Le notti in Costa Brava vanno avanti tutte uguali a se stesse, anche senza Niccolò, il ragazzo toscano che qualche giorno fa è stato massacrato di botte da altri tre giovani in preda ad un inspiegabile raptus probabilmente favorito da un mix di alcool e droghe. Il filmato diffuso dai media lo abbiamo visto quasi tutti. Quasi tutti conosciamo anche il nome della discoteca (che ora è stata chiusa) in località Lloret De mar. Quasi tutti abbiamo ben impresse nella mente e nel cuore le lacrime di suo padre disperato che ai microfoni del Tg1 cerca di sfogarsi di quel dolore incommensurabile amplificato dall’efferatezza e dall’insensatezza dell’intera vicenda che gli ha restituito il figlio defunto, vittima innocente di un nemico imprecisato e forse non banalmente identificabile solo nei tre aggressori.
Quello che a mio parere più sorprende dell’accaduto, infatti, ed è forse l’elemento che più fa indignare e rabbrividire chiunque abbia saputo di questa uccisione, è chiaramente l’indifferenza dei presenti ben visibile dal video che è circolato. Mi correggo: non si tratta di indifferenza. Ma oserei dire, di autentica complicità. Abbiamo appreso attraverso alcune interviste che gli amici di Niccolò avevano chiesto aiuto, invano. Tutti gli altri che non hanno prestato soccorso, non sono intervenuti per fermare le barbarie o non hanno nemmeno provato a chiamare qualcuno sono complici morali degli aggressori. Così come sono doppiamente complici i buttafuori per aver abdicato al loro ruolo di garanti della sicurezza interna al locale.
Si rimane sgomenti dinanzi a questa impassibilità complice di cui i più quella sera si sono fatti portatori. È ovviamente doloroso tentare di spiegare. Ma anche difficile e necessario. Alcuni ricorrerebbero al mantra di una generazione “senza valori”. Ma non può esistere una “generazione senza valori”. Esiste semmai una generazione che tende ad avere come valore più diffuso, come principale bussola dell’esistenza, un individualismo spietato che gli accusatori della “generazione senza valore” non hanno contribuito a spezzare, hanno fallito nel respingere prima che fosse troppo tardi e in molti casi hanno addirittura contribuito a formare. Ma anche questa considerazione, per quanto forse ci fornisca una fioca luce lungo il difficile sentiero della comprensione di una simile tragedia , è ancora semplicistica. Quella da cui vorrei provare a partire per riflettere è la considerazione seguente: il combattimento che quella sera è andato in scena nel ring improvvisato della discoteca riproduceva inconsapevolmente, dinamiche analoghe a quelle delle lotte tra gladiatori dell’età antica, quando la plebe romana tanto accarezzata da un Nerone “populista” si lasciava ammaliare da un po’ di panem et circenses. L’analogia regge soprattutto sul piano della spettacolarizzazione. Non è tanto perché la violenza in tv o su internet è “normalizzata” che lo spettacolo risultava tollerabile ai presenti, in quanto a mio parere non è tanto il contenuto che ha reso lo spettacolo non solo sopportabile ma addirittura desiderabile, ma la forma stessa: uno spettacolo estremo che, per quanto a pochi metri dai presenti, non li riguardava perché i presenti non solo in quel momento non erano probabilmente molto in sé a causa delle droghe e dell’alcool, ma in generale sono abituati a non essere totalmente in sé per via dello “stordimento da social” che contribuisce a far credere che tutto è estremamente distante, anche ciò che ci è spazialmente vicino, e a incoraggiare i cosiddetti “linguaggi dell’assenza”, piuttosto che quelli “in presenza”. Il mondo allora è tutto fittizio, posticcio. I suoi soggetti sono entità spersonalizzate e per questo nemmeno più umane: non possono dunque avere pietà né offrire solidarietà a chi non può soffrire e nemmeno morire. Realtà e spettacolo si confondono e nulla ci appartiene più. L’essere parte, finanche l’esserci ed essere presenti sulla scena di un simile crimine diventa qualcosa che non ci riguarda. Un altro dei tanti effetti speciali da cui siamo ogni giorno assuefatti.
Simili meccanismi, ovviamente, non sono affatto totalmente nuovi (abbiamo a tal proposito menzionato l’Antica Roma), ciò che invece è nuovo sono i mezzi “smart” e super sorridenti mediante i quali si ripresentano e vengono stimolati, mezzi come i social network che una simile tragedia, per quanto non li chiami direttamente sul banco dei colpevoli, ci rammenta essere in qualche modo coinvolti sia solo per la pervasività senza precedenti che li caratterizza e per il potere crescente che hanno non solo di controllare le nostre vite, ma addirittura di plasmare i comportamenti di massa trasformando un vigliacco pestaggio in un inevitabile (e forse anche piacevole) spettacolo. Educati all’inevitabilità dell’ingiustizia del mondo e delle ingiustizie sociali, anche le ingiustizie e le brutture vissute in prima persona vengono percepite come inevitabili. E non c’è rimedio all’impotenza. Tutto ciò che accade è perché deve accadere. A furia di ripetere questo mantra molti giovani ci stanno credendo per davvero. Noi però sappiamo che non è così.
Matteo Iammarrone.
Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.