La profonda fase di crisi che sta attraversando il capitalismo ancora una volta prende forma in una vertenza che interessa un colosso industriale che storicamente ha fatto da volano allo sviluppo dell’economia di mercato e della “libera concorrenza sleale” ,due elementi questi che alla fine si infrangono, con tutte le loro contraddizioni socio-economiche , sulle aziende stesse. È facile però constatare  come le conseguenze alla fine siano sempre le stesse, quelle che leggiamo da oltre 40 anni, storie fatte di ristrutturazioni, delocalizzazioni, precarizzazione del lavoro e licenziamenti, il tutto nel nome del profitto e a danno di chi lavora. Anche stavolta i nodi sono venuti al pettine e le contraddizioni di tale sistema  di produzione colpiscono i lavoratori , migliaia di lavoratori. Il campanello d’allarme era stato già lanciato lo scorso anno dalla stessa dirigenza Ericsson, la quale dichiarò con insolenza padronale la  soppressione di 3.900 posti di lavoro in Svezia entro la fine del 2017 e centinai di posti in Italia. L’azienda definí il provvedimento necessario ad assicurare la competitività di Ericsson. Con le stesse motivazioni si è avviata la procedura di licenziamento per 315 persone in Ericsson Tlc e 39 in IT Solutions & Services. Napoli, Roma e Genova saranno le più colpite. A quanto pare alla base dei motivi di tale scelta sarebbe la perdita della commessa da parte di Ericsson per la gestione della rete mobile congiunta di Wind e 3 Italia, che è stata aggiudicata invece dai cinesi di Zte Corporation. Per l’azienda tale decisione risponde alla necessità di incrementare l’efficienza e di adeguare le operazioni ai volumi di business per restare competitivi e garantire profittabilità. In pratica controbilanciare le perdite di mercato e quindi di profitto tagliando la spesa del personale, insomma ancora una svolta si scarica sui lavoratori la brutalità della competizione capitalista, su chi non ha colpe e non è responsabile di scelte gestionali. La stessa Ericsson naturalmente per disinnescare un po’ una bomba (già lanciata) riferisce di essere disposta a impegnarsi in un dialogo costruttivo con le organizzazioni sindacali al fine di individuare le migliori soluzioni. Quali siano però non è dato saperlo considerato che la soluzione economicista è stata preclusa a priori dalla stessa Ericsson.  Ed i sindacati nel frattempo che fanno ? Fermi da oltre un anno su tale questione, adesso si ricordano dell’emergenza occupazionale e si appellano a Calenda chiedendo che la questione venga risolta con un tavolo al Mise, bypassando quanto dichiarato invece dal  colosso svedese il quale aveva già precisato che non è possibile ricorrere a soluzioni meno dolorose, come i contratti di solidarietà e/o la cassa integrazione, posizione questa ribadita anche al tavolo svolto il 23 marzo presso il Mise stesso. È chiaro insomma che non è percorribile la strada concertativa, la sola però in grado di essere praticata dalle burocrazie sindacali confederali, per le quali invece la lotta di classe e la mobilitazione dei lavoratori sono ancora dei “perfetti sconosciuti”.

Ad ogni modo quello che è certo è che la maggior parte dei tagli colpirà la sede di Roma, che assisterà al licenziamento di 109 impiegati, 44 quadri e cinque dirigenti. Tagli anche a Genova (45 impiegati, 13 quadri e 3 dirigenti). Brutte notizie anche per la sede di Napoli che vedrà tagliata il 30% della forza lavoro tenuto conto del rapporto tagli/organico sede.
Ericsson spiega inoltre che la contrazione del mercato in Italia, la maggiore competitività sui costi, il trend di riduzione degli investimenti, rendono necessario il proseguimento delle azioni di efficientamento e di trasformazione finalizzato a mantenere la posizione di leadership dell’azienda in Italia. È ovvio che le motivazioni aziendali però non reggono laddove si sostiene addirittura che le ragioni che determinano l’eccedenza di personale non derivano da fenomeni congiunturali, ma strutturali e per questo motivo non possono trovare nemmeno applicazione, nella fattispecie, gli ammortizzatori sociali come atto risolutivo della crisi occupazionale. Queste dichiarazioni lasciano trasparire una duplice realtà: da un lato la volontà di negare la crisi congiunturale e sistemica del capitalismo (la crisi strutturale di tale azienda o ramo produttivo non è l’unica) e dall’altro la disperata necessità dell’Ericsson di attingere ad aiuti statali o solamente il bisogno di un ennesimo “piano marchionne” che calpesti ulteriormente i diritti dei lavoratori e le prerogative sindacali e contrattuali. C’è chi invece prospetta per i lavoratori il loro assorbimento nella stessa Zte che, dopo le aggiudicazioni, ha annunciato l’intenzione di  assorbire nel proprio organico fino a 2.500 dipendenti in Italia. Ma il colosso cinese per il momento non si è pronunciato nel merito né tanto meno sono previsti automatismi tali da garantire i posti di lavoro che andranno persi. In questo quadro drammatico quello che risulta incomprensibile è come in un ambito come quello di Ericcson, dove sviluppo e lavoro non mancano mai, possano esserci margini di crisi occupazionali così importanti, in un momento in cui anche le politiche dominanti investono nella cablatura delle città e predispongono piani ad hoc quale Agenda Digitale. A quanto pare il 16 Giugno è previsto uno sciopero generale, un momento importante per i lavoratori per rilanciare con forza avanzare le proprie rivendicazioni, un’occasione da non perdere e da sfruttare per far convergere le vertenze di lavoro contro lo sfruttamento del Capitale.

 

Paolo Prudente

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