In questi giorni il governo pressato dall’ascesa della seconda ondata della crisi sanitaria causata dal diffondersi del Covid 19 e da una crisi di governo deve anche affrontare le questioni nate attorno alle difficoltà dell’istruzione pubblica, tra didattica a distanza, chiusura delle strutture scolastiche e incertezza sulla loro riapertura. Pubblichiamo un articolo del giornale militante, gemello della Voce delle Lotte, Revolution Permanente che descrive la situazione in Francia ad opera del compagno Paul Morao che indica evidentemente che, nonostante una situazione generale differente (la chiusura delle scuole in Francia non è ancora avvenuta in ampiezza come in Italia) i problemi di fondo sono gli stessi, come pure l’incapacità del governo di gestire la situazione di crisi e di dotarsi degli strumenti adeguati per affrontarla, dato che andrebbero a cozzare con gli interessi dei grandi proprietari e della stabilità del governo.


Mentre Castex annuncerà oggi delle nuove misure, le scuole dovrebbero rimanere aperte. Ora, se il governo non intende privarsi “dell’asilo nido del MEDEF” (Medef: la Confindustria francese), l’assenza di misure adatte e di mezzi supplementari oltre alla recrudescenza dell’epidemia, e soprattutto della nuova variante più contagiosa, fanno delle scuole il focolaio di una potenziale catastrofe.

Per il governo, il nido del MEDEF non deve chiudere che in ultima istanza

Mentre Jean Castex annuncerà delle nuove misure questo giovedì, la pressione aumenta sull’esecutivo per ciò che riguarda la scuola questi ultimi giorni.

Mentre l’epidemia è in forte ripresa – si contavano martedì 19 753 nuovi casi e 362 morti – e che la variante più contagiosa continua a diffondersi in Francia, dove rappresenterebbe attualmente l’1% dei test positivi, aumenta la preoccupazione che le scuole possano costituire un focolaio epidemico maggiore. «Ciò che avviene in Inghilterra rischia di succedere anche a noi. Il problema non è se ci succederà, ma quando» non esita ad affermare così su RTL martedì Anne-Claude Crémieux, professoressa di medicina specialista di malattie infettive all’ospedale Saint-Louis di Parigi. Ebbene, in un tale scenario, le scuole potrebbero costituire dei clusters che accelerano la diffusione del virus.

Nonostante questa dinamica, il bussiness as usual continua a predominare dalle parti del governo. Giovedì scorso, Jean Castex è stato interrogato sulla questione delle scuole dopo la sua conferenza stampa. Il Primo Ministro aveva in quel momento spazzato via la prospettiva della loro chiusura, rimandando la questione a più tardi spiegando: «Bisogna che la situazione sanitaria sia veramente gravissima per chiudere le scuole”. La sera stessa, Olivier Véran era totalmente in accordo con il Primo Ministro a proposito delle mense scolastiche su BFM TV, valutando che non vi era luogo per pensarne una chiusura. In fine settimana, è stato il turno di Jean-Michel Blanquer di prendere posizione spiegando domenica su RTL: ”La nostra bussola, è di dire che l’ultima cosa che ci sarebbe da chiudere in caso di inasprimento delle misure è la scuola”.

Per rivendicare questa scelta, il governo si nasconde, dall’inizio della crisi sanitaria, dietro a due argomenti. Per prima cosa, il debole rischio di contagio all’interno degli edifici scolastici, essendo considerati i bambini meno contagiosi degli adulti, un dibattito che è ancora lontano dall’essere risolto nei fatti, e in particolare dopo l’apparizione della nuova variante del virus, più contagiosa. In seguito, la difesa degli interessi degli alunni: «La chiusura delle scuole ha delle conseguenze abbastanza drammatiche per i bambini, in particolare per quelli più fragili» spiegava così martedì Alain Fischer su France Inter. Nei fatti, la chiusura delle scuole costituisce una misura drastica le cui conseguenze sono profonde sugli allievi, ed in particolare gli allievi dei contesti popolari. Ma se il governo rivendica l’apertura delle scuole, sembra chiaro che è meno per l’assenza di rischio o per amore della pedagogia che per una preoccupazione economica. Come dall’inizio dell’epidemia , l’apertura delle scuole riveste un’importanza economica fondamentale poiché queste ultime giocano il ruolo di “asili nido di Confindustria”, facendosi carico dei bambini i cui genitori lavorano.

 

Al di là di chiusura e apertura: quali mezzi e quale piano per la scuola in periodo di crisi sanitaria?

