di Michele Sisto

Da tempo si assiste alla disgregazione organica delle lotte sindacali ed all’applicazione di una politica sindacale finalizzata alla mera contrattazione -a ribasso- con i padroni delle fabbriche, attraverso il governo stesso, la cosiddetta “Politica Concertativa”.
Per concertazione si intende una forma di mediazione a tavolino attuata dal governo tra le due parti – che dovrebbero essere- in lotta, le organizzazioni sindacali e gli imprenditori.

E’ singolare e dà a pensare questo “triangolo” posto da questa nuova forma di contrattazione: Sindacato – Stato – Confindustria.
Assomiglia molto, per non dire è quasi identico, all’ordinamento sindacale promulgato dal più grande burattino di sempre della borghesia italiana, Mussolini.

Era lampante, nel periodo precedente l’ascesa del regime, il reflusso della lotta di classe degli operai, sconfitti alla fine del Biennio Rosso proprio dall’ascesa del Fascismo che, attraverso le sue squadracce, aveva supportato la reazione padronale contro le occupazioni delle fabbriche e delle campagne da parte degli operai e dei contadini, organizzati finanche senza il sindacato, coscienti della differenza tra la politica sindacale/economicistica e quella rivoluzionaria.
I sindacati, dunque, risentivano di una doppia sconfitta del ’19-’20: reazione padronale alla lotta di classe e perdita dell’egemonia sui lavoratori, malfidanti in primis della CGL, fin troppo moderata sull’attacco, traditrice per non aver lanciato quello sciopero generale che avrebbe senz’altro appoggiato la lotta armata degli sfruttati contro gli oppressori.

Fu con le “leggi fascistissime” (fine 1925 – inizio ’26) che Mussolini poté, dunque, rimodellare l’ordinamento statale ed il rapporto organico “stato-partito”, costruendo quella intelaiatura politico-istituzionale del regime, col fine ultimo di incidere nei rapporti tra capitale e lavoro, fondamentali per l’economia di uno stato che si apprestava ad essere isolato a livello internazionale.
Con la legge n. 563 del 3 aprile 1926 si pose fine al diritto di sciopero ed all’esistenza stessa delle organizzazioni sindacali non riconosciute dallo stato riformato, ossia tutte, tranne il Sindacato Fascista.
Ancor più importante, attraverso l’ordinamento corporativo del ’26, i lavoratori erano deboli sullo stesso versante del dialogo col padrone, privi del potere contrattuale, senza un’organizzazione riconosciuta dallo Stato. Le corporazioni, dunque, non erano altro che il giogo degli imprenditori sulla massa disorganizzata dei lavoratori:i primi con la Confindustria, i secondi senza sindacati; i primi con la serrata delle fabbriche sempre a portata di mano, i secondi senza il diritto allo sciopero. Il tutto finalizzato a contrastare qualsiasi ripresa della lotta operaia.
Insomma, i padroni erano riusciti in soli sei anni a ribaltare l’equilibrio della lotta di classe: stavano vincendo!

Oggi, invece, si sta assistendo a quel reflusso della coscienza di classe degli operai, complice la burocratizzazione stessa dei sindacati, dapprima quelli maggioritari (CGIL, FIOM, UIL, CISL, etc…), mediazionistici a scapito della classe, col solo fine di poter sedere al tavolo delle trattative che il governo propone in base alla concertazione stessa, pur di campare a scapito dei lavoratori, persino attraverso l’estorsione salariale della quota del tesseramento.

Vi è anche un altro elemento significativo e fuorviante che accomuna il corporativismo e la concertazione: le consultazioni referendarie della concertazione e la falsa democrazia interna alle corporazioni.
E’ fin troppo ovvio che la voce in capitolo dei lavoratori, rispetto a quella dei padroni, nelle corporazioni era meno che simbolica, del tutto inutile. Invece, recentemente abbiamo assistito a diversi referendum sui CCNL di settore – sempre più a scapito dei lavoratori -, vittoriosi con chissà quale percentuale falsa, con brogli denunciati in molte fabbriche, con minacce ai lavoratori ed ai rappresentanti di fabbrica, in un generale clima intimidatorio basato sul rinnovo del contratto stesso.

La falsa democrazia dei burocrati sindacali è sempre all’agguato: si va a votare col moschetto puntato alla schiena.

Esistono, però, alcune organizzazioni sindacali che non applicano affatto la politica concertativa (senz’altro spinti da una grande mobilitazione -seppur di categoria- dei lavoratori in lotta), e tra queste vi è il SiCobas. Un sindacato della logistica che sta facendo da punta di diamante della lotta di classe in Italia, partendo dal versante della sua categoria ed arrivando a quello, assai correlato, dell’immigrazione (molti operai della logistica sono immigrati, ed il SiCobas, attraverso i picchetti, gli scioperi e le manifestazioni, sta portano avanti anche quella stessa “integrazione sociale” tanto millantata dai politicanti borghesi filo PD e progressisti vari, unendo la categoria e spingendola, sempre attraverso le lotte, verso l’internazionalismo).

In questo frangente di crisi organica, con l’assenza di un’organizzazione coerentemente rivoluzionaria, senza l’unità di tutte le vertenze del mondo del lavoro, bisogna ribaltare la lotta di classe che sta vedendo nuovamente vittoriosi i padroni.

Riunire le vertenze del mondo del lavoro in un unico fronte, composto da lavoratori sindacalizzati e non, senza dare agio a questo o quel burocrate di poter svilirne i contenuti, svelandone la natura opportunista ed antioperaia di fronte ai lavoratori in lotta!

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.