Il movimento in corso in Serbia continua senza sosta dopo quasi tre mesi di mobilitazione. Gli studenti continuano a occupare la maggior parte delle università del paese e venerdì scorso settori più ampi della società hanno scioperato per esprimere il loro sostegno agli studenti e sfidare il regime. Una prima vittoria è stata ottenuta con le dimissioni del primo ministro Miloš Vučević.
Il movimento di rivolta iniziato dagli studenti dopo il crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad, che ha ucciso 15 persone lo scorso novembre, è ancora in pieno svolgimento. Le manifestazioni stanno diventando sempre più massicce, e non solo nelle grandi città come Belgrado, Novi Sad e Niš, ma anche in città di medie dimensioni come Valjevo, Sombor e Zaječar, segno che il movimento sta trovando eco non solo nelle aree urbane ma anche nelle campagne.
Al di là dello scandalo dell’incidente di Novi Sad, che ha scatenato un’immensa rabbia e indignazione nella società, la rivolta degli studenti esprime qualcosa di più profondo: una protesta contro tutta una dannosa eredità di privatizzazioni, attacchi alle condizioni di vita e ai diritti dei lavoratori e delle classi popolari, disuguaglianze e ingiustizie che non lasciano presagire un futuro auspicabile per i giovani o per il resto dei settori più svantaggiati della società serba. È per questo che la lotta degli studenti è trova solidali un’ampia gamma di settori della società, oltre ad aprire una crisi politica e sociale che potrebbe sfuggire di mano e minacciare i profitti della classe capitalista. Molti parlano di lotta per “una società più giusta”. Tutto un programma.
Una giornata di sciopero (quasi) generale
Venerdì 24 gennaio, in risposta a un appello degli studenti mobilitati, sono iniziate azioni di sciopero in tutto il paese. Anche se questa mobilitazione ha assunto la forma di “disobbedienza civile”, è stato un primo passo verso il tentativo di indire uno sciopero generale. Oltre agli studenti, agli avvocati e agli insegnanti già in sciopero, si sono aggiunti gli operatori culturali e sanitari. I lavoratori del cinema hanno aderito allo sciopero, in particolare quelli di una delle più grandi catene cinematografiche del Paese, che non hanno aperto le porte, non solo nelle grandi città ma anche nei centri più piccoli. Anche i teatri, le librerie, i caffè e i ristoranti si sono dichiarati “in sciopero” per tutta la giornata di venerdì (in questi settori sono stati piuttosto i padroni a chiedere di sostenere il movimento, il che pone alcune grandi contraddizioni), così come i lavoratori della RTS, l’emittente pubblica che serve la propaganda del governo.
Lunedì 27 gennaio, gli studenti hanno nuovamente dato una grande dimostrazione di forza bloccando il nodo stradale dell’Autokomanda, uno dei più importanti della capitale. In uno spirito caloroso e amichevole, gli studenti hanno deciso di rimanere lì tutta la notte da lunedì a martedì. Sono stati predisposti rifornimenti di acqua e cibo per mantenere gli studenti, con l’aiuto dei lavoratori che si sono uniti al blocco dopo il lavoro. Questa è una dimostrazione della grande solidarietà che circonda il movimento, ma anche delle forme di auto-organizzazione che si stanno sviluppando.
Gli studenti mobilitati denunciano la graduale privatizzazione dell’istruzione superiore attraverso l’aumento delle tasse universitarie, ma anche la pressione e l’ansia che questa situazione genera in loro. La questione è particolarmente sentita dagli insegnanti universitari e da quelli delle scuole primarie e secondarie. Sabato 18 gennaio, 4.000 di loro hanno aderito allo sciopero e più della metà delle scuole del Paese ha scioperato a sostegno degli studenti mobilitati. Il governo, consapevole della potenziale alleanza tra studenti e insegnanti, ha agito tempestivamente per bloccare sul nascere la mobilitazione dei secondi offrendo aumenti salariali, che alcuni sindacati hanno accettato.
