Si è tenuta ieri a Bologna, presso gli spazi comunali gestiti dal collettivo Làbas, la prima assemblea nazionale dei rider*, i fattorini impiegati dalle diverse app che tramite internet ci consentono di ordinare a domicilio le pietanze di parecchie migliaia di aziende di ristorazione in tutto il paese. Tra rider e solidali, hanno partecipato oltre 100 persone, in larga parte giovani sotto i 30 anni, con abbondante copertura giornalistica della giornata, dimostrando l’attenzione pubblica già conquistata e il potenziale di allargamento e convergenza della lotta dei fattorini.

Un’assemblea convocata per confrontarsi sulla condizione dei rider oggi in Italia e in Europa, sui percorsi intrapresi nelle varie città contro la privazione di diritti della gig economy (parola-chiave dei padroni per definire hobby, lavoretti questo tipo di impieghi particolarmente precari e flessibili incentrati sulle nuove tecnologie, sulle app), sulle rivendicazioni messe in campo dai rider sino a oggi e su quali presupposti continuare la lotta contro i colossi delle app. Un percorso per ora caratterizzato dalla formazione di collettivi cittadini di fattorini, tra cui quello bolognese Riders Union Bologna, che stanno sempre più coordinandosi fra loro e coi fattorini di altri paesi europei.

 

I rider, tra “lavoro autonomo” e “gioco”

Lo sviluppo e la diffusione repentina dei servizi e delle piattaforme digitali organizzate col sistema delle app (quelle che scarichiamo dal cellulare e dagli altri dispositivi elettronici dagli store virtuali) ha avuto una ricaduta molto importante negli ultimissimi anni sul mercato della ristorazione, in Italia come nel resto d’Europa e in tantissime città in tutto il mondo: un numero in rapidissima crescita di aziende del campo della ristorazione (dai ristoranti alle pizzerie, dalle rosticcerie “classiche” ai kebabbari) ha esternalizzato il servizio di consegna a domicilio a un numero molto limitato di aziende perlopiù internazionali, a un oligopolio di app che ha organizzato e concentrato sotto di sé una quantità impressionante di fattorini (diverse migliaia solo in Italia)  che, connessi alla piattaforma di riferimento, cellulare alla mano col GPS attivo, macinano decine di chilometri al giorno in bici portando pranzi e cene da una parte all’altra delle città di tutto il mondo. Deliveroo, JustEat, UberEats, Glovo, Foodora… nomi sempre più noti alla massa dei consumatori.

La scarsa copertura delle leggi esistenti sul lavoro ha permesso a questi colossi della distribuzione di instaurare un regime di lavoro “informale”, condito da una neolingua (famigerata quella di Deliveroo) e da un ambiente di lavoro esplicitamente ludicizzato al fine di isolare, mettere in competizione e al contempo cullare i propri dipendenti nell’illusione di non star subendo uno sfruttamento brutale e una negazione su tutta la linea di diritti anche basilari, dati per acquisiti non solo dal movimento operaio ma persino dal senso comune di chi nemmeno concepisce l’esistenza delle divisioni in classi sociali della cittadinanza. Il tutto, coronato dalla mancanza di un contratto di lavoro subordinato, nonostante la possibilità di lavorare di fatto continuativamente per anni e anni per la stessa app a “tempo pieno”: una condizione di estrema precarietà, dove il log out, cioè la “sconnessione” come utente-rider della app, è teoricamente possibile in ogni momento. Proprio contro questa imposizione di uno status fasullo di “collaboratori autonomi”, 6 fattorini licenziati da Foodora a Torino avevano intentato una causa contro il controllo costante dei movimenti dei fattorini tramite GPS, la totale arbitrarietà degli orari di lavoro di fatto imposti dall’azienda, il mancato rispetto delle norme antinfortunistiche sul lavoro, il licenziamento arbitrario. Il giudice ha respinto, lo scorso 11 aprile, le accuse dei rider, confermando la versione della multinazionale a base tedesca che si rifiuta categoricamente di considerarli formalmente suoi dipendenti, e che fa spallucce sulla “casualità” del log out dei sei lavoratori in lotta, proprio dopo le mobilitazioni relative alla paga oraria.

