Con i nuovi Voucher, oggi chiamati PrestO e Libretto Famiglia, il Governo Gentiloni, fa rientrare dalla finestra ciò che poco prima era uscito dalla porta.

Il 19 aprile di quest’anno il governo per evitare il referendum e quindi una sonora bocciatura della sua politica economica e sociale, abolisce i “voucher”, ma pur di non scontentare i tantissimi piccoli imprenditori, favorendo ancora il lavoro nero e per evitare che ai lavoratori fosse concesso un contratto di lavoro più remunerativo e con più diritti, istituisce i cosiddetti PrestO e Libretto Famiglia. Bisogna qui ricordare che l’Italia è un paese dove la stragrande maggioranza delle imprese è catalogata come media, piccola e piccolissima impresa, fino ad una miriade di aziende formalmente con un solo dipendente o con il solo titolare. Quindi approvare una legge per abbassare il costo del lavoro e togliere diritti ai lavoratori è una manna ed un regalo a quasi tutti i padroni che hanno imprese nel territorio italiano, mentre per quelle più grandi esiste sempre il Jobs Act che si applica per tutte le attività imprenditoriali e che pone a carico della collettività e quindi dei proletari gran parte delle spese che prima erano a carico dell’imprenditore.

Entrando nel merito delle nuove forme di sfruttamento chiamate PrestO e Libretto Famiglia ci accorgiamo che la nuova legge peggiora le condizioni lavorative rispetto ai vecchi “Voucher”, infatti le paghe orarie passano da 10 euro ad 8 euro all’ora e nell’agricoltura addirittura a 6,52 euro. Quando a volte ci si scandalizza, giustamente, per le paghe da fame con le quali vengono pagati i proletari migranti ed anche per le condizioni di vita di queste persone, tra l’illegalità formale del lavoro e la condizione inumana, i governi borghesi non intervengono per abolire quelle ingiustizie, ma per renderle legali. La conseguenza è che essendo le nuove forme di lavoro diventate ormai legittime e regolamentate, non diventano più perseguibili per legge dagli organi dello Stato e viene meno anche l’indignazione di qualche giornalista democratico che ancora amava raccontare la condizione di miseria in cui vive una gran parte della forza lavoro.

La protesta, se così si può chiamare una formale dichiarazione di scontento, dei sindacati confederali verso queste nuove forme di lavoro è stata abbastanza contenuta e moderata onde evitare che possano crearsi degli scossoni che mettono a rischio la vita del governo amico.

Ci troviamo in una condizione per cui le peggiori riforme del lavoro e le peggiori leggi di precarizzazione passano non tanto con i governi di destra o di centro destra, ma proprio con i governi di centro sinistra dove le connivenze politiche tra la triplice sindacale ed in particolare la Cgil sono evidenti e molti sindacalisti hanno in tasca, già da tempo la tessera del Partito di governo. Le complicità tra banche, cooperative, imprenditori (in primis Marchionne), sindacati e Governo sono ormai l’intreccio affaristico attraverso il quale si muove e si gestisce la politica in Italia.

Ad onor del vero va però ricordato che queste nuove forme di lavoro non sono così nuove, anzi risalgono alla vecchia legge Biagi (Decreto Legislativo 276/2003) con la quale, venivano istituite tutta una serie di precarizzazione dei rapporti di lavoro che andavano dal lavoro ripartito al lavoro a chiamata. A suo tempo Maroni (Lega Nord), oggi sponsor di Salvini, ebbe a dire in Italia avevamo una Legge che era la più conveniente, la più flessibile per gli imprenditori di tutta Europa.

Il giuslavorista Biagi che presentò quella legge era considerato un politico di sinistra. Oggi il suo degno discepolo è Pietro Ichino, ma molti sono i politici che hanno seguito le orme di Biagi e con il passare del tempo, nuove disposizioni e nuove leggi, attraverso nuovi governi e vecchi programmi si è arrivato alla cancellazione di quel che restava del vecchio art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Ma non bastavano per la borghesia solo le leggi economiche a completo suo favore come la defiscalizzazione degli oneri sociali, leggi sull’imprenditoria giovanile, aiuti alle imprese di vario genere, erano necessarie anche leggi che limitassero e cancellassero sostanzialmente il diritto di sciopero e, tra l’altro il Governo sta preparando una nuova legge per impedire qualsiasi forma di contestazione e di ribellione.

A tutt’oggi per proclamare uno sciopero, nel rispetto delle regole, si è costretti a seguire un lungo iter burocratico per tentare una “conciliazione” attraverso l’intervento di Prefetto o Ministero, deve inoltre passare un intervallo minimo di giorni tra uno sciopero ed il successivo e sono in più fissati alcuni periodi dell’anno in cui, in ogni caso, non è possibile esercitare tale diritto, come quello delle festività natalizie. In più, sono aumentati i poteri discrezionali della Commissione di garanzia, c’è la possibilità di differimento dello sciopero ad altra data da quella stabilita dai lavoratori, è ammessa la precettazione del personale per garantire un servizio minimo, sono aumentate le multe e le sanzioni disciplinari per sindacati che violano le regole e lavoratori. Questo ed altro ancora è racchiuso nelle leggi 146/90 e 83/2000. Leggi che come dicevo sono passate con la benedizione dei sindacati borghesi.

La guerra alle condizioni di vita dei lavoratori si è arricchita e completata con le successive leggi tra le quali ricordiamo il famoso Collegato lavoro, con la quale legge è molto più difficile vincere cause di lavoro, impugnare licenziamenti ingiusti, ottenere giusti risarcimenti, si può derogare ai CCNL, “certificando”, tramite commissioni, i contratti individuali contenenti clausole peggiorative: viene limitata la giurisdizione del giudice e si incentiva il ricorso all’arbitrato.

Con il Jobs Act, con l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori con i Voucher, i PrestO, il Libretto Famiglia, la Legge Biagi, il Collegato Lavoro, il vecchio Pacchetto Treu, la Legge sul socio lavoratore, L. 223/91 e varie tipologie di lavoro precario, modificate ed integrate e, con l’attuazione di nuove che peggioravano le precedenti leggi, la classe operaia è scesa così all’inferno. Un inferno dal quale si potrà uscire solo con una rivoluzione sociale e politica che spazzi via non solo la borghesia ma anche i traditori in seno alla classe operaia.

Salvatore Cappuccio