Come prova dell’ipocrisia del governo, mentre pretende di mantenere le scuole aperte, il governo rifiuta di ascoltare il personale che esige dei mezzi all’altezza per applicare dei protocolli ambiziosi, estendendo per esempio i mezzi gruppi riservati per il momenti solo ai licei, e ottenuti con la mobilitazione. In piena ripresa dell’epidemia, e mentre continuano ad apparire nuovi clusters nelle scuole – come nella scuola Simone Veil di Avignone, rimasta aperta nonostante la contaminazione di sette persone del personale – Jean- Michel Blanquer non esitava così ad annunciare ai sindacati la settimana scorsa che il protocollo sanitario non sarebbe stato rinforzato. Questo rifiuto rientra nella politica di lungo corso di gestione di austerità del governo, che altro non è che il rovescio del suo orientamento pro-padronale e di miliardi versati alle imprese.

Ora, al di là dell’apertura o della chiusura delle scuole, è oggi che deve essere posta la questione dei mezzi che permetteranno di fronteggiare queste situazioni. Così, in assenza di misure all’altezza, l’apertura delle scuole ad ogni costo minaccia la salute di migliaia di famiglie. Parimenti, l’assenza di misure che permetterebbero di preparare un’eventuale chiusura rischia, come durante il primo lockdown, di far sprofondare il personale dell’educazione e gli alunni in una situazione critica. In questo senso rivendicare ad ogni costo l’apertura delle scuole non ha senso, non più che chiederne la chiusura. L’apertura o la chiusura delle scuole devono poter essere previste in funzione dell’evoluzione epidemica, ma a condizione di disporre di mezzi in grado di fronteggiare queste situazioni.

È proprio quello che puntualizzano le direzioni sindacali dell’istruzione in un comunicato unitario (CGT, FSU, CFDT, SNAL, SNCL, SUD, UNSA) del 13 gennaio 2021: «Durante il suo punto sanitario, il Primo Ministro ha dichiarato che solo una situazione degradata « all’estremo » giustificherebbe una decisione di chiusura delle scuole e degli edifici scolastici. Le organizzazioni sindacali condividono la preoccupazione del mantenimento dell’apertura dei luoghi scolastici. Tuttavia esse mettono in allerta sulla necessità di anticipare l’insieme degli scenari. La messa in opera di una protezione rinforzata deve essere pianificata già da ora. Il non rimescolamento degli allievi, il funzionamento delle mense, l’aerazione delle sale, i testi su larga scala, l’isolamento dei casi positivi e dei casi contatto e la sistemazione dei locali devono far parte del piano preparato”.

Solo che, dietro a queste buone intenzioni, le direzioni sindacali non propongono alcun piano di battaglia. La giornata di sciopero annunciata per il 26 gennaio, se ha il merito di esistere, fa parte soprattutto di un’iniziativa di routine di mobilitazione intorno alla questione dei salari e delle assunzioni. Delle domande legittime, ma insufficienti in un contesto di crisi sanitaria, aspetto per cui nessun’altra prospettiva se non la preparazione di un piano da parte del governo non è contemplata! Peggio ancora, evocando la pseudo «preoccupazione del mantenimento dell’apertura dei luoghi scolastici» da parte del governo senza mostrare i suoi fondamenti e contraddizioni, contribuiscono ad alimentare il discorso dei Blanquer e dei Macron, che si ridipingono in difensori di una scuola che non cessano di attaccare. Eppure nel contesto della crisi sanitaria, hanno mostrato da quasi un anno che l’epidemia non aveva in nessun caso sconvolto la loro politica di austerità per la scuola. E, all’inverso, i professori hanno dimostrato la loro capacità di disegnare da loro stessi i contorni di un funzionamento accettabile sia da un punto di vista sanitario che pedagogico. Nel novembre scorso, la mobilitazione del personale delle scuole secondarie e l’imposizione di protocolli sanitari alternativi, malgrado i loro limiti, ha mostrato così che era possibile battersi per imporre dei protocolli all’altezza. E se la vittoria non è stata che molto parziale ciò è dovuto all’assenza di una volontà da parte delle stesse direzioni sindacali di ascoltare il movimento per strappare delle concessioni di una certa ampiezza.

Se non chiude le scuole, Jean Castex potrebbe annunciare questo pomeriggio (14 gennaio, ndr) la chiusura delle mense scolastiche. Ed anche qui, ci sta molto da scommettere che nessuna misura ministeriale sarà presa per rimpiazzare questi pasti. Nel qual caso la chiusura delle mense equivarrebbe ad una chiusura effettiva per numerosi edifici, poiché molti studenti si troverebbero nell’impossibilità di consumare i pasti al di fuori dell’edificio. Così, sarà quasi sicuramente agli attori che si trovano in campo, al livello del loro edificio, di trovare i mezzi per assicurare un pasto sostitutivo agli studenti, in condizioni difficilmente accettabili tanto per gli allievi che per il personale (pasto freddo in cortile? In classe con il divieto di uscirne?). Non solo non c’è nulla da aspettarsi da questo governo, ma la sua politica ci porta alla catastrofe. I lavoratori dell’educazione lo sanno, gli mancano attualmente un piano per mettere fine a questa situazione e imporre un’altra gestione sanitaria, che sono per lo più in grado di concepire ma anche di imporre attraverso la lotta.

 

Paul Morao

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