Un momento dell’udienza al tribunale di Torino (Lapresse)
Un momento dell’udienza al tribunale di Torino (Lapresse)

 

La situazione italiana e europea: la nascita di collettivi di rider

L’assemblea di Bologna è stata senza dubbio un’occasione utile a registrare la situazione attuale di forte chiusura non solo delle app, ma anche della magistratura italiana rispetto alla situazione di lavoratori fantasma dei fattorini, “collaboratori autonomi” che però non hanno alcuna reale libertà di lavorare “autonomamente” né possono sognarsi di astenersi dal lavoro nei giorni festivi o quando le condizioni climatiche sono avverse: durante l’ultima forte tempesta di neve a Bologna, lo scorso autunno, solo uno sciopero improvviso dei rider ha convinto le app a sospendere il servizio per l’intera giornata.

L’apertura dell’evento, molto opportunamente, è stata riservata a due compagni che stanno conducendo la propria lotta come rider al di fuori dell’Italia.

Jerome Pimot, portavoce nazionale del collettivo CLAP di Parigi, ha esposto il processo di diffusione della lotta dei fattorini non solo nella capitale francese, ma anche a Bordeaux, Lione, Lille, con la progressiva presa di coscienza che non sarebbero state piccole battaglie isolate a permettere di conquistare saldamente migliori condizioni di lavoro, e che fosse necessario costruire insieme dei diversi rapporti di forza nei confronti delle app, mettendole in difficoltà anche sul piano della comunicazione nel momento dello sciopero: in questo senso, durante lo sciopero dei rider dello scorso 27 luglio sono stati picchettati diversi ristoranti francesi mettendo in atto forme di détournement [utilizzo dell’involucro formale di un concetto per criticare il concetto stesso] della retorica “giocosa” delle app, in un contesto dove i ristoratori stessi non si rendono conto del beneficio che le app ricavano dall’immane raccolta di dati consegnati tramite il sistema di ordini e consegne.

Pimot ha sottolineato, in chiusura, la diffusione molto positiva degli scioperi nell’arco di un solo anno: da singoli epdisodi di sciopero in sole 3 città europee in tutta Europa nel 2016, a giornate di sciopero diffuse in 40 città diverse in tutto il mondo. Lotte che, ha concluso il francese, possono rafforzarsi ancora di più passando dalla consapevolezza che le tecnologie e i potenti mezzi di comunicazione, approntati dalle grande aziende e usati anche per controllare e reprimere i lavoratori, hanno tutto il potenziale per diventare armi a doppio taglio nella lotta tra lavoratori e capitalisti.

All’intervento di Jerome è seguito quello di Daniele, lavoratore italiano del Collectif des coursier-e-s / KoeriersKollectief di Bruxelles, un collettivo partito con un’assemblea di soli 7 rider e alcuni solidali, cosa che ha reso impressionante l’assemblea bolognese agli occhi del compagn, e che è nato sulla base della rivendicazione del ritorno al pieno riconoscimento giuridico dei rider belgi come lavoratori dipendenti, condizione che fino al 2016 era in vigore nel paese e che è stata improvvisamente revocata dal duopolio delle app di food delivery presenti nel paese, Deliveroo e Uber Eats. La lotta dei rider belgi si è appoggiata largamente sul supporto dei sindacati esistenti, pur rimanendone esterna, potendo così essere molto più diffusa e conosciuta nelle sue campagne mediatiche, che hanno sortito effetti apprezzabili presso la massa dei consumatori che inizialmente non conosceva la situazione di app e rider e che ha invece mano a mano compreso lo stato di sfruttamento barbaro dei fattorini, costretti per legge a versare una quota fissa di 710 euro di contributi trimestrali allo Stato, indipendentemente dal reddito percepito, dovendo così “regalare” le prime 100 corse di ogni trimestre, essendo pagati a cottimo 7 euro la consegna (con estrema difficoltà, in Belgio come in Italia, si può arrivare a fare 10 corse in un giorno). Situazione a cui si aggiungeva la degradazione politica dei lavoratori insita nella retorica delle aziende, che hanno cercato in questi ultimi anni di far passare questo lavoro come fosse volontariato o un’attività di svago con un benefit economico: “Io non voglio fare lavoro volontario per dei milionari!”, ha esclamato Daniele, raccontando l’amara realtà di un lavoro a cottimo dove per sopravvivere è necessario fare 8-9 consegne al giorno, concentrandole nei picchi della domanda, cioè la sera e nei giorni di pioggia, quando le condizioni del traffico rendono ben più pericolosi i viaggi in bicicletta, e dove è possibile e frequente rimanere “in attesa” di consegne anche un’ora senza per questo essere minimamente retribuiti.

Rider in corteo a Parigi.

