositate per minime azioni non violente e di pura comunicazione, silenzio generalizzato in merito al G7 sul clima e le tecnologie: questa impostazione segnala che i padroni e i loro sgherri (politici e sbirri) sono coscienti che, per quanto possano blaterare, non possono e non vogliono fare alcunché per arginare il cambiamento climatico prodotto dall’attuale sistema produttivo, nel nome del mantenimento dei profitti e dell’accumulazione capitalistica. Questo non deve sapersi, tanto meno deve essere all’ordine del giorno, perché significherebbe porre sul piano della discussione la necessità immediata di un nuovo sistema produttivo il quale, inaccettabile per chi trae la sua stessa esistenza da quello esistente, porterebbe a sollevare la questione di un processo rivoluzionario per costruirlo.
L’aumento medio della temperatura globale di due gradi annui sta già venendo superato; tale cifra è stata segnalata dalla comunità scientifica (e messa per iscritto negli accordi di Parigi del 2015) come una soglia invalicabile per evitare cambiamenti repentini e irreversibili, i quali provocherebbero nel medio periodo sconquassamenti in tutte le regioni del mondo e in ogni aspetto dell’ecosistema globale, dalla biodiversità all’aumento del livello del mare, mettendo a rischio interi popoli e regioni del pianeta che già oggi vedono un’emigrazione climatica sempre più forte. Proprio i paesi più ricchi, a cui capo stanno i grandi imperialismi del G7, pur rappresentando il 10% della popolazione mondiale, emettono il 52% di carbonio, e «l’1% della popolazione più ricca (circa 63 milioni di persone) si è reso responsabile del 15% delle emissioni cumulative e del 9% del bilancio del carbonio, più del doppio della metà più povera della popolazione mondiale».
La risposta tutta ideologica del G7 di Bologna, in continuità con la linea avanzata in meeting precedenti in giro per il mondo, contro cui hanno protestato i compagni di XR, è la proposta dell’utilizzo di una futuribile tecnologia verde come panacea di tutti i mali: ma tale tecnologia non si sa ancora bene quando sarà pronta e pertanto non risponde alla necessità immediata di ottenere cambiamenti strutturali a come organizziamo la nostra società ed il suo funzionamento, a partire dal sistema produttivo, senza trovare scuse per evitare di diminuire le emissioni e per salvare i profitti (a meno che non si voglia riesumare il nucleare, un’opzione che richiede ulteriore lavoro in senso di conseguimento di tecnologie futuribili). Su questi temi ed altri affini abbiamo affrontato, lo scorso anno, il ciclo di discussione Marx Nel Bosco, nell’ambito del circolo bolognese della VDL, cercando di fissare i termini della discussione sulla crisi climatica in un quadro di analisi sistematica della produzione (da come funziona a chi ne trae beneficio in termini di settori sociali) e delle sue conseguenze in termini di impatto ambientale: la borghesia, strutturalmente, non potrà mai proporre delle soluzioni credibili al cambiamento climatico da essa stessa prodotto, perché ciò significherebbe la sua necessaria autosoppressione. L’unica cosa che i padroni e i loro governi possono fare è spostare sempre più in avanti i termini temporali di presunte soluzioni, come nel caso di quelle avanzate in seno al G7, posponendo un problema che ormai è impellente e richiede misure drastiche oggi, non in un domani imprecisato: questo è il meccanismo ideologico-politico del metabolic shift messo in evidenza da Saito. Ai padroni la tecnologia interessa svilupparla solo nella misura in cui garantisce l’aumento dei profitti, e abbassare le emissioni non è profittevole, per ora. Da qui la violenza della repressione su chi mette in evidenza queste macroscopiche ipocrisie della borghesia.
Solidarietà e organizzazione: le chiavi per fare fronte alla violenza statale e vincere le nostre battaglie
Non possiamo perciò esentarci, come FIR-La Voce delle Lotte, dal dare tutta la nostra solidarietà, sia politica che materiale, all’assemblea del parco don Bosco di Bologna e a XR Bologna. Questa solidarietà però è consapevole di un elemento fondamentale: o la lotta climatica si estende alla classe lavoratrice, sviluppandosi su linee di massa ed andando ad intercettare i settori che più risentono degli effetti negativi dell’attuale impostazione sociale, e che al tempo stesso si collocano nel cuore dei processi che la rendono possibile, o ogni progetto di cambiamento del sistema produttivo rimane velleitario. A questo proposito è stato interessante il dibattito pubblico organizzato da XR al circolo Berneri di Bologna, e a cui noi abbiamo partecipato, proprio il giorno dopo l’assemblea dei lavoratori delle ferrovie in lotta organizzata da noi e dai compagni anarchici. Nel dibattito di quell’incontro si è parlato di come unirsi ai lavoratori, dicendo che la difesa del lavoro (e quindi delle produzioni inquinanti) non coincide con la difesa dei lavoratori, e che per abbassare le emissioni è innanzitutto necessario abbassare le ore di lavoro e i ritmi a parità di salario; oltre ad offrire elementi per pensare nell’immediato a quel riassetto strutturale di cui abbiamo disperatamente bisogno per frenare il disastro in corso, in quanto andrebbero a toccare ritmi di una produzione ormai fuori controllo e completamente incompatibile con le possibilità di ricambio ecologico di cui gli ecosistemi necessitano per sostentarsi e sopravvivere, le esigenze espresse in tali rivendicazioni sono comuni alla stragrande maggioranza dei lavoratori, a cominciare dai compagni in ferrovia, ad esempio, e per questo costituiscono un elemento chiave per mobilitare la nostra classe di riferimento, coniugando la lotta agli insostenibili ritmi di vita e di lavoro alla più ampia guerra ai padroni, contro la distruzione dello stesso pianeta terra, che non può più permettersi il sistema capitalistico.
Matteo Pirazzoli
Nato nelle terre dei Pico nel 1989, ha studiato economia a Modena e filosofia a Bologna. Attualmente è dottorando in storia della filosofia alla fondazione San Carlo di Modena.