Come si articola la lotta per la democrazia e contro l’oppressione nazionale con l’impostazione rivoluzionaria? Cinque chiavi di lettura sulla posizione marxista.


1. Un popolo che opprime un altro popolo non può essere libero

La frase di Marx ed Engels, fatta propria da Lenin e Trotsky, fa parte dell’eredità fondamentale del marxismo rivoluzionario ed e una definizione generale di strategia politica. Nel concreto, la situazione aperta nello stato spagnolo e in Catalogna significa prima di tutto, che i lavoratori di tutto lo stato, compresi i catalani, Baschi, galiziani, insieme agli immigrati, devono difendere il diritto di decidere del popolo catalano, e anche la sua decisione d’indipendenza. Non farlo significherebbe sostenere l’oppressione da parte dello stato spagnolo, imposto nella storia recente attraverso la costituzione monarchica (la Fondazione del regime del ’78) che difende col sangue e col fuoco “l’unità della Spagna”. Partendo da questa profonda domanda di democrazia, la classe operaia di tutto lo stato spagnolo fa passi avanti per saldare la sua unità, contro il governo centrale e il regime, ma anche contro la strategia della direzione borghese catalana che cerca di dividere la classe lavoratrice e rafforzare una nuova strategia borghese.

Partendo da questo. si capisce in fretta che la politica di Podemos e di sinistra Unita, che proclama la difesa del “diritto di decidere” con la mano sinistra, ma lo nega con la destra, va contro gli interessi dei lavoratori.

Un centinaio di anni fa, durante l’eroica rivoluzione russa del 1917, la democrazia più radicale della storia, la democrazia dei consigli di lavoratori, contadini e soldati emise un decreto per tutti i popoli del mondo, solo un giorno dopo la presa del potere.

“Se una nazione è forzatamente mantenuta entro i confini di un altro stato;” Se, nonostante il desiderio espresso da essa (…)la nazione è privata del diritto di decidere tramite un voto libero, la forma “della sua organizzazione nazionale e politica, quell’incorporazione costituisce un’annessione, cioè, una conquista e un atto violento.”

Tutti gli stati imperialisti annessero nuovi Stati e raddoppiarono la loro oppressione sulle altre nazioni dopo della prima guerra mondiale. Lo stato sovietico era l’unico che sin dagli albori, riconobbe il diritto all’autodeterminazione delle Nazioni, cosa che qualche tempo dopo, con il consolidamento dello stalinismo, subì una grande battuta d’arresto, col ritorno della “grande Russia” al ruolo di oppressore.

Contro la tradizione stalinista e dei partiti comunisti, la corrente fondata da Leon Trotsky, mantenne la difesa del diritto all’autodeterminazione dei popoli, perché la lotta internazionalista per la rivoluzione mondiale e il comunismo (cioè, la lotta per un Società senza classi e senza uno stato) non può avanzare di un millimetro se si sostiene l’oppressione di un popolo su un altro con la forza.

 

2. Difendere l’autodeterminazione per via rivoluzionaria, contro il governo e il regime

Negli anni Trenta, Trotsky scrisse molte volte ai gruppi di opposizione di sinistra in Spagna sull’importanza della richiesta dell’autodeterminazione della Catalogna, nel quadro della rivoluzione spagnola. In particolare nel 1930 disse che “anche nelle questioni nazionali il proletariato difende fino alla fine la democrazia, dichiarando di essere disposto a sostenere, con metodi rivoluzionari, il diritto di diversi gruppi nazionali a liberarsi, anche attraverso la secessione.” (Leon Trotsky, i compiti dei comunisti in Spagna, giugno 1930).

La cosa più importante di questa definizione non è solo che la classe operaia deve fare proprie le rivendicazioni democratiche, ma lo fa in ” modo rivoluzionario”, cioè sviluppando la lotta di classe, indipendentemente dalla borghesia e da tutte le orde capitaliste.

In particolare, oggi questo significa che la classe operaia di tutto la Spagna, deve difendere la voglia di indipendenza della maggioranza del popolo catalano, come espresso dal referendum nonostante la repressione dello stato, ma deve farlo con un percorso Rivoluzionario, attraverso i metodi della classe operaia, con lo sciopero generale e lo sviluppo delle proprie organizzazioni democratiche dei lavoratori, innalzando il proprio programma di richieste transitorie con l’obiettivo di creare una Repubblica catalana indipendente, operaia e socialista.

 

3. Affrontare la trappola della dirigenza borghese catalana

Fino a qualche anno fa, il sentimento indipendentista in Catalogna non era maggioritario. Con la crisi del capitalismo è cresciuto il malessere contro il regime del 78, contro la monarchia e contro l’arroganza del governo centrale. I partiti storici della borghesia catalana, che si sono screditati anche mediante l’applicazione dei tagli alla spesa sociale, hanno cominciato a cavalcare il “processo dell’indipendenza”, mettendosi alla sua testa, per deviare il malessere sociale verso la questione nazionale.

Oggi è chiaramente un prodotto della costante offensiva dello Stato centrale contro il popolo catalano, che cresce sempre di più, ma ha fatto un salto di qualità nelle ultime settimane e il giorno del referendum è cresciuto il sentimento di indipendenza e si è espresso come volontà della maggioranza del popolo catalano . Ciò è stato dimostrato il 1° ottobre. Milioni di persone si sono difese fisicamente dalla repressione della polizia per difendere il loro diritto di voto.