Sulla base di tale peggioramento delle proprie condizioni di lavoro e dell’esperienza di lotta maturata in oltre un anno, i rider di Bruxelles hanno adottato cinque punti rivendicativi: il riconoscimento dello stato di lavoratori dipendenti di Deliveroo; un salario minimo su base oraria; la verifica dei meccanismi degli algoritmi che fanno funzionare le app; un comitato permanente di confronto tra lavoratori e azienda; la fine dei licenziamenti arbitrari. Rivendicazioni che hanno assunto maggiore forza nel movimento operaio e nell’opinioni pubblica belgi, con una dinamica simile anche in Francia, grazie all’apertura di indagini e alla presa di posizione contro diverse pratiche ampiamente illegali delle app da parte dei rispettivi ispettorati del lavoro.

In chiusura, Daniele ha accennato, congiuntamente a Jerome, all’interessante iniziativa di 15 rider parigini che si sono associati in una cooperativi operaia indipendente, progetto che si sta provando a replicare a Bruxelles avendo come obiettivo quello di una paga netta oraria di 14 euro; esperienze e strumenti di auto-organizzazione che però non si sono basati sul depotenziamento degli scioperi, che hanno al contrario visto anche cento rider alla volta bloccare ristoranti fino allo spegnimento del servizio di ordini online via app.

 

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Agli interventi dall’estero sono seguite le tre sessioni dell’assemblea, dedicate rispettivamente a “pratiche di organizzazione e mutualismo tra rider”, “diritti e rivendicazioni verso le piattaforme” e alla costruzione del prossimo primo maggio come data di sciopero e mobilitazione a livello europeo, che vedrà i rider aprire il corteo cittadino a Milano.

Nella discussione sull’evoluzione dei collettivi e sulle loro pratiche, è emerso come un tratto comune delle esperienze organizzate dei rider in Italia (ma non solo) è quella di essere centrate su collettivi cittadini esterni alle sigle sindacali costituite, e però molto spesso ben collegati a realtà associative e mutualistiche dei vari territori, di modo da avere comunque a disposizione spazi per riunirsi, strumenti di integrazione del (mancato) eqiupaggiamento e addestramento dei fattorini, creazioni di momenti di socialità tra questi ultimi, che normalmente a fatica conoscono e prendono un minimo confidenza con i propri colleghi. Una situazione che generalmente non è il risultato improvvisato di mobilitazioni spontanee, ma il frutto di un lavoro politico cosciente, come descritto con molta chiarezza da un driver di Milano (dove operano i collettivi Deliveroo Strike Raiders e Deliverance Milano), di realtà che si sono interessate alla situazione del food delivery, che hanno preso contatto coi rider e che si sono inserite in questo contesto lavorativo, che è poroso in entrata come lo è in uscita, riuscendo a rompere una situazione di totale isolamento di questi lavortori, anche partendo dal semplice ritrovo e dalla discussione anche su problemi minimi e specifici su chat Whatsapp di colleghi, le quali già possono essere un problema dal momento che i quadri d’azienda delle app monitorano con ogni strumento a loro disposizione anche il minimo sintomo di insubordinazione al “giocoso” clima di armonia artificiale imposto ai dipendenti. C’è da notare che, volendo vedere vedere gli aspetti contraddittori di questa mancata sindacalizzazione “ordinaria”, la diffusione della mentalità per cui, rimanendo esterni ai sindacati e cercando di “utilizzarli” da fuori a proprio vantaggio per non farsi “inglobare da dinamiche più grandi di noi”, rischia di alimentare una modalità di lotta e un’ideologia fortemente limitate e schiacciate alla propria vertenza e alla propria categoria, senza sviluppare adeguatamente nella lotta pratica e nella presa di coscienza uno spirito di unità di classe che, solo, permette alle lotte dei lavoratori di rafforzarsi a vicenda, di consolidarsi e di darsi mano a mano mezzi organizzativi e scopi economici e politici più profondi e complessi.

Nel caso bolognese, il collettivo cittadino è nato dopo il contatto e l’ispirazione data dal collettivo Deliverance Project di Torino che già dalla fine del 2016 si è mobilitato contro le pessime condizioni di lavoro dei fattorini. Il percorso di informazione reciproca, di collaborazione e di unità nella lotta dei fattorini bolognesi (se ne stimano 300 in città, cifra fluttuante a seconda dei periodi) ha fatto emergere una quantità di condizioni legati alla generale situazione di sfruttamento selvaggio: dalla pericolosità dei viaggi, concentrati nei periodi di pioggia e nelle serate del fine settimana (che garantiscono una scalata più veloce del sistema interno di valutazione [“ranking“] che garantisce piccoli privilegi ai singoli) quando il traffico è più insidioso (senza copertura assicurativa!), alla sottrazione di denaro anche attraverso le cauzioni sistematicamente restituite solo in piccola parte, all’evidente violazione della privacy nei casi in cui gli ordini arrivavano ai cellulari dei fattorini anche quando non erano in “orario di lavoro”.

