La seconda metà del 2015 aveva visto, in un territorio segnato da una pace sociale quasi totale come quello di Cesena, un importante episodio di lotta operaia: i facchini impiegati presso il magazzino Artoni della zona logistico-industriale di Pievesestina avevano incominciato ad avanzare proteste e rivendicazioni contro le condizioni di lavoro disumane, assolutamente al di fuori anche delle leggi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, iscrivendosi contestualmente al sindacato ADL Cobas, nonostante i maggiori rischi che correvano, essendo perlopiù cittadini bengalesi e quindi sempre sotto la scure del rinnovo del permesso di soggiorno.

Sfruttando l’infame sistema dell’appalto a finte cooperative operaie presso le quali spesso i facchini sono costretti a iscriversi (fenomeno tipico specialmente nella logistica), Artoni comunicò di punto in bianco il cambio di appalto, che significava la perdita di lavoro immediata per 28 facchini. Partiva allora un presidio permanente fuori il magazzino durato mesi e segnato da diversi picchetti di blocco delle merci, a cui si è risposto, come è solito fare per i padroni, avvalendosi di carabinieri e polizia per sciogliere con la forza i picchetti; non è necessaria alcuna sorpresa o indignazione riguardo a queste pratiche: i capitalisti da sempre utilizzano corpi di uomini armati, dipendenti dello Stato o squadracce private che siano, per stroncare la lotta dei lavoratori quando si fa dura e frontale.

La lotta rimaneva però nel complesso isolata e debole, non riuscendo a coinvolgere massicciamente altri stabilimenti del territorio (con la positiva eccezione di diversi facchini del vicino magazzino di Coop Adriatico, altro santuario dello sfruttamento semi-schiavile nella logistica) e il resto della filiera Artoni in un’escalation di picchetti e sciopero fino alla riassunzione di tutti i facchini licenziati. Sicuramente alla causa dell’unità dei lavoratori nella lotta non sono servite le passerelle occasionali o le dichiarazioni stampa, senza alcun impegno diretto nella lotta, dei politici di SEL-Sinistra Italiana o del Movimento 5 Stelle, che sicuramente non sono stati bersaglio della raffica di denunce per violenza privata e altri campi d’imputazione arrivate a decine di facchini e solidali (tra i quali il sottoscritto, così come ad altri compagni della sinistra anticapitalista romagnola). Non pervenuto il resto dell’inutile “sinistra” riformista da salotto, generalmente del tutto estranea al movimento operaio e alla lotta dei lavoratori.

La vertenza si chiudeva così con un indennizzo economico, ovviamente tutto fuorché abbondante, per i lavoratori, e con la riassunzione di alcuni di loro, da subito dissociatisi dalla lotta e rientrati tramite il mercanteggiamento della FILT-CGIL locale che, prima assente dallo stabilimento, vi entra avendo tesserato dei crumiri e avendo contribuendo all’inasprimento delle condizioni di lavoro nel cantiere. Peccato che l’azienda, a un anno da questa lotta, non sia più riuscita a nascondere la sua grave situazione di indebitamento, già nota nel 2015: è notizia del 6 aprile scorso la sentenza del tribunale di Reggio Emilia che sancisce il fallimento di Artoni Logistica srl, con l’avviamento di una procedura di concordato per Artoni Group, la holding che raggruppa i vari rami dell’impero Artoni, per cui l’azienda ha 4 mesi di tempo per depositare un piano industriale e di proposta di ripiano del debito. Si parte dal bilancio 2015 (approvato solo il 21 marzo scorso) che parla di 56 milioni di euro di perdite, azzeramento del capitale sociale e 42 milioni di patrimonio netto negativo, mentre l’udienza di fallimento di Artoni Logistica si terrà il prossimo 27 settembre.

E cosa succederà agli oltre tremila lavoratori, impiegati direttamente da Artoni o come indotto? L’unica cosa certa ora è l’accordo al ribasso col gruppo Fercam di Bolzano, che si è impegnato ad acquisire 14 filiali su 39 di Artoni. I conti sono impietosi: il bilancio 2015 di Artoni Group, approvato solo pochi giorni fa (il 21 marzo) ha accusato perdite per 56 milioni di euro, l’azzeramento del capitale sociale e un patrimonio netto negativo per 42 milioni. Rischia il fallimento anche Artoni Trasporti, che ha chiuso l’ultimo bilancio con 75 milioni di perdite e debiti per 133 milioni.

Per quanto riguarda gli strascichi giudiziari della lotta a Cesena, ieri è stata dichiarata l’assoluzione dei delegati ADL Cobas, Manila e Stefano, contro i quali si era cercato di usare lo strumento del decreto penale di condanna, per spostare sul terreno dell’ordine pubblico la lotta operaia e infliggere, di fatto senza processo, multe salate ai responsabili sindacali. Una persecuzione che aveva trovato “complici e solidali” Artoni e Coop Adriatica, essendo anche la seconda colpita da picchetti nell’autunno del 2015. In particolare, al delegato ADL si contestava la frase, rivolta ai carabinieri (che intanto, guarda caso, parlottavano col camionista che poi si lanciò a tutta birra contro il picchetto, rischiando di uccidere diverse persone) “voi siete tutori degli interessi capitalistici di questa azienda, contro la sicurezza dei cittadini, siete solo dei servi”. Che le forze dell’ordine siano a difesa della proprietà privata non è solo cosa riscontrabile tutti i giorni, ma è sancita persino dalla Costituzione della Repubblica: è paradossale che padroni e carabinieri mostrino di scandalizzarsi, quando la realtà quotidiana delle lotte dei lavoratori conferma, senza paura di smentita, che l’unico valore sacro e da difendere con le unghie e coi denti è quello della proprietà privata.

Intervista facchini ADL cobas della Artoni

#Forli presidio al tribunale contro il tentativo di comminare multe salate ai delegati ADL cobas per la lotta dei facchini #Artoni a Cesena.Seguici su https://www.lavocedellelotte.itSiamo anche su Telegram: https://t.me/LaVoceDelleLotte

Pubblicato da La Voce delle Lotte su Giovedì 18 maggio 2017

 

La vicenda Artoni conferma un altra volta con un caso pratico come l’agenda dei capitalisti sia necessariamente quella di recuperare profitto anche (e soprattutto, specie in settori come la logistica) sfruttando all’inverosimile i lavoratori, espandendo il loro orario di lavoro e peggiorando le loro condizioni di lavoro, riprendendosi fette di capitale attraverso lo smantellamento dello Stato sociale, mantenendo eserciti di disoccupati che facciano pressione sugli occupati per giustificare l’erosione del salario e alimentare la paura di lottare sul posto di lavoro.

Non c’è lotta economica o riforma del sistema capitalista che permetterà condizioni di lavoro e di vita degne per tutti: l’unica industria dove al primo posto ci siano le esigenze dei lavoratori, sarà quella controllata e pianificata dai lavoratori stessi, senza più padroni sopra di sé. Sarà la lotta politica e rivoluzionaria dei lavoratori di tutto il mondo, per abbattere il dominio di pochi capitalisti sfruttatori e questa economia basta sul profitto e non sui bisogni reali, che ci permetterà di vivere tutti realmente come esseri umani degni, e non come schiavi salariati, ingranaggi di una macchina mostruosa e letale, il capitalismo.

 

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.