Finito lo spoglio delle schede nel primo pomeriggio di oggi, si confermano le previsione di un successo della coalizione di centrodestra, trainata dal trionfo di Fratelli d’Italia. L’astensione fa uno storico balzo in avanti toccando il 36%.


I risultati definitivi: vincono la destra… e l’astensionismo

Lo spoglio delle schede di queste elezioni parlamentari italiane sta terminando nel primo pomeriggio di oggi. Sin dai primi exit poll pubblicati ieri sera a urne chiuse, i sondaggi pubblicati nelle ultime settimane di campagna elettorale sono stati confermati: la coalizione di centrodestra ha vinto con largo vantaggio sul centrosinistra, e Fratelli d’Italia è il primo partito per consenso elettorale.

Così, se guardiamo ai dati della Camera (che ha ora lo stesso corpo elettorale del Senato), la coalizione vincente sfiora il 44% dei voti, con Fratelli d’Italia al 26%, la Lega sotto il 9%, Forza Italia appena sopra l’8% e gli alleati minori di centro quasi all’1%.

La coalizione di centrosinistra, battuta di quasi 20 punti percentuali, raccoglie circa il 26% dei voti, con il Partito Democratico al 19%, la lista Verdi-Sinistra al 3,6%, +Europa al 2,8%, e Impegno Civico (la lista di Luigi Di Maio) che non supera lo 0,6%.

Il Movimento 5 Stelle conferma il suo recupero dopo il tracollo di consensi della scorsa estate, raccogliendo oltre il 15% dei voti.

Il “centro” liberale di Calenda e Renzi raccoglie circa l’8% dei voti, confermandosi come quarto polo.

Seguono le liste che non hanno raggiunto il 3% e che non eleggeranno parlamentari: Italexit, Unione Popolare, Italia Sovrana e Popolare. Grazie alla loro concentrazione di voti in specifici collegi, la la lista siciliana di Cateno De Luca e la SVP altoatesina e eleggono rispettivamente 1 e 2 parlamentari.

L’astensione, invece, passa da poco più del 28% del 2018 al 36%, il dato più alto della storia delle elezioni parlamentari nel nostro paese. Addirittura, l’affluenza alle urne non ha superato il 60% in nessuna delle regioni del Sud. Una conferma di uno scollamento molto ampio tra i partiti “di governo”, le istituzioni e la massa dei cittadini, specialmente tra i giovani (dove le percentuali di astensione si alzano verso il 50%) e nel meridione.

La destra al governo: prospettive e contraddizioni di un discorso nazionalista reazionario

La scommessa vincente di Fratelli d’Italia è stata quella di rivendicare apertamente un profilo cattolico-nazionalista in netta opposizione al governo Draghi, incanalando una parte del malcontento sociale. Si conferma un ripudio più che maggioritario verso i partiti che si erano dichiarati pieni sostenitori della “agenda Draghi” – prima di tutto la lista liberale di Calenda e Renzi, ma anche il centrosinistra, al netto dei discorsi retorici della sua stampella “radicale”, Sinistra Italia.

La vittoria della destra rappresenta così, nonostante la Lega e Forza Italia siano stati una componente chiave della maggioranza del governo Draghi, il rifiuto di un prolungamento del ruolo di Mario Draghi come presidente del consiglio.

Le dichiarazioni entusiaste da parte di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e dei loro candidati, a proposito, hanno fatto da contraltare alla frase-scivolone di Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione UE che, con un’espressione autoritaria e ambigua, aveva dichiarato: “Vedremo il risultato del voto in Italia, ci sono state anche le elezioni in Svezia. Se le cose andranno in una direzione difficile, abbiamo degli strumenti, come nel caso di Polonia e Ungheria”. Non certo al livello del miliardario Elon Musk e delle sue minacce via twitter di organizzazione di golpe “a chiunque vogliamo” pur di mantenere attiva e profittevole l’industria estrattiva americana, ma una dichiarazione davvero indicativa di che tipo di attitudine “democratica” i liberali europei “di centro” contrappongo alle destre nazionaliste.

In un periodo in cui la stessa UE è attraversata da approcci diversi, quando non proprio contrastanti, rispetto alla situazione geopolitica, alla guerra in Ucraina e al rapporto più o meno subordinato agli USA e alla NATO, il trionfo di un partito reazionario d’opposizione come Fratelli d’Italia è un fattore di instabilità che ridà una minima speranza al fronte pro-Putin, come riconoscono anche i media russi, affermando che l’Italia potrebbe diventare “una nuova spina nel fianco dell’Unione Europea”.

È forse più ragionevole dire, però, che la completa adesione al quadro dell’UE, della NATO e dell’ingerenza USA nella politica italiana saranno la spina nel fianco di un governo trainato da due partiti, Fratelli d’Italia e Lega, che hanno fatto del discorso sovranista, anti-europeo, revisionista sul piano geopolitico la loro bandiera per anni, in contrapposizione all’impostazione liberale europeista di Forza Italia e degli alleati minori democristiani. È chiaro che una cosa sono i comizi elettorali, un’altra sono gli impegni per una linea atlantista e anti-russa che sono stati la premessa del programma comune del centrodestra, e che genereranno profonde crisi di governo se dovessero essere messi seriamente in questione da Meloni e Salvini; non solo: sul piano dell’economia nazionale, la volontà di costituire una destra “presentabile”, né apertamente fascista né eversiva rispetto a UE, NATO e “poteri forti, costringe Giorgia Meloni a fare i conti con un debito pubblico che ha superato il 150% del PIL, oltre 2.600 miliardi di euro: non sarà facile trovare i soldi per nuove politiche “espansive” senza tagliare ancora le spese per le infrastrutture e lo stato sociale, senza attaccare ancora una volta la classe lavoratrice, come continuano a chiedere gli industriali.

Nei primi giorni di questa settimana si conosceranno precisamente non soltanto la composizione delle Camere, ma anche chi prenderà i vari ruoli istituzionali, a partire dall’incarico di presidente del consiglio dei ministri. La vittoria della destra senza superare i due terzi dei seggi parlamentari complica sia la possibilità di modificare la costituzione in senso autoritario-presidenziale, come aveva ipotizzato Meloni, sia di formare un governo senza avere alcuna mediazione col resto dell’apparato statale e con le pressioni della burocrazia UE.

Ciò che è chiaro è che le politiche del governo di Draghi, dunque anche del centrosinistra, hanno solo ulteriormente favorito l’ascesa della destra, senza costituire nessuna alternativa apprezzabile in tema di diritti, condizioni della classe lavoratrice e della popolazione povera, repressione, nazionalismo e militarismo.

Non è chiaro, invece, su quale dei tanti fronti di possibili controriforme inizierà a colpire la destra, che rischia di far traballare il suo consenso già ora minoritario (vista l’astensione!) nella società e negli stessi ceti bassi di cui si vorrebbe fare paladina Giorgia Meloni, che ha vinto col voto dei cattolici più bigotti e reazionari, ma promettendo di non toccare il diritto all’aborto; che ne sarà invece delle politiche “zero sbarchi”? Creare un governo stabile che duri cinque anni sarà molto difficile, nonostante questa netta vittoria elettorale.

Al netto delle dichiarazioni di “opposizione intransigente” rilasciate da Letta per il PD e da Conte per il M5S, è evidente che l’opposizione sociale a questo governo reazionario e filo-padronale si dovrà costruire senza una sponda e un riferimento ai partiti parlamentari, lavorando per superare la crisi verticale che le politiche delle vecchie (e nuove) correnti riformiste hanno generato, portando alla loro marginalità sociale.

Un’ottima risposta, in questo senso, è quella degli studenti del liceo Manzoni di Milano, che hanno occupato oggi la scuola per tenere un’assemblea plenaria e discutere della situazione e di quali politiche rivendicare in lotta contro il nuovo governo.

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.