Continua l’onda lunga del ri-addomesticamento a tappe forzate dei lavoratori in Italia, dopo il capolavoro della legge Jobs Act, tutta a misura di capitalisti e volta a spazzare via sempre più l’azione sindacale nei posti di lavoro e qualsiasi autonomia del lavoratore nei confronti dell’azienda. Anche sul piano giuridico: la sentenza 8132 del 2017 della Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento di un lavoratore “per giusta causa” affermando che

il lavoratore è assoggettato non solo all’obbligo di rendere la prestazione, bensì anche all’obbligazione accessoria di tenere un comportamento extralavorativo che sia tale da non ledere ne’ gli interessi morali e patrimoniali del datore di lavoro ne’ la fiducia che, in diversa misura e in diversa forma, lega le parti del rapporto di durata.

Ciò significa che, a discrezione del giudice, un lavoratore che tenga – fuori dall’orario di lavoro! – comportamenti che “danneggiano” l’immagine dell’azienda e rompono il “clima di fiducia” tra lui e il padrone (ma il padrone che licenzia i lavoratori a mazzi da 100 anche quando il suo bilancio è in netto avanzo, il clima di fiducia non lo rompe? viene da chiedersi), può essere licenziato senza tanti complimenti, per giusta causa, senza sanzione alcuna per l’azienda, come il Jobs Act comanda.

Non dovrà stupire che, d’ora in poi, un’azienda provi a mettere in croce un lavoratore “scomodo” (magari un lavoratore combattivo e sindacalizzato, una RSU o una RSA) accampando il diritto di valutare e condannare la sua vita privata e la sua condotta nel tempo libero che, teoricamente, sarebbero separati dal tempo che il lavoratore vende al padrone e che costituisce la sua giornata di lavoro. I casi di licenziabilità, secondo questa interpretazione degli articoli 2104 e 2105 del codice civile proiettano una casistica potenzialmente molto vasta di licenziamenti per presunti conflitti con l’immagine, e magari “l’onorabilità”, dell’azienda.

È evidente che la rottura di questo clima di terrore e sopraffazione dei lavoratori può essere scacciato solo con un’organizzazione capillare, nei posti di lavoro e nei territori, della lotta e della solidarietà tra lavoratori di fronte a questa stagione di attacco economico, giuridico, politico targata Jobs Act.  Che i lavoratori in Italia si devono porre sul terreno politico della lotta per la revoca del Jobs Act e del pieno ripristino dello Statuto dei Lavoratori. Un obiettivo molto più ambizioso, ma necessario, di quello di un nuovo statuticchio dei lavoratori come quello proposto dalla CGIL – minimale e inutile, di fronte a una classe capitalista che continuerà a riprendersi tutto finché non dovrà affrontare una risposta, un contrattacco adeguato della classe lavoratrice e che continuerà a piegare la propria “legalità” ai propri interessi e scopi.

 

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.