Ma mentre le manifestazioni si diffondono in tutto il Paese, gli studenti mobilitati si trovano sempre più spesso ad affrontare una serie di minacce, da parte di uomini incappucciati e armati di coltelli, ma anche dalle forze di repressione che non esitano a contattare, interrogare, picchiare e arrestare gli studenti. Ad esempio, la Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado è stata attaccata da un gruppo organizzato durante la commemorazione delle vittime del crollo. Tuttavia, anche se il governo sta reprimendo i manifestanti quotidianamente, per il momento il livello di repressione è rimasto relativamente moderato, poiché Vučić sa che un’eccessiva repressione potrebbe radicalizzare il movimento e accelerare la fine del suo governo.
Possiamo quindi constatare che il movimento è sostenuto da settori molto diversi della società. Lo sciopero di venerdì ha dimostrato che anche i settori urbani della cultura, della ristorazione e, più in generale, delle piccole imprese e dei negozi, sono interessati dalla mobilitazione e si stanno unendo agli studenti. Tuttavia, nonostante i numerosi appelli e le azioni degli studenti nei confronti del movimento operaio, la maggior parte di quest’ultimo non ha preso parte attivamente al movimento, o addirittura rimane passiva. Le principali centrali sindacali rimangono strettamente legate allo Stato e ai vari governi in carica, il che rende ancora più difficile la partecipazione diretta e organizzata della classe operaia.
Tuttavia, alcuni settori d’avanguardia – come i lavoratori dell’energia, che chiedono di soddisfare le richieste degli studenti e allo stesso tempo avanzano le proprie – hanno scioperato venerdì scorso e manifestato. Questa settimana è stato il sindacato dell’azienda Zastava, che fa parte della grande industria degli armamenti, a unirsi agli studenti nella lotta per una “società più giusta”.
Da questo punto di vista, possiamo dire che il movimento studentesco serbo sta gradualmente cercando di recuperare la sua tradizione di unità con il movimento operaio. Costruire un’alleanza di questo tipo sarebbe profondamente progressista e sarebbe un incubo per il governo e i datori di lavoro. Ma sarebbe anche un modo per strappare la vittoria a Vučić e limitare l’influenza di settori della piccola borghesia, dei piccoli imprenditori e dei partiti liberali di opposizione.
Il governo in subbuglio
Di fronte alla portata massiccia delle manifestazioni, il presidente Vučić ha annunciato l’organizzazione di una “contro-riunione” il giorno stesso dello sciopero nella città di Jagodina, proprio nel centro del Paese. Nel tentativo di imporre un equilibrio di potere di fronte alle manifestazioni, il partito di Vučić ha organizzato bus navetta da tutto il Paese per portare il maggior numero possibile di persone al luogo dell’incontro, al fine di dimostrare che il presidente gode ancora del sostegno della popolazione. Nel suo discorso alla riunione, Vučić ha nuovamente attaccato gli studenti e, più in generale, tutti i settori mobilitati, affermando che “la Serbia è sotto attacco dall’interno e dall’esterno”.
Prima di questo incontro, il Presidente aveva già proposto in un discorso televisivo di indire un referendum per decidere se rimanere al potere o essere messo sotto accusa. Ma tale iniziativa non può essere organizzata dal Presidente stesso: spetta ai parlamentari raccogliere almeno 67 firme per richiedere un referendum consultivo. Questo è un tentativo del governo di incanalare il movimento attraverso le urne, rivelando l’ansia dei leader serbi di fronte alla portata del movimento.
Martedì 28 gennaio, il primo ministro Miloš Vučević ha rassegnato le dimissioni per “evitare nuove complicazioni e non aumentare ulteriormente le tensioni nella società”. Anche il sindaco della città di Novi Sad si è dimesso di fronte alle pressioni della strada, affermando che “la stabilità e l’allentamento delle tensioni e la cessazione di nuove divisioni nella società sono la condizione essenziale per il progresso e lo sviluppo di Novi Sad e il miglioramento della vita dei nuovi cittadini”.
Il fatto che i politici direttamente coinvolti nella tragedia di Novi Sad si siano dimessi è un’ammissione di debolezza da parte del governo, che non farà piacere al movimento di protesta. Il sindaco di Novi Sad e il primo ministro saranno presto sostituiti da politici altrettanto corrotti che continueranno le politiche neoliberiste degli ultimi trent’anni. L’attuale mobilitazione non è nata solo per far cadere delle teste, ma come conseguenza di – e in risposta a – un intero sistema di sfruttamento e miseria che si è instaurato nel paese dopo la dissoluzione della Jugoslavia.
Una nuova generazione di ribelli
I giovani mobilitati oggi in Serbia non hanno conosciuto altro che il capitalismo più aggressivo e trionfante dalla sanguinosa dissoluzione della Jugoslavia nell’ultimo decennio del XX secolo a questa parte. Molti sono figli delle generazioni che si sono rivoltate contro il regime dell’ex presidente Slobodan Milošević negli anni ’90, in un contesto di crisi economica e sociale, ma anche segnato dall’interferenza diretta delle potenze imperialiste. La rivolta si inserisce nella storia recente della Serbia e rappresenta la continuazione della lotta delle generazioni precedenti.
Le ragioni della mobilitazione vanno ben oltre l’incidente di Novi Sad. Riflettono le conseguenze sociali ed economiche di diversi decenni di restaurazione capitalista, privatizzazioni e corruzione che hanno favorito una piccola minoranza di capitalisti ultra-ricchi. Un sistema che sta anche distruggendo l’ambiente e che, in un contesto di tensioni nazionaliste, minaccia costantemente di far ripiombare la regione in guerre reazionarie.
Da questo punto di vista, le richieste del movimento rimangono molto eterogenee e poco chiare, esprimendo una sorta di difficoltà a dare risposte fondamentali e strutturali per il momento. Se da un lato il movimento si è organizzato attorno alle assemblee nelle università, dall’altro non sembra essersi dato una direzione politica chiara, indipendente dai partiti politici capitalisti, che risponda alla base democraticamente organizzata in modo da avanzare richieste che attacchino il cuore del sistema e pongano le basi per un’alleanza con i lavoratori e i settori più sfruttati della società. È tra queste crepe che i partiti di opposizione liberali e borghesi stanno cercando di proporre il proprio programma, chiedendo l’istituzione di un governo di transizione e l’organizzazione di nuove elezioni.
La lotta degli studenti è eroica, ma se vuole porre fine ai mali strutturali del regime, deve essere ampliata politicamente, socialmente e numericamente. Richieste sociali come l’aumento dei salari e la lotta per l’università gratuita per tutti sono fondamentali per cooptare un intero settore precario di giovani che non hanno accesso all’università e che fanno parte della base elettorale di Vučić e dell’estrema destra. Altre rivendicazioni, come la cancellazione di contratti ecocidi e asserviti agli interessi imperialisti – come il contratto per lo sfruttamento di una miniera di litio nella valle dello Jadar, che ha recentemente mobilitato migliaia di persone – potrebbero anche collegare tutte queste mobilitazioni alle politiche globali del governo, della classe capitalista serba e dei loro alleati imperialisti. In questo senso, l’entrata in scena della classe operaia alleata al movimento studentesco sarebbe fondamentale e costituirebbe un elemento esplosivo che potrebbe dare grande speranza a tutti gli sfruttati e gli oppressi della regione e del continente.
Philippe Alcoy
Lucian Istrati
Traduzione da Révolution Permanente
Redattore di Révolution Permanente e della Rete Internazionale La Izquierda Diario. Vive a Parigi e milita nella Courante Communiste Revolutionnaire (CCR) del NPA.