In linea di massima il tema della pornografia, a livello mediatico e sociale, viene spesso ricondotto alla battuta rozza, all’accenno malizioso, ed oltre a ciò persiste una forma di ipocrita morigeratezza nel parlarne.  Curiose sono le analogie con il noto film di Alberto Sordi “Il comune senso del  pudore” del 1976, nel quale si delinea al meglio l’immagine di un’Italia profondamente bigotta che di soppiatto coltiva i propri “vizi proibiti”. Nondimeno i tempi dei giornalini e delle uscite furtive nei cinema a luci rosse appartengono a un’epoca che appare oggi lontanissima: l’approdo della pornografia sul web ha fatto piazza pulita.

Stiamo parlando di un’enorme quantità di materiale completamente gratuito, è sufficiente connettersi per accedervi; l’80% del traffico dei siti porno mondiali risponde ad un’unica compagnia, la MindGeek (1). Si presenta come una semplice società di marketing online, ha sede legale in Lussemburgo, dichiara un fatturato annuo di mezzo miliardo di dollari ma il giro di affari è molto più ampio, nascosto dietro centinaia di mutevoli società offshore. Il modello di business è lo stesso dei colossi del web (Facebook, Google, Apple ecc.) pertanto ogni ricerca, ogni visualizzazione, è memorizzata; in pratica sono i click a generare ricchezza, ma proprio in questi siti è elevato il rischio di incappare in micidiali virus capaci di trafugare i nostri dati personali.

Lo scorso anno è uscito un film-documentario che offre molti spunti di
riflessione sull’escalation del porno online, s’intitola “Pornocracy: le nuove multinazionali del sesso” (2) è diretto da Eloïse Becht, in arte Ovidie, ex pornostar che in seguito ha intrapreso la carriera di regista, oltre a quella di giornalista e scrittrice. Secondo lei “L’industria del porno è stata presa dalle grandi aziende tecnologiche gestite da manager con basi in paradisi fiscali. Non hanno relazioni dirette con il porno, non seguono le riprese, non incontrano le performer, ma succede come in altri settori: ‘uberizzazione’ della forza-lavoro con enormi piattaforme che non hanno alcuna considerazione dei performer”. In effetti il capitalismo, che vive del consumismo e delle potenzialità della rete,
produce un’entità dei cui vertici si ignora praticamente tutto.

Tra filiali in paradisi fiscali, hedge funds di Wall Street che hanno interessi diretti e performer che ricevono soldi da banche del Sudafrica ce n’è per tutti i gusti, soprattutto c’è uno sfruttamento barbaro privo di scrupoli che per soddisfare le ricerche del pubblico impone ai perfomer pratiche sempre più umilianti. “Il quadro finale – osserva Ovidie – è quello, ultraliberale, di un capitalismo selvaggio, che disprezza lo stesso lavoro con cui si arricchisce. Se ci si pensa bene, Mindgeek è un po’ la Monsanto del porno”. Parole incontestabili, al netto del fatto che il capitalismo è un sistema intrinsecamente basato sullo sfruttamento e sulla degradazione del lavoro umano e non solo nella sua fase neo – o “ultra” – liberale (pur essendo vero che negli ultimi trent’anni le condizioni dei lavoratori sono peggiorate in ogni dove).

Analizzando i numeri del sito più famoso al mondo (anch’esso risponde alla Mindgeek) ovvero Pornhub si può comprendere la portata del fenomeno: nel 2017 Pornhub (3) ha avuto 28,5 miliardi di visitatori totali (nel 2016 erano stati 23 miliardi) che hanno fatto 24,7 miliardi di ricerche, che vuol dire circa 800 al secondo; il peso dei video guardati è stato di oltre 10 milioni di gigabyte, significa che ogni cinque minuti viene gestita una mole di dati pari a quella contenuta nei 50 milioni di libri della New York Public Library.

