Martedì 23 maggio è stato commemorato il 25° anniversario della strage di Capaci, in cui Cosa Nostra fece esplodere ben 500 chili di tritolo, piazzati nei pressi di un’autostrada, per far fuori un magistrato antimafia particolarmente scomodo e di disturbo per i loro affari: Giovanni Falcone. Morirono anche sua moglie e collaboratrice Francesca Morvillo (altro magistrato) e tre agenti della sua scorta.

Un paio di mesi dopo fu assassinato anche un altro magistrato in prima linea nella lotta (istituzionale) alla mafia, un suo stretto collaboratore e altro membro del pool antimafia, Paolo Borsellino, nella strage di Via D’Amelio. Anche in questo caso, oltre a lui morirono cinque agenti della sua scorta.

Ovviamente, da quando esiste, la mafia ha mietuto tantissime vittime, e non solo tra le autorità giudiziarie, ma anche tra chi vi si opponeva da tutt’altra angolazione ideologica (come ci insegna il caso del militante comunista rivoluzionario Peppino Impastato), a partire da convinzioni politiche lontanissime da quelle dei magistrati in questione: Borsellino era un fermo sostenitore del Movimento Sociale Italiano (MSI), dunque fascista, Falcone era berlingueriano, a riprova di come il “comunismo” di Berlinguer fosse compatibile e molto apprezzabile anche da chi era di fatto un paladino dello stato borghese.

Poi anche tante persone comuni, che non c’entravano nulla, hanno perso la vita per colpa delle guerre tra cosche mafiose in competizione, solo perchè si trovavano nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Ma il punto su cui vorrei invitare a riflettere non è la quantità di vittime fatte dalla criminalità organizzata, che non si contano più ormai.

E’ vero: questi due magistrati e fedelissimi uomini dello stato, appartenenti a una delle sue principali istituzioni, quella che difende la legalità borghese, erano tanto convinti delle loro visioni da essere disposti a perdere la loro vita pur di andare in fondo nel loro lavoro di indagine e lotta contro la mafia, ed è infatti proprio quello che è successo. Ma quello che conta veramente è capire se le idee per cui si muore siano giuste, cioè se scaturiscano da un’analisi corretta e scientifica della realtà, e se siano veramente strumenti efficaci per ottenere condizioni di vita migliori per tutti. Perchè altrimenti dovremmo elogiare anche i terroristi dell’ISIS, essendo anch’essi disposti a morire per le loro (folli) idee. Cioè, il loro operato e questi attentati così eclatanti, hanno veramente contribuito così tanto, come ci vogliono far credere in questi giorni i discorsi “solenni” di Mattarella o Grasso su tutte le tv, a diffondere una coscienza “antimafiosa” in Italia? E anche se fosse vero, sarebbe forse sufficiente questa accresciuta coscienza a dare un colpo importante alle organizzazioni criminali? Si è forse indebolito il fenomeno mafioso dopo quell’accaduto? Ci sembra il contrario. Gli affari della mafia, della ndrangheta e di tutte le organizzazioni criminali in generale si sono rafforzati. Esse hanno affinato le loro tecniche, hanno sempre inventato nuovi affari e si sono espanse geograficamente. Quindi no, non basta di certo l’attività specializzata di qualche magistrato convinto in buona fede nella legalità borghese a sconfiggere un fenomeno sociale così ampio e diffuso (a differenza di quanto sosteneva Falcone prima di morire).

Noi, controcorrente, vogliamo aprire gli occhi a tutti i proletari e a tutti gli sfruttati, che sono la nostra classe di riferimento e per i cui interessi e bisogni lottiamo, facendogli capire che tutta questa solenne ritualità, in realtà, non è tanto stata messa in piedi per elogiare e mitizzare due magistrati o per riprendere seriamente un lavoro collettivo che possa sconfiggere il malaffare e le ingiustizie in generale.

La realtà è che le classi dominanti, come ogni anno, non si sono lasciate sfuggire questa occasione per inneggiare allo stato, alle sue istituzioni, alla legalità borghese, e per mistificare la realtà, trasmettendo con forza il messaggio secondo cui lo Stato combatta con tutte le sue forze e i suoi mezzi la Mafia, come fossero due entità del tutto contrapposte e indipendenti tra loro, di cui la prima buona e giusta e a difesa di tutti i cittadini, solo la seconda cattiva e sbagliata. Come se non ci fossero rapporti tra le due realtà, quando invece basterebbe farsi qualche ricerca su internet per scoprire che, sin da quando la mafia è nata, i suoi rapporti con lo stato e le istituzioni ci sono sempre stati, costantemente, in quanto la criminalità funge da oliatore del sistema d’affari capitalistico, bypassando le problematiche legate al rispetto della legalità e velocizzando così il processo di accumulazione del Capitale, che è poi l’obiettivo di ogni singolo capitalista in competizione con l’altro (il che però è considerato legale dallo Stato). Immaginiamo, seppure è utopistico farlo, che a un certo punto, senza alcun cambio di sistema, l’illegalità subisca un durissimo colpo, quasi da scomparire: ciò non eliminerebbe comunque i problemi del capitalismo, come lo sfruttamento del lavoro e le enormi differenze sociali, l’inconciliabilità degli interessi tra le classi ecc. sotto i cui rapporti di produzione e di proprietà, l’illegalità rinascerebbe inevitabilmente. Certamente anche noi crediamo che la criminalità sia qualcosa da combattere e da abbattere, ma bisogna innanzitutto tener conto che essa è pur sempre un fenomeno che può svilupparsi solo in sistemi dove vige lo sfruttamento e l’oppressione dell’uomo sull’uomo, le ingiustizie e le differenze di classe, in termini di forza e proprietà che ciascuna di esse detiene rispetto all’altra. Perchè la criminalità si nutre proprio di questo stato di cose, mentre, se fossimo anche solo in un sistema socialista pienamente realizzato, le organizzazioni democratiche e rivoluzionarie si opporrebbero naturalmente a ogni tentativo di dominio e sfruttamento di alcuni esseri umani su di altri, poiché sarebbe avvertito da tutti come un passo indietro, un ritorno al passato, un peggioramento della loro condizione, che ora è migliore e che si è ottenuta col sangue e con duri sacrifici. E questa è la società che noi vogliamo costruire, fino ad arrivare, in prospettiva, a un sistema totalmente equo, emancipato e che soddisfi i bisogni di tutti ricevendo dalle capacità di tutti: in due parole, a una società comunista, in cui la mafia nemmeno avrebbe senso di esistere.

Dunque per sradicare il malaffare alla radice bisognerebbe abbattere lo stato a misura dei capitalisti in ogni parte del mondo, unendo le forze di tutti i proletari per distruggere la criminalità e chiunque voglia vivere di privilegi sulle spalle altrui. Quello Stato che molto probabilmente è anch’esso responsabile e mandante, insieme a Cosa Nostra, della morte di questi due suoi fedeli rappresentati (la cosa è evidente e questa tesi è sostenuta anche da persone molto vicine a Borsellino, come ad esempio suo figlio), i quali hanno sempre creduto in esso e lo hanno sempre difeso a spada tratta, non avendo mai capito che lo Stato, senza l’aiuto o la collaborazione della Mafia, avrebbe molte più difficoltà ad operare nel suo “normale” sfruttamento quotidiano.

Se far lavorare le persone 12 ore al giorno senza neanche pagare le ore extra è legale, se licenziare migliaia di lavoratori in blocco lasciandoli in mezzo alla strada è legale, se evadere milioni di euro di tasse è legale solo per alcuni grandi colossi aziendali, se legale è detenere la proprietà di interi palazzi con molti appartamenti sfitti quando tanta gente povera non ha nemmeno una casa, se legale è innalzare muri e fili spinati lasciando morire persone disperate in cerca di una vita migliore, se legale è iniziare un intervento militare bombardando città di altri paesi e annientando migliaia di inermi cittadini solo per spartirsi le risorse e l’influenza politica su quei territori, beh, allora dovrebbe essere ormai evidente a tutti che legalità non significa giustizia!

Tutti questi temi, le loro cause, i loro perché più profondi, non vengono mai approfonditi seriamente sui grandi mass media e i concetti che ho esposto sono da essi banditi. Ad esempio tempo fa si fece una fiction su Peppino Impastato, ma non si è mai enunciato nemmeno un concetto che sia uno, riguardo le idee che quel combattente perseguiva, per cui lottava e per cui è morto! Ricordo che al massimo era stata fatta vedere una bandiera con falce e martello appesa nella sua cameretta o una raffigurazione di Lenin o Marx su di un poster, come fossero ormai solo delle vecchie e innocue icone fuori moda. La serata sulla RAI per commemorare questo evento invece, condotta dal venduto Fazio, con la partecipazione del filosionista Saviano e altri, ha trattato questo tema con un’enfasi sproporzionata rispetto all’attenzione che viene data ad altri temi e ad altre problematiche molto più importanti e attuali, tipo quelle a cui ho accennato prima. Questo accaduto viene pompato in grandezza e diffuso su tutti i media, dalle tv ai giornali, ogni anno, con tanto di lunghi speciali TG o appunto programmi di commemorazione prodotti appositamente per l’occorrenza. Tutto ciò è fatto strumentalmente ed è funzionale al sistema, per fissare nelle coscienze di tutti, come dicevo prima, che lo Stato, la legalità borghese, le istituzioni e i loro rappresentanti, sono e devono rimanere sempre considerati intoccabili, non si possono criticare. Non a caso grandi commemorazioni del genere vengono messe su solo quando a morire sono magistrati, giudici, forze dell’ordine ecc. cioè pezzi di importanti istituzioni statali, mai quando si tratta di qualche povero migrante ucciso dall’ottusità legalitaria e/o razzista, o di un lavoratore suicidatosi per la sua depressione dovuta alla mancanza di lavoro e prospettive, o di un militante comunista che lotta contro il sistema, a meno che questi non si sia rivolto contro la mafia, come abbiamo visto nel caso di Impastato, poiché si vuol far credere che anche lo stato la stia combattendo veramente e seriamente, allora gli si dedica una fiction, ma con l’accortezza di svuotarla di ogni contenuto e concetto marxista e rivoluzionario, nonostante furono proprio questi che ispirarono le azioni di quel giovane e lo spinsero a intraprendere quella lotta… che in realtà era solo parte di una lotta più generale, quella contro il capitalismo e per il comunismo.

di Diggei

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.