Il primo ottobre scorso 17 lavoratrici della Montello S.P.A., ex-acciaieria dell’omonimo paese del bergamasco riconvertita in fabbrica di selezione e riciclo rifiuti, sono state licenziate per motivi politici con il pretesto di un cambio d’appalto. L’azienda aveva promesso ai sindacati che il passaggio della manodopera da una cooperativa all’altra non avrebbe intaccato i livelli occupazionali. Evidentemente, però, non si poteva tollerare che alcune operaie avessero fatto causa al padrone per vedere riconosciute le otto ore in busta paga, oltre a lamentare le terribile condizioni di lavoro subite dalle 500 dipendenti dello stabilimento, la stragrande maggioranza delle quali donne, immigrate e con figli a carico.

Ritmi massacranti e turni di notte che rendono sempre più insostenibile, non solo lo sfruttamento in fabbrica, ma anche il “lavoro riproduttivo” in famiglia. Pausa pranzo di 15 minuti (vestizione e tempo per raggiungere la mensa inclusi), acqua non potabile e maleodorante utilizzata per docce e macchinette del caffé; ambiente di lavoro insalubre e abbigliamento inadeguato (non esiste un servizio di lavaggio interno delle tute da lavoro, mentre gli occhiali necessari per proteggersi dalle esalazioni tossiche dei rifiuti maneggiati nel ciclo produttivo non sono adatti a un uso prolungato).

Con queste ed altre “amenità” hanno a che fare tutti i giorni le operaie della Montello, insieme a una pesantissima repressione padronale: “non è praticamente possibile parlare con le vicine – raccontano le lavoratrici bergamasche – se lo vede la capa urla”. Inoltre, ottenere permessi per malattia è un vero e proprio miraggio… Un miraggio che quando si materializza equivale a giorni, settimane o addirittura mesi senza stipendio. Eclatante il caso di una lavoratrice che “dopo un infortunio è rimasta in malattia non pagata per 4 mesi, senza usufruire della disoccupazione perché il contratto risultava ancora in essere e la cooperativa non la licenziava temendo la denuncia” riferiscono sempre le operaie.

Decisiva, al fine di mantenere un clima del genere, la condizione di estrema ricattabilità della forza-lavoro garantita dal sistema dei cambi d’appalto, il quale coinvolge oltre il 90% degli addetti\e della Montello. Qui, infatti, alzare la testa e\o iscriversi al sindacato – e in particolare a un sindacato combattivo – significa rischiare di perdere il posto alla scadenza del contratto tra la cooperativa di turno e l’azienda. Esattamente quello che è successo alle 17 operaie lasciate a casa all’inizio di questo mese, le quali – senza lavoro – rischiano anche di non vedersi rinnovare il permesso di soggiorno. Le lavoratrici, tuttavia, non si sono perse d’animo e supportate dal sindacato SLAI COBAS sono in presidio da quasi un mese, rivendicando la riassunzione e la fine di un sistema come quello del subappalto di manodopera che oltre a disciplinare la forza-lavoro, permette ai padroni di risparmiare sugli stipendi, non solo rendendo più difficile per i dipendenti ottenere quanto gli spetta in busta paga, ma anche eliminando gli scatti di anzianità (molte operaie lavorano alla Montello da anni, ma continuando a passare da una cooperativa all’altra, non hanno maturato nessun aumento).

La lotte delle lavoratrici licenziate incontra molte simpatie all’interno dell’azienda, ma i rappresentanti del sindacato maggioritario – la CGIL – non sembrano intenzionati ad agire di conseguenza. Invece di spiegare alle operaie che la battaglia delle loro colleghe è una battaglia per il miglioramento delle condizioni di tutti, che lottare e scioperare uniti è l’unico modo per far male al padrone e impedirgli di fare quello che vuole; invece di assicurare che il sindacato impegnerà tutte le sue risorse per promuovere la mobilitazione, i delegati e i burocrati della CGIL sono rimasti in silenzio per oltre tre settimane. Solo un sit-in delle operaie licenziate, tenutosi lo scorso sabato di fronte alla camera del lavoro di Bergamo, ha incrinato il più completo immobilismo della Confederazione. E’ evidente, però, che la promessa di “organizzare una raccolta firme” per riottenere la riassunzione delle operaie licenziate rappresenta una risposta del tutto insoddisfacente.

La lotta “delle 17”, comunque, prosegue e sostenerle è importante per mostrare anche alle colleghe che combattere per i propri diritti non è un’attività destinata a scontrarsi con l’isolamento e la solitudine, paura sulla quale giocano i padroni per imporre la disciplina di fabbrica e i burocrati sindacali per giustificare la propria passività. Ogni lotta dei lavoratori immigrati che reagiscono a condizioni di sfruttamento ben note anche a centinaia di migliaia di italiani è inoltre una lotta contro il governo Lega-5Stelle.

Giusto per rimanere in tema di subappalti, infatti, sono lorsignori – il PD, ma anche la Lega – ad aver precarizzato il mercato del lavoro, non gli immigrati che si oppongono alle “false cooperative”. Ricordiamo che Marco Biagi, il padre del lavoro “somministrato” era consulente del Ministro del Lavoro Maroni! Sono lorsignori – la Lega e i 5Stelle insieme al PD, non certo gli immigrati impegnati insieme gli italiani a non far applicare il Job Act nei contratti aziendali – che difendono il diritto del padrone a licenziare ingiustamente. Non solo, infatti, Di Maio e Salvini non hanno reintrodotto l’articolo 18 nella prima bozza del “Decreto Dignità”, ma i parlamentari giallo-verdi hanno addirittura votato contro un emendamento che mirava a reintrodurlo.

Appoggiare la lotta delle lavoratrici della Montello, come tutte le lotte dei lavoratori immigrati, è insomma necessario per smentire la propaganda reazionaria che puntella l’esecutivo gialloverde; la propaganda secondo cui la soluzione ai problemi dei lavoratori italiani debba passare attraverso politiche contro gli “stranieri”, come l’ultimo decreto Immigrazione-Sicurezza, che oltre ad aumentare clandestinità e ricattabilità colpisce anche i lavoratori in sciopero – indipendentemente dalla nazionalità – penalizzando i blocchi stradali.

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Si tratta perciò di combattere i padroni e i loro rappresentanti politici, lottando insieme come classe, a prescindere dalle appartenenze etnico-religiose e sindacali, cercando di superare i confini artificiali rappresentati dai singoli stabilimenti, nonché dai confini nazionali, come settori sempre più ampi di lavoratori stanno imparando a fare. Si pensi ad esempio alle lavoratrici dell’albergo Hyatt di Parigi che sulla scia di uno sciopero internazionale dei lavoratori degli alberghi, stanno protestando contro il sistema dei subappalti proprio come le operaie della Montello, con le quali condividono anche il fatto di essere immigrate e combattive.

 

Django Renato

 

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Ricercatore indipendente, con un passato da attivista sindacale. Collabora con la Voce delle Lotte e milita nella FIR a Firenze.