Ma questa diffusione abnorme di materiale genera per forza di cose degli effetti collaterali altrettanto pesanti, a tal scopo sono presenti sul territorio nazionale strutture come la S.I.I.Pa.C.* che si occupano, fra le altre, di curare le persone affette da pornodipendenza. Secondo il Dottor Cesare Guareschi (4), psicologo e fondatore della struttura “I pornodipendenti hanno il continuo bisogno di aumentare la mole di materiale da osservare per ottenere un livello sempre maggiore di eccitamento sperimentato in precedenza. Il senso di colpa che ne
deriva è altissimo, spesso legato a conseguenze quasi tragiche sull’autostima, ansia e depressione si alternano in continuazione”.

L’incredibile facilità di accesso a determinati contenuti espone inevitabilmente moltissimi adolescenti e pre-adolescenti poiché in larga misura lo smartphone è il mezzo più utilizzato. Nell’età dello sviluppo è difficile riconoscere l’infingimento che si cela dietro questa tipologia di materiale, oltretutto il nostro Paese rientra (assieme a Polonia, Bulgaria, Lituania, Cipro e Bulgaria) fra quelli che non rendono obbligatoria l’educazione sessuale nelle scuole. Ancora oggi a prevalere è l’oscurantismo generato da un intero ambiente culturale politico e religioso che vanifica ogni tentativo di introduzione per legge dell’educazione sessuale nelle scuole; indicativo in questo senso fu il
grande clamore dell’opinione pubblica nei confronti di quella che è passata agli annali come la “teoria gender”.

Rispetto agli altri paesi europei c’è un gap imbarazzante, basti pensare che in Olanda l’educazione sessuale inizia a 4 anni e finisce a 15, in Danimarca alcune lezioni vengono affidate a lesbiche ed omosessuali per approfondire tutto lo scibile in materia, in Francia viene trattata obbligatoriamente anche la prevenzione dell’Hiv mentre in Italia il problema non viene nemmeno posto in essere. Gli effetti della notevole confusione e ignoranza sessuale favoriscono l’incrementarsi del sessismo, in quanto nelle rappresentazioni pornografiche le
attrici sono ridotte a semplici “contenitori” (oggetti) per l’uso sessuale e
l’abuso da parte degli uomini, e che la narrazione si forma solitamente intorno al piacere del maschio come unico obiettivo dell’attività sessuale, con le donne mostrate spesso in un ruolo subordinato.
Peraltro da uno studio pubblicato dal britannico Guardian (5) si evince che ben l’88% dei filmati scansionati conteneva scene di aggressioni fisiche, ciò non può che offrire una visione assolutamente distorta della sessualità, in particolare ai soggetti privi delle conoscenze necessarie.
La pornografia è un argomento da analizzare in tutte le sue sfaccettature, con risolutezza. Il proliferare delle problematiche legate ad essa intaccano la società in vari modi, snobbare l’intera questione non risolve alcunché. Grazie alla rete il livello di profittabilità è cresciuto a dismisura, in egual misura degli abusi, senza dimenticare i gravi disturbi fisici e psichici cagionati dalla continua fruizione di video hard. Approfondire l’argomento aiuta soprattutto a portare ad un livello più alto la discussione e in seconda battuta accelera l’estinzione di inutili tabù.

Roger Savadogo

NOTE

(1) https://www.ilpost.it/2014/10/27/mindgeek-video-porno-monopolio/
(2) https://www.lejdd.fr/Medias/Ovidie-devoile-la-face-obscure-des-multinationales-du-porno-
839758
(3) https://www.ilpost.it/2018/01/10/pornhub-2017/#steps_14
(4) https://www.youtube.com/watch?v=7bEBkqU3rC0
(5) https://www.theguardian.com/commentisfree/2016/aug/04/porn-as-sex-education-acultural-
influence-we-can-no-longer-ignore
*Società Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive

Nato a Venezia nel 1988, vive a Brescia. Operaio, è studioso e appassionato di sottoculture giovanili, ultras e skinhead in particolare.