La nebbia tossica generata dalla propaganda di guerra ha i suoi devastanti effetti, a partire dalla negazione degli ospedali bombardati dai russi fino alla guerra del terrore di Assad, che si risolve spesso nel fare di ogni oppositore, o di qualsiasi civile che abbia la sfortuna di trovarsi in aree di guerra, un terrorista.

Dall’inizio della “rivoluzione”- nella città di Dar’a a sud della Siria nel 2011 con rivendicazioni sociali e democratiche e conclusasi malamente grazie alle violente repressioni scatenate dal regime- fino al novembre scorso, le vittime civili sarebbero state causate per circa l’89,7% da gruppi armati  facenti riferimento al governo siriano. Il resto delle vittime civili è proporzionalmente redistribuito tra il governo russo (3.6%) , ISIS e Nusra (3%), gruppi di opposizione (2.3%) – vale a dire la variegata galassia dei ribelli nella quale compaiono diversi gruppi jihadisti, alcuni dei quali legati a Nusra- la coalizione internazionale filo-NATO (0.7%) e altri (0.7%). Risultato: 8.7 milioni di sfollati, cioè persone che hanno dovuto lasciare le loro case, e 4.8 milioni di rifugiati, cioè persone sfollate che hanno dovuto lasciare il paese. Sfollamenti e fughe verificatesi anche nelle aree dove si trova l’ISIS e in Rojava, ma certamente non paragonabili numericamente.

Il campo di battaglia siriano è diviso in almeno quattro parti: quella dei lealisti, cioè l’esercito fedele a Bashar al-Assad, le sue milizie irregolari, Hezbollah libanesi, milizie sciite irachene, iraniani e russi; quella dei cosiddetti ribelli, nelle cui fila militano anche gruppi jihadisti; quella delle Syrian Democratic Forces (SDF), a guida curdo-siriana delle YPG, con supporto statunitense limitato ai combattimenti contro l’ISIS e stanziate nel nord-est in aree a maggioranza curda e in un cantone curdo ancora più ad ovest, quello di Ifrin; quella del gruppo Stato Islamico.

I curdi e la loro stessa natura politica e culturale sono una anomalia nel conflitto siriano, difendendo  il Kurdistan siriano con una reale partecipazione armata proletaria e in particolare con un ruolo di primo piano delle donne.

Al-Qaeda, vera forza nella regione di Idlib, dopo la sconfitta subita ad Aleppo, ha acquisito una posizione più forte all’interno della variegata compagine che si oppone militarmente al regime, grazie soprattutto al non intervento americano e all’arretramento turco.

Ciò che i giornali ufficiali evitano di dire è che la “rivoluzione” siriana non è stata sostenuta dai paesi del golfo- quali Arabia Saudita, Qatar e Turchia- e dagli Stati Uniti d’America. Quest’ultimi si sono guardati bene dal farlo. Ciò che è stato effettivamente sostenuto sono quelle forze armate ritenute utili per portare avanti i propri interessi nella regione. Basti ricordare ad esempio che una delle fazioni armate finanziate dai sauditi – Jaysh al-Islam- si rese colpevole del rapimento e dell’uccisione di uno dei simboli della rivolta politica siriana, Razan Zaitouneh, colpevole assieme ad altri suoi colleghi e i molti attivisti della sinistra marxista e d’oppozione, rei di aver documentato violenza e chiedendo il rispetto dei più elementari diritti democratici.

Ma un’opposizione che continua a dare segnali di vita dentro e fuori la Siria, rivendicando cose che in realtà nessuno vuole dare, esiste, nonostante la feroce e sistematica repressione. Come il comitato di coordinamento ad Aleppo est, che ha come scopo la gestione di aree sfuggite al controllo governativo. O la protesta degli abitanti di una cittadina nella provincia di Idlib, Ma’arrat al-Nu’man, contro la presenza di al-Qaeda, durata per settimane. O quella di normali persone che nei periodi tregua  rivendicano diritti basilari. Nulla a che vedere con una rivoluzione, però. Rivoluzione che, come amava ricordarci Trotsky, rappresenta “ l’ispirazione frenetica della storia, l’unione creatrice tra il cosciente e l’inconscio”, “la fusione tra la coscienza teorica più elevata dell’epoca e l’azione immediata delle masse più oppresse e lontane dalla teoria”.
Ma i riflettori in questi giorni sono ancora puntati sulla tragedia che il popolo siriano vive, stretto nella morsa della guerra civile.

