Oggi la precarietà lavorativa e sociale colpisce quasi la totalità della gioventù, però ci sono settori che vengono colpiti doppiamente, come le donne o il mondo LGBTQIA+. Riprendendo i moti di Stonewall, che hanno dato vita ai movimenti del Pride, è importante rilanciare una lotta contro la precarietà lavorativa per tutti i giovani, ma soprattutto per coloro i quali questa precarietà significa discriminazione sociale, isolamento e impossibilità di sopravvivenza.



In Europa la media della disoccupazione giovanile è al 76%: ciò significa che la maggioranza dei giovani è senza un futuro stabile.
In particolare in Italia il tasso di disoccupazione giovanile si aggira su il 56,3%: una percentuale che dovrebbe rallegrare se paragonata a quella europea ma che è una mera illusione, in quanto non si considerano tutti quei giovani che non studiano e non lavorano che arrivano ad una percentuale del 29,7% contro il 16,6% europeo. Ciò significa che in Italia quasi il 60% dei giovani ha un lavoro precario, irregolare e instabile e l’altro 30% non è mai nemmeno riuscito ad immettersi nel mondo del lavoro, lasciando così solo uno scarso 10% che effettivamente lavora, anche se non viene specificato nei dati Istat con che tipo di contratto. Parliamo di un mondo in cui i giovani vivono all’ordine del giorno la precarietà, che questa sia direttamente nell’immissione nel modo del lavoro, che sia nello studio per le prospettive future, o nell’incapacità di trovare e conquistarsi un proprio spazio che permette loro la sopravvivenza, l’emancipazione dalla famiglia e la prospettiva di un futuro stabile. Un mondo in cui la precarietà genera ansia sociale, depressione e discriminazioni; infatti, in una situazione già drammatica come questa, ci sono dei soggetti doppiamente colpiti: le donne e i giovani LGBT.
Le prime a causa del ruolo sociale di cura che devono svolgere, per bambini e anziani, sono sempre più relegate a lavori a nero, part time, a contratti senza tutele sindacali; i secondi ancora oggi subiscono continue discriminazioni sui posti di lavoro e vengono loro preclusi determinati settori del mondo del lavoro, generando un intersezione tra lo sfruttamento lavorativo fatto di precarietà e la discriminazione sociale per il proprio orientamento che genera un‘intera comunità di giovani che vivono condizioni ancor peggiori della media. Ad esempio, secondo un report del dipartimento delle pari opportunità si afferma che:

le persone omosessuali che rivestano alcuni ruoli creano problemi ad una parte della popolazione: per il 41,4% non è accettabile un insegnante di scuola elementare omosessuale, per il 28,1% un medico, per il 24,8% un politico.

Un altro studio “Io sono Io Lavoro” afferma che il 4,8% riferisce di essere stato/a ingiustamente licenziato/a a causa del proprio orientamento sessuale o identità di genere; mentre il 19,1% denuncia di aver subito un trattamento ingiusto sul luogo di lavoro, e che a parità di lavoro, gli uomini omosessuali guadagnano dal 10% al 32% in meno dei loro colleghi eterosessuali -nella maggior parte dei casi l’ingiustizia subita resta non denunciata né segnalata, portando, tra l’altro, a una grave mancanza di dati statistici e di informazioni tecniche sul fenomeno- gli autori delle discriminazioni sono solo o soprattutto uomini. 


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Tutto ciò porta, così, tantissimi giovani, che sentendosi discriminati per la propria identità sessuale, di genere o non binaria, a non rivelare la propria identità sessuale o a lavori estremamente precari, sottopagati e demansionati anche rispetto al livello di istruzione che possono avere; lavori come: commessi, il mondo del food delivery o delle grandi catene di commercio. L’esclusione sociale da interi settori del mondo del lavoro cresce notevolmente se si restringe l’interesse sulle persone transessuali, che spesso subiscono discriminazioni così forti da esse costretti a lavori umilianti, degradanti o alla prostituzione, per quanto giovani – se non soprattutto i più giovani che vengono ripudiati dalla famiglia e costretti ad andar via senza nessun aiuto- ; condizione che consolida un immaginario comune fortemente transfobico. Infatti, sempre secondo la ricerca “Io Sono Io Lavoro”, il 13% delle persone LGBT intervistate ha visto respingere la propria candidatura ad un posto di lavoro in ragione del proprio orientamento sessuale, valore che sale al 45% per le persone transessuali.

Nonostante Freeda, Netflix, e tante altre produzioni cinematografiche o che lavorano sulla comunicazione social ci vogliono dare un immaginario di un mondo in cui le discriminazioni sono solo una narrazione, qualcosa di sovrastrutturale che si può “aggiustare” correggendo un po’ il linguaggio o alcuni atteggiamenti discriminatori, la verità è che le discriminazioni nei confronti del mondo LGBT sono intrinseche alla concezione della sopraffazione degli uomini su altri uomini, allo sfruttamento dei capitalisti a danno dei lavoratori e al sistema patriarcale che vuole costringerci a ruoli prestabiliti.
Per questo è fondamentale oggi riappropriarsi di un linguaggio anticapitalista e antipatriarcale per tutta la comunità LGBT, per riuscire a mobilitare in quelle maree colorate e ricche di differenze tutti coloro che però sono uniti dall’obiettivo comune di lottare contro un sistema che ci sfrutta, discrimina e opprime e che non ha soluzioni democratiche o progressiste per il miglioramento delle condizioni attuali, ma solo illusioni riformiste che rimanderebbero a domani la necessità di rompere con il capitalismo e con il patriarcato oggi.


Scilla Di Pietro

Foto: Mar Ned * Enfoque Rojo da Izquiedadiario.es

Nata a Napoli il 1997, già militante del movimento studentesco napoletano con il CSNE-CSR. Vive lavora a Roma. È tra le fondatrici della corrente femminisa rivoluzionaria "Il Pane e Le Rose. Milita nella Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) ed è redattrice della Voce delle Lotte.