Rider in sciopero a Bologna.

Negli interventi che hanno trattato la situazione economico-politica del food delivery sono emersi spunti di analisi interessanti sull’oggettiva vicinanza, e quindi possibile convergenza sul piano contrattuale, tra rider e lavoratori di altre aree del settore più generale della logistica: come suggerito da Andrea, ex rider e ora facchino CAMST a Bologna, e da Giusepe di Deliverance Project di Torino, l’assunzione come dipendenti veri e propri sotto un contratto nazionale – perché non quello della logistica? – sarebbe un enorme passo in avanti sindacale e politico per i fattorini, specie se fosse conquistato costruendo un legame pratico con i lavoratori combattivi nei vari sindacati a prescindere dalla sigla e dal settore, senza appoggiarsi ai sindacati per questioni meramente giuridiche, logistiche e mediatiche. A maggior ragione quando lavoratori così “vicini” ai rider, i facchini della logistica, attraverso la propria lotta sono riusciti a rompere la cappa apparentemente insuperabile delle leggi anti-operaie come il Jobs Act (curioso, in questo senso, che non abbia suscitato un bel po’ di mormorii l’intervento di un dirigente UIL, sindacato che più firmatario di accordi e leggi-porcata non si potrebbe) e dei contratti (non) applicati. Anche perché, come ricordato da Andrea, non si dovrebbe scindere la partecipazione alla lotta più generale, politica, da quella sul posto di lavoro e per il contratto: un esempio evidente ne è il caso di Lorenzo “Db”, giovanissimo rider e militante anticapitalista modenese attualmente in carcere a seguito degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine a Piacenza lo scorso 10 febbraio.

Le evoluzioni politiche della mobilitazione dei rider sono evidenti anche a Bologna, dove l’amministrazione comunale Merola, PD, ha acconsentito a a firmare  una “Carta dei diritti dei lavoratori digitali” che fissasse una serie di rivendicazioni sulla base delle quali aprire dei tavoli sindacali con le varie app: copertura assicurativa, paga minima oraria, diritto alla privacy dei fattorini, manutenzione dei mezzi e forme di indennità in caso di maltempo… Chiaramente, tale carta non impegna per ora in alcun modo le app, ed è tutto da vedere come un’amministrazione anti-operaia al cubo come quella di Merola “costringerà” i colossi delle app a sedersi a tavoli sindacali con i giovani rider, specie in un momento dove, come riportato da un fattorino bolognese, JustEat, una delle piattaforme più presenti a livello nazionale e cittadino, sembri prepararsi a un’ondata di log out “politici”, avendo “assunto” ultimamente decine di rider in sovrannumero rispetto alle sue esigenze di consegna in città.

Sicuramente ai fini di un maggiore coordinamento dei rider in lotta in tutta Italia, è condivisibile la proposta di Angelo, rider di Milano, della scrittura collettiva e autonoma da parte dei rider di tutta Italia di una piattaforma rivendicativa condivisa, che possa integrare e anche superare quella già adottata dai rider bolognesi.

Un buon auspicio per la continuazione della mobilitazione dei rider è senz’altro quello espresso dall’avvocatessa dei fattorini torinesi, Giulia Druet, che ha invitato i lavoratori a non tenere mai basso il tiro, ma anzi a pretendere diritti “pieni” così come conquistati dal movimento operaio italiano nel secolo scorso, a pretendere la fine della propria “anomalia” come presunti collaboratori autonomi, ad acquisire diritti tramite la lotta, senza illusioni su sponde istituzionali amiche e soluzioni prettamente giuridiche.

*Termine poco amato dagli stessi “rider” proprio perché tendente a farli percepire come sportivi o oziosi a cui piace girare a lungo in bicicletta per le città, quando sono veri e propri lavoratori, (ciclo)fattorini con la mansione della consegna a domicilio degli ordini che pervengono tramite le app a migliaia e migliaia di ristoranti, pizzerie, rosticcerie etc.

 

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.