Tuttavia i partiti storici della borghesia e della piccola borghesia catalana, vogliono convogliare il protagonismo popolare verso una soluzione a loro congeniale. Che sia la proclamazione di una repubblica autonoma capitalistica, o una nuova rinegoziazione dell’Autonomia nel quadro del regime attuale. In questo caso sembra una vera e propria illusione, che l’Unione europea sostenga l’indipendenza catalana. Basti ricordare come la stessa UE non esitò a schiacciare il popolo greco quando il governo cercò di rinegoziare il suo debito da solo. La realtà è che realizzare questa repubblica borghese indipendente è un obiettivo impossibile senza affrontare le forze repressive dello Stato spagnolo, visto il rifiuto internazionale di riconoscere uno stato indipendente in Catalogna. L’altra “strategia” sarebbe quella di rafforzarsi nelle prossime elezioni regionali, indebolendo in extremis il governo di Rajoy e concordando un’indipendenza negoziata, successivamente ad un cambio di governo, con un accordo di governo tra il PSOE, Podemos e i partiti nazionalisti , cosa che per ora è molto improbabile, vista la posizione filo-spagnola del partito di Pedro Sánchez.

Ciò che è certo, e che si stanno aprendo delle brecce che il movimento di massa può sfruttare per emergere in modo indipendente. Giorno 1 e lo sciopero generale del 3, hanno mostrato questa tendenza. Ma per far ciò, la classe operaia catalana non deve dimenticare che Insieme per sì è il partito che ha grosse responsabilità sui tagli, sugli aggiustamenti e sulla repressione dei lavoratori e che i Mossos sono il suo braccio armato.

Condurre le rivendicazioni democratiche fino alla fine permetterà di smascherare la borghesia catalana e le dirigenze riformiste spagnole come quelle di Podemos e Izquierda Unida, che non sono disposti a difenderle, ma si riempiono la bocca di “democrazia”. Ma questo richiede la conquista dell’indipendenza politica e la denuncia della strategia della borghesia catalana, che porterà nuove difficoltà ai lavoratori. Vuol dire quindi ottenere rivendicazioni democratiche e nazionali, ma da una prospettiva di indipendenza di classe.

 

4. Processi costitutivi per decidere tutto e lottare per l’egemonia della classe operaia

La lotta iniziata in Catalogna, dove le auto-organizzazioni sono nate per difendere il referendum, così come il primo e forte intervento della classe operaia nello sciopero del 3 ottobre, solleva la necessità di sviluppare la lotta di classe per dare vita a processi costituenti liberi e sovrani in Catalogna e in tutto lo Stato. Assemblee costituenti dove si possa decidere su tutto, dall’autodeterminazione di tutti i popoli per porre fine alla monarchia e al Concordato con la Chiesa cattolica, alla nazionalizzazione dei servizi pubblici, alle banche sotto il controllo dei lavoratori, fino all’espropriazione delle case sfitte in mano alle banche (alle quali sono stati elargiti più di 40.000 milioni di soldi pubblici che non verranno restituiti) per risolvere il problema abitativo. La lotta per queste assemblee costituenti, con rappresentanti revocabili ed eletti in modo proporzionale da tutte le persone con più di 16 anni, scatenerebbe una lotta frontale contro questo regime del ’78, i suoi partiti e le sue istituzioni.
La lotta per le rivendicazioni democratiche, radicali e sociali da parte delle auto-organizzazioni operaie e popolare, potrà permettere alle classi lavoratrici di conquistare l’egemonia sul resto dei settori oppressi, dimostrando sul campo il rifiuto delle direzioni nazionaliste e riformiste per lottare fino alla fine per lo stesso programma.


5. Per una Catalogna indipendente e socialista, nella prospettiva di una Libera Federazione delle Repubbliche Socialiste Iberiche

La classe operaia catalana e del resto dello Spagna, non hanno interesse a creare nuovi stati capitalisti né a creare nuove frontiere tra la classe operaia. Ma poiché la volontà maggioritaria del popolo catalano è l’indipendenza dalla Spagna e la creazione di un repubblica, i rivoluzionari internazionalisti sostengono incondizionatamente il suo diritto all’autodeterminazione. Tuttavia, lo facciamo lottando per una Repubblica catalana indipendente che sia operaia e socialista, non per la Repubblica di Puigdemont e degli uomini d’affari catalani. Una repubblica come l’Austria o l’Olanda non significherebbe alcun passo in avanti per i lavoratori, che subiranno nuovi attacchi da parte dei capitalisti. Sostenendo la formazione di una Repubblica Socialista indipendente, lottiamo al tempo stesso per la formazione di una Federazione delle Repubbliche Socialiste Iberiche, per garantire l’unità di tutta la classe operaia, nel cammino vero una Federazione delle Repubbliche Socialiste in tutta Europa.

 

Josefina L. Martínez

Traduzione da Izquierdadiario.es

Nata a Buenos Aires nel 1974. È una storica (UNR). Autrice del libro Revolucionarias (Lengua de Trapo, 2018), coautrice di Cien años de historia obrera en Argentina (Ediciones IPS). Vive a Madrid. Scrive per Izquierda Diario.es e altri media e milita nella corrente femminista internazionale Pan y Rosas.