In uno dei dibattiti del Congresso dei parlamentari sulla situazione in Catalogna, Mariano Rajoy disse che nessuna costituzione al mondo ha mai accettato il principio dell’autodeterminazione nazionale ad eccezione di quella sovietica.

Quello che per Raroy è un insulto o una forma di denigrazione verso il movimento nazionale catalano è per no una grande rivendicazione della Rivoluzione russa. La costituzione nata da questa grande rivoluzione fu la prima e forse l’unica al mondo ad accettare il principio di autodeterminazione nazionale, un principio democratico elementare che la maggior parte delle democrazie capitaliste occidentali continuano a negare a distanza di cento anni da essa.

Lenin e la questione nazionale
In un testo del 1914 sul diritto all’autodeterminazione nazionale Lenin sviluppò alcuni elementi chiave della posizione marxista riguardo a questa tematica.

1. La formazione degli stati nazionali è storicamente legata all’epoca della lotta della borghesia contro l’aristocrazia feudale. Nel periodo storico che va dal 1789 al 1870 si sviluppò una tendenza centripeta che spazzò via le particolarità regionali per unificarle in un unico mercato nazionale, in base ad una stessa lingua e ad un territorio unificato.

2. Lenin si domandò: “Cos’è l’autodeterminazione delle nazioni?”, e si rispose che non si tratta altro che del diritto di decidere la separazione da un’altra nazione e la formazione di uno stato nazionale indipendente. Polemizzò quindi con una sorta di reinterpretazione “culturale” dell’autodeterminazione, tipica di coloro che hanno contemplato un’autonomia culturale ma hanno però negato il diritto all’autodeterminazione effettiva.

3. Lenin rispose inoltre anche ad un’altra importante domanda: “Appoggiare il diritto all’autodeterminazione significa appoggiare il nazionalismo borghese?” Così credettero alcuni settori della socialdemocrazia di atteggiamento settario dinanzi alla questione nazionale. Ma Lenin sostenne che in quanto “la borghesia di una nazione oppressa lotta contro l’oppressore, siamo sempre, in ogni caso e con maggiore determinazione di chiunque, a favore, dato che siamo i più intrepidi e coerenti nemici dell’oppressione”. Al tempo stesso, in quanto “la borghesia della nazione oppressa è a favore del suo nazionalismo borghese, noi le siamo fermi oppositori”. Ovvero, la lotta per l’autodeterminazione dei popoli è una lotta contro il nazionalismo borghese della nazione che opprime, ma questo non implica nessun appoggio politico alla borghesia della nazione oppressa. Al contrario, presuppone la lotta anche contro di essa.

4. Negare il diritto alla separazione, sostenne Lenin, non significa combattere contro tutti i tipi di nazionalismo, al contrario ciò non farebbe altro che rafforzare il nazionalismo della nazione oppressa. Questo è un argomento molto importante oggi di fronte a settori della sinistra spagnola che sostengono che dobbiamo essere equidistanti sia dal nazionalismo spagnolo sia dall’indipendentismo catalano per non cadere nella deriva nazionalista. Se non si appoggia la lotta della nazione oppressa, si sta appoggiando il privilegio della nazione che opprime. E nel caso della Catalogna, il nazionalismo spagnolo e la sua offensiva repressiva.

5. infine, Lenin sostenne che tutta l’unione si sarebbe dovuta basare sull’uguaglianza dei diritti dei lavoratori e delle nazioni. Come internazionalisti, lottiamo per l’unità della classe lavoratrice di tutte le nazioni, superando le frontiere nazionali e non abbiamo di certo l’obiettivo di crearne nuove. Ma per raggiungere questa unità di classe, è necessario che i lavoratori della nazione che opprime combattano contro l’oppressione della propria nazione su altri popoli.

La questione nazionale in Russia
Agli inizi del ventesimo secolo, l’impero russo non aveva ancora vissuto la rivoluzione borghese ed era costituito da uno stato che racchiudeva al suo interno varie nazionalità. Con una popolazione di circa 150 milioni di persone, un 43% era di nazionalità russa, mentre un 57% apparteneva a quelle nazioni definite “multietniche” (includendo un 17% di ucraini, un 6% di polacchi, 4,5% di russi bianchi, etc.). La grande nazione russa esercitò un enorme oppressione nazionale sul resto delle nazioni, dei popoli e delle tribù, ma al tempo stesso diede anche una forza rivoluzionaria senza precedenti ai vari movimenti di emancipazione nazionale che si destarono proprio con la rivoluzione nel febbraio 1917. Il governo provvisorio conciliatore, nato dalla rivoluzione di febbraio, non rispose al reclamo di autodeterminazione nazionale e anzi la nascose sotto il discorso “democratico” della difesa della rivoluzione e delle necessità della guerra. Il governo Kerensky difese le fonti di ricchezza della grande borghesia russa, che non fu certo disposta a perdere il grano e il carbone ucraini, così come la sua influenza sul resto dei popoli.

L’atteggiamento del governo provvisorio nei confronti dei reclami nazionalisti di Finlandia e Ucraina, che cercò di vietare le istituzioni indipendenti di questi, finì per dimostrare che la “rivoluzione democratica” di febbraio non avrebbe mantenuto le sue promesse. Per raggiungere la loro emancipazione, le nazioni oppresse dovettero a questo punto “legare la loro sorte a quella della classe operaia. E per questo gli fu assolutamente necessario sbarazzarsi della direzione dei suoi partiti borghesi e piccolo borghesi, vale a dire, velocizzare la marcia dell’evoluzione storica”.
(Leon Trotsky, Storia della Rivoluzione russa).

Durante la Rivoluzione, Lenin fu uno strenuo difensore del paragrafo 9 del programma bolscevico sul “diritto all’autodeterminazione”. In Storia della Rivoluzione russa, Trotsky assicurò che “solo per questa via il proletariato russo potrà conquistare la fiducia delle nazionalità oppresse”.

Le prime misure del governo dei soviet, dopo la presa del potere in ottobre, furono proprio i decreti riguardanti l’autodeterminazione nazionale e la consegna di tutti i terreni ai comitati contadini. Questi furono gli elementi chiave che permisero ai bolscevichi di ottenere l’appoggio della classe operaia e dei contadini di queste nazioni, che presero poi parte alla lotta per la difesa della Rivoluzione. Tuttavia le devastazioni della guerra civile e l’isolamento della Rivoluzione sollevarono nuovi problemi. Prima di morire, Lenin si preoccupò in maniera particolare per l’emergenza della burocrazia nello stato e nel partito, in particolare per il ruolo ricoperto da Stalin.

Nella sua autobiografia, Trotsky raccontò che, a partire da un incidente con i rappresentanti georgiani, Lenin giunse alla conclusione che Stalin agì come un grande nazionalista russo, qualcosa di inammissibile che che bisognava combattere senza alcuna concessione. Così come Marx si misurò con l’atteggiamento dei socialisti delle nazioni oppressori verso le nazioni oppresse, Lenin vide in quell’incidente un’espressione concentrata della grande personalità burocratica e nazionalista grande russa di Stalin, lontana dai principi e dal programma dei rivoluzionari bolscevichi. Dopo la morte di Lenin, con il consolidamento della burocrazia stalinista e l’eliminazione fisica dell’opposizione, lo Stato sovietico ritornò ad una politica centralista e burocratica. Una politica nefasta che ancora oggi sostengono.

Dall’altro lato, mentre Lenin continuò a sottolineare l’importanza della forza rivoluzionaria delle nazioni oppresse come parte della rivoluzione dei lavoratori, che non significava assolutamente dare un ruolo rivoluzionario alla borghesia delle nazioni coloniali e semicoloniali, Stalin, con la sua riedizione di una teoria statista della rivoluzione, portò i partiti comunisti a conciliarsi con le borghesie nazionali.

Trotsky, l’internazionalismo e la Federazione delle Repubbliche socialiste d’Europa
In un testo del maggio del 1917, Leon Trotsky sostenne che nell’epoca imperialista le borghesie si trovarono costrette ad agire sempre di più come “in un gioco di giocatori incalliti che sono costretti a dividersi la banca” più e più volte. Gli stati imperialisti riuscirono ad espandersi, a conquistare nuovi mercati, a strappare zone di influenza agli altri stati in competizione, etc. Trotsky scrisse questo testo durante la Prima guerra mondiale e l’inizio della Rivoluzione russa.

Mentre il diritto delle nazioni all’autodeterminazione si oppone alle tendenze centraliste dell’imperialismo, sostenne Trotsky, la classe operaia “non deve assolutamente permettere che il principio nazionale diventi un ostacolo all’andamento irresistibile e profondamente progressivo della vita economica moderna verso un’organizzazione pianificata nel nostro continente e in seguito in tutto il pianeta”. Il rivoluzionario russo spiegò che l’imperialismo esprime, sotto forma di rapacità e saccheggio, la tendenza alla crescente internazionalizzazione dell’economia nel capitalismo moderno. Per tale ragione, la classe operaia non deve imporre un ritorno agli stati nazionali sovrani reazionari, ma una lotta per l’internazionalismo socialista.

In altre parole, affinché i popoli oppressi e le nazioni d’Europa (ci si può riferire in particolare ai polacchi, romeni, serbi, lettoni, ucraini, ecc.) possano liberamente determinarsi, bisogna rompere le barriere delle nazioni imperialiste che li sottomettono. Ciò vale a dire, porre fine all’Europa degli imperialismi, strappata dalla guerra. Per questo motivo, una libera unione dei popoli e la loro autodeterminazione possono essere considerati solo come parte della lotta per una Federazione delle Repubbliche Socialiste Europee. “Gli Stati Uniti d’Europa, senza monarchie, senza eserciti permanenti e senza servizi segreti, costituiscono la parte più importante del programma proletario di pace”.

Queste definizioni assumono oggi un significato particolarmente importante in un’Europa attraversata da movimenti nazionalisti xenofobi, dalla crisi del Brexit e ora anche dalla crisi della Catalogna, che sollevano sia da destra che da sinistra la “questione nazionale” e la crisi dell’Europa del Capitale.

Nel centenario della Rivoluzione russa, quando la “questione nazionale” e la “domanda di classe” emergono nello scenario politico spagnolo e catalano con tutta la loro complessità, le lezioni di quel grande avvenimento rivoluzionario che fu la Rivoluzione russa, così come il pensiero di Lenin, il pensiero di Trotsky e il Marxismo della Terza Internazionale prima della sua stalinizzazione, assumono una grande forza per orientarsi e ricostruire un partito che guidi le masse nell’attualità.

*Questo articolo si basa sulla conferenza della Cátedra Libre Karl Marx La Rivoluzione Russa e l’Autodeterminazione delle Nazioni, tenutasi il 18 ottobre all’Università Autonoma di Madrid.

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