Con il caso della repressione al parco Don Bosco va in scena l’ennesimo atto della pantomima “green” del Comune di Bologna. La visione per la città, a firma PD, è in linea con la politica di tutte le altre forze amministrative della penisola, a prescindere dal colore dichiarato. Per implementare il cambiamento radicale di prospettiva di cui abbiamo bisogno, dobbiamo costruire una politica indipendente e rivoluzionaria.


All’inizio del 2024 i quotidiani hanno dato ampio spazio allo scontro tra la giunta comunale di Bologna (guidata dal Partito Democratico e sostenuta attivamente da Coalizione Civica, a sinistra), promotrice del limite di velocità a 30 km/h, e il ministro Salvini, contrario alla misura: questa polemica (come quella sul tram) dà risalto all’immagine di Bologna come “città più progressista d’Europa”, la cui veridicità sembra confermata proprio dai contrasti con un governo particolarmente a destra. Nei fatti, però, la giunta Lepore-Clancy ha poco da invidiare alla destra locale e nazionale. 

Questo avviene rimanendo pienamente nel solco della due precedenti amministrazioni, ossia quelle di Virginio Merola, di cui Lepore è stato assessore e alla cui opposizione si trovava invece Emily Clancy: turistificazione del centro storico (per gli esercenti più proficua di Fico, un progetto fallito miseramente dopo che per costruirlo erano stati sbancati 10 ettari di periferia); esplosione dei prezzi degli affitti, con conseguente espulsione dellə più poverə tra lavoratorə e universitariə verso l’estrema periferia e i centri abitati satelliti; sgombero di qualsiasi genere di spazio occupato, un tipo di realtà che si oppone alle due tendenze appena descritte (da cui però il Comune può recuperare parte del linguaggio e dell’estetica e tradurli in progetti ad esso affini, come nel caso del DUMBO o della “nuova” Tettoia Nervi, sempre a conservare la rivendibilità dell’immagine di una città all’avanguardia nell’interazione con esperienze di autogestione – dietro a scudo e manganello).

La crisi abitativa, causata dalla messa a valore della città in quanto polo turistico e universitario, accomuna Bologna, governata dalla sinistra PD, tanto alla Firenze di Nardella, della destra PD, quanto alla Venezia di Brugnaro, sostenuto da FdI, FI e Lega; il tratto distintivo della giunta bolognese è la determinazione nel perseguire una cementificazione su larga scala del territorio. In primo luogo, il passante, a sistema con altri cantieri nel resto della regione, essenzialmente dovrebbe consolidare il ruolo di Bologna come snodo tra nord e sud per il trasporto di merci e persone; un trasporto privato e su gomma di cui il passante riafferma la centralità esattamente nella fase in cui la transizione ecologica, architrave dell’immagine pubblica di Lepore, richiede il passaggio a quello pubblico e su rotaia. La centralità dell’automobile è d’altra parte connaturata al tessuto produttivo emiliano-romagnolo, composto da distretti industriali le cui imprese forniscono componentistica alle multinazionali europee dell’auto (soprattutto tedesche). L’industria automobilistica e lə politicə che non ne mettono in dubbio il potere economico sono dunque ostacoli da superare per ottenere una mobilità socialmente equa ed ecologicamente sostenibile. In secondo luogo, il caso delle scuole Don Bosco mette in evidenza che, al netto della retorica verde, la giunta nella pratica subordina l’utilità sociale e ambientale a una contabilità economica riduttiva: la decisione di demolire il plesso scolastico e ricostruirlo a pochi metri, abbattendo parte degli alberi del parco, è stata presa perché meno costosa della ristrutturazione dell’edificio esistente. Il comune, inoltre, su questo punto come sul passante, di fatto non è aperto al dissenso; anzi, come dimostrano i violenti e reiterati tentativi di sgombero del presidio solidale (che resiste da mesi all’interno del parco) e l’abbattimento irresponsabile degli alberi che il presidio ha difeso e continua a difendere, la repressione è norma consolidata nella prassi politica di questa amministrazione.

Le evidenti contraddizioni politiche del “meno peggio” si manifestano con clamore nella dinamica della crisi ecologica: dietro alla retorica di miglioramenti graduali e responsabili si cela il bisogno di mantenere stabili gli interessi dei potentati economici che per anni hanno speculato sulla nostra salute e sulla vivibilità dei nostri contesti di esistenza, conducendoci a questa situazione; a Bologna, come in tutta Italia, dobbiamo cominciare a pensare ed agire fuori dal recinto di un possibile che si materializza in manganellate, cemento e trasporto privato “sostenibile”; è necessaria un’alternativa socialista radicale al sistema di potere del PD e delle sue appendici, espressione degli interessi dellə proprietariə e delle burocrazie sindacali e cooperative. Un’alternativa che metta al centro gli interessi dellə verə abitanti della città, lə lavoratorə, studentə e migrantə, e che da essə sia costruita attivamente e consapevolmente; che persegua l’utile sociale, non il profitto privato, garantendo, attraverso programmi pubblici supervisionati dalla cittadinanza, il diritto all’abitare, alla mobilità, allo studio, a un ambiente salubre. 

Giorgio Boccola

 

Nato a Bologna nel 1998, si è laureato in lettere classiche, e lingue e mercati dell'Asia a UniBo. Studia lingua e civiltà giapponese a Ca' Foscari, si interessa di filosofia antica, teoria marxista, economia politica internazionale e filosofia della scienza da una prospettiva ecologica.