Ieri mattina a Colleferro (Roma), decine di licenziati dell’hub di Amazon hanno manifestato per denunciare la loro situazione.


Nella mattinata del 10 maggio, una trentina di ex-dipendenti di Amazon hanno manifestato davanti l’hub di Colleferro (Roma) contro le politiche di precarizzazione legittimate dal cosiddetto ‘Decreto Dignità’ e rivendicando il proprio reintegro dopo un licenziamento di massa per mancato rinnovo del contratto.

Dai cancelli del magazzino la manifestazione si è poi spostata nella sede di Adecco, nel centro della cittadina laziale, dove la stessa agenzia, probabilmente spaventata dall’ira dei lavoratori, ha deciso di chiudere la sede per tutta la giornata. La giornata si è poi conclusa nella piazza del comune dove i lavoratori hanno incontrato il sindaco della cittadina al quale hanno simbolicamente riconsegnato il proprio badge.

Un’iniziativa che, seppure limitata nei numeri, ha dimostrato di portare avanti rivendicazioni ben precise e, al contrario di quella del 22 marzo quando i sindacati confederali si accordarono con l’azienda sul numero degli scioperanti, è stata in grado di scuotere le coscienze di molti abitanti, riscuotendo davanti il comune una generalizzata solidarietà.

Questo aspetto è molto indicativo e segna i cambi di umore da parte della popolazione tutta verso le reali possibilità che i giganti come Amazon possano offrire ai territori di provincia come quello colleferrino.

Un territorio plasmato da una lunga storia industriale e della classe operaia che, seppur spaventata e sotto ricatto, è abituata ad un certo tipo di lotte.

La manifestazione era composta perlopiù da donne: giovani madri del territorio che avevano visto nell’apertura del gigante americano una speranza per migliorare il proprio futuro.

 

 

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I lavoratori, assunti durante i mesi dove si concentra l’attività, dopo essere stati spremuti si sono ritrovati senza un’occupazione da un momento all’altro.

Infatti, secondo quanto riportano i lavoratori, “l’azienda dopo averci fatto dei contratti a tempo determinato, a ridosso della scadenza ha rinnovato a molti lavoratori di un mese il contratto. Questo, tuttavia, è stato funzionale, non per farci continuare a lavorare, ma per licenziarci tutti insieme”.

Secondo i dati raccolti, sono più di 1.500 i lavoratori usati finché utili e poi cacciati.

La manifestazione dimostra che la logica di profitto senza regole delle grandi multinazionali dell’e-commerce non fa altro che acuire la lotta tra sfruttati e sfruttatori, contrariamente alle sue promesse di benessere e pace sociale.

Le aziende, come si evince da un intervento di un lavoratore presente, “si servono del malessere del territorio e sfruttano la necessità di un impiego per sfruttarci e poi mandarci via. Non siamo come i loro scatoloni, non siamo lavoratori usa e getta”.

Sono queste le posizioni dei lavoratori i quali, nonostante non siano ancora affiliati ad alcun sindacato, hanno dimostrato tutta la loro capacità di auto-organizzarsi e portare avanti delle rivendicazioni molto precise.

Infatti, gli obiettivi dei loro interventi sono più che mai chiari: l’azienda Amazon, l’agenzia interinale Adecco e le leggi dello stato borghese.

Già, perché nessuna azienda potrebbe generare profitti senza sapere di godere dell’impunità rispetto allo Stato. Aziende che sono esenti da ogni tipo di tassazione, non rispettano i diritti più basilari dei lavoratori e che trattano gli stessi come carne da macello.

Indicative rispetto a questo contesto, sono le parole di una giovane lavoratrice fuori dai cancelli che afferma che “per tutto il periodo in cui ho lavorato in questa azienda impostavo il contapassi e alla fine della giornata lavorativa contavo 30 km in un solo giorno”.

Uno regime industriale che, in barba alle fanfare dei sostenitori dell’industria 4.0, fa profitti sulla pelle dei lavoratori ricorrendo a tecniche di supersfruttamento con la stessa logica di quelle “ottocentesche”.

Indicativo in questo contesto è il comunicato del gigante americano che giustifica il suo operato e normalizza la precarietà del lavoro affermando che le assunzioni vanno a seconda delle necessità delle aziende.

Peccato però, che, come denunciano gli stessi lavoratori, “dal momento in cui siamo stati cacciati via, l’azienda ha assunto diverse centinaia di altri lavoratori che di fatto ci hanno sostituito. Prima ci hanno spremuto e dopo sostituito come fanno con le merci”.

Qui i lavoratori puntano il dito contro le leggi dello Stato borghese che, detto con le parole di una delle lavoratrici presenti: “con l’obbiettivo di voler limitare al minimo il precariato le leggi varate in questi ultimi anni non hanno fatto nient’altro che alimentarlo. Persone come me, over 40, non godono di alcuna tutela”.

Oggi più che mai è necessario riavviare le lotte all’interno della Valle del Sacco dove è sito il magazzino di Amazon a Colleferro. Un sito che è nato al di sopra di una discarica dismessa per far posto alla multinazionale americana e adiacente ad un colosso della grande distribuzione, Leroy Merlin.

Nella zona, dopo anni di crisi e chiusure aziendali, la classe operaia è concentrata in stabilimenti racchiusi entro pochi chilometri quadrati: è più che mai necessario coinvolgere le migliaia di lavoratori presenti per condurre una lotta comune contro sfruttamento, precariato e profitti.

Saremo e continueremo ad essere al fianco dei lavoratori e lavoratrici Amazon di Colleferro, con la speranza che la loro iniziativa di auto-organizzazione possa coinvolgere altre lavoratori e altre lavoratrici del territorio.

Mattia Giampaolo

Laureato in storia contemporanea dei paesi arabi alla Sapienza di Roma, nel 2018 ha conseguito il master in Lingue e Culture orientali alla IULM University.
Dottorando alla Sapienza presso il Dipartimento di Scienze Politiche, con una tesi su Gramsci, la rivoluzione passiva e la Primavera Araba.