I fatti di ciò che è successo nella provincia di Idlib descrivono un bombardamento aereo nella cittadina Khan Shaykhun in mano a forze di opposizione al regime di Bashar al-Asad. Aerei militari che hanno effettuato bombardamenti multipli sulla città aventi come obiettivo aree residenziali. Gli ordigni usati sarebbero di vario tipo, alcuni dei quali contenenti agenti chimici. La conferma che tra le bombe lanciate ve ne fossero alcune caricate con armi chimiche viene meglio a definirsi nelle ore successive tramite diverse fonti sul campo. Un fatto acclarato sembra essere che il bombardamento sia stato effettuato dall’aviazione siriana, tanto più che ad affermarlo, oltre ai testimoni sul campo, sono gli alleati russi.

La ricostruzione russa secondo la quale gli attacchi  avrebbero colpito un deposito di armi dei ribelli, nelle cui vicinanze si trovavano laboratori che producono armi chimiche, si rivela debole e verrà successivamente smontata da esperti spiegando che bombardando un deposito di gas sarin non si innesca alcuna bomba, essendo il sarin un’arma chimica molto instabile, corrosiva e pericolosa, e in quanto tale non tenuta in magazzino, ma creata poco prima di un ipotetico attacco a partire alcuni ingredienti chiamati precursori. Da più parti inoltre si specifica chi i ribelli non dispongono di una aviazione.

Se da un lato sembra non esserci motivazione dietro all’attacco, dall’altro l’argomentazione appare chiara e riguarderebbe la rappresaglia per un’offensiva appena tentata e fallita da gruppi armati, che volevano spingersi verso sud e conquistare la città di Hama. E’ allo stesso tempo un modo per mandare un monito ai “ribelli”. Va infatti detto che, ad oggi, vige in Siria una specie di tregua nella quale non rientrano le aree indicate dal regime e dai suoi alleati come luogo in cui si concentrano i “terroristi”. La provincia di Idlib è una di queste. Oggetto di tregua sono invece un’area a nord al confine con la Turchia, dove i ribelli sono sotto la tutela dei turchi e, di norma, non vengono bombardati, e un’area più a sud, sotto Damasco, dove i “ribelli” sono coordinati militarmente da americani e giordani.

Il messaggio orribile del bombardamento e di utilizzo delle morti dei civili come arma finalizzata a distruggere il morale della popolazione, potrebbe essere diretto agli stessi alleati di Asad che, attualmente, lo tengono in vita. E’ una possibilità da non escludere. In particolare occorre ricordare che prima dell’intervento russo, nel settembre del 2015, stava drasticamente perdendo terreno.

In questo contesto è possibile spiegare il gesto di Asad, nel momento in cui la provincia di Idlib raccoglie tutte le forze che gli si oppongono e dove sono andati a confluire tutti i civili deportati dalle altre zone riconquistate. In uno scenario dove fatto, da mesi, russi, iraniani, turchi e filo NATO in primo luogo discutono su come spartirsi le spoglie della Siria; dove Donald Trump, a fronte di una politica internazionale aggressiva e spavalda colpisce con 60 missili da crociera la base da cui ritiene siano partiti gli aerei che hanno lanciato armi chimiche, è senza dubbio lecito interpretare il ruolo di ASsad come quello di un presidente alla deriva, un fantoccio che abbia deciso di far saltare il tavolo di Bruxelles con cinismo usando l’arma dell’attacco chimico, sfidando l’alleato russo non solo a coprirlo, ma anche a giustificarlo.

Per il proletariato siriano si apre di fatto una sfida difficilissima e necessaria per la costruzione di un’alternativa di direzione della sua lotta e l’instaurazione di una federazione socialista e laica nel Medio Oriente. Solo l’autorganizzazione dei lavoratori, l’armamento della classe operaia, può incidere in senso progressista in questo conflitto, rompendo l’accerchiamo degli avvoltoi imperialisti e degli stati capitalistici. Fondamentale per il proletariato siriano sarà il rifiuto degli appetiti e del sostegno dei vari fronti borghesi al regime di Assad o di un nuovo governo senza di esso, una vera e propria illusione, una finta liberazione.

Enzo Canossa

La Voce delle Lotte ospita i contributi politici, le cronache, le corrispondenze di centinaia compagni e compagne dall'Italia e dall'estero, così come una selezione di materiali della Rete Internazionale di giornali online La Izquierda Diario, di cui